Parte 30 - Disagio e imbarazzo

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Dopo qualche giorno, la porta sfondata venne rimossa e sostituita da un robusto portoncino blindato. Cobra, a lavoro ultimato, si sentì nuovamente al sicuro. Se non altro era al riparo dalla curiosità dei vicini, dai quali si sentiva costantemente spiato e sotto osservazione. Forse era solo una paranoia, forse no, ma non li sopportava proprio. Pareva che dovesse delle spiegazioni anche a loro. Cosa che avrebbe pure fatto se qualcuno si fosse preso la briga di chiedergli come stava o cosa fosse veramente successo. Invece era stato condannato a prescindere, senza nemmeno il beneficio del dubbio.

«Andate tutti a quel paese!», esplose rientrando in casa dopo aver incontrato sul pianerottolo il suo dirimpettaio che aveva risposto al suo saluto con una girata di spalle. «Ma si può essere così stronzi?», si chiese. Ogni incontro che in quel condominio faceva era fonte di disagio e imbarazzo.

Per Cobra l'ebrezza della libertà riconquistata, giunta solo qualche giorno prima, era completamente svanita. Niente era come atteso. Pur essendo fuori dal carcere si sentiva chiuso come se lo fosse, ripudiato e guardato con sospetto da tutti. Quella sensazione premeva sulla sua coscienza come un macigno che lo precipitava nello sconforto.

Come se non bastasse, doveva fare i conti con una giustizia lenta e macchinosa, che lo aveva lasciato in un limbo in cui la sua innocenza non solo non era stata riconosciuta, ma forse non lo sarebbe mai stata. «Cobra, siamo solo all'inizio», gli comunicò in tarda mattinata il suo avvocato. «Per smontare le accuse e ottenere giustizia ho inviato al pubblico ministero tutti gli atti e le trascrizioni in mio possesso. Aspettiamo le sue valutazioni. Appena possibile ti aggiorno sugli sviluppi».

Quella notte Cobra non riuscì a dormire. Nella sua mente persisteva l'eco di quelle parole: "le indagini sono ancora in corso... il pubblico ministero deve stabilire se vi siano o meno i presupposti per un'azione penale...".

Piano piano, ogni cosa era tornata esattamente come prima. La spinta che lo aveva portato al cambiamento si era completamente esaurita e tutto contribuiva a farlo ripiombare nelle tenebre più scure. Tornare a vivere nell'ombra, dopo aver scoperto la luce, era insopportabile. Non lo accettava, anche perché capiva che quello stato voleva dire morte interiore. Un piccolo appiglio era sufficiente per non farlo precipitare, ma apparentemente tutti i suoi sforzi parevano vani.

«Dorina...».

Il suo pensiero tornava sempre a lei. Nel suo profondo covava l'ardente desiderio di rivivere il brivido dell'amore, dei baci, delle coccole, della gioia del non sentirsi solo. «E invece un cazzo!», sbottò scagliando contro il muro la bottiglia dell'acqua che teneva in mano.

L'istinto di sopravvivenza lo portò a fare un nuovo tentativo. Prima di alzare bandiera bianca voleva scagliare l'ultima freccia del suo arco, scrivendole una lettera. Voleva che lei sapesse tutta la sua verità.

Si sedette davanti al computer, aggiustò la sedia e cominciò a digitare rapidamente sulla tastiera veloce come il vento. Le sue dita danzavano, sfiorando con grazia i tasti che si fondevano in una melodia ritmica, mentre il suo sguardo era fisso sullo schermo. Le parole fluivano libere sotto le sue dita, prendendo forma e significato: "Mia cara Dorina, spero che tu stia bene e che tu possa perdonarmi per tutto quello che è successo. Ho capito che sei rimasta sconvolta, forse più di me, ma io come te non ho nessuna colpa, o quasi, per la serie di vicende surreali che sono accadute. Ti voglio spiegare con la massima chiarezza tutto quello che è successo e poi lasciare a te il giudizio".

"...".

"Concludo dicendoti che mi manchi tantissimo e che non riesco a smettere di pensare a te. Sei stata la cosa più preziosa che abbia mai avuto e non voglio perderti. Spero che tu possa perdonarmi e darmi un'altra possibilità".

"Con affetto, Cobra".

Quando fu abbastanza confidente del contenuto gliela spedì tramite un messaggio di posta elettronica. Dopo di che si mise in attesa.

Passarono ore, giorni, ma da Dorina non arrivò nessuna risposta. Alla fine, comprese che non sarebbe mai arrivata. Ciononostante, non ebbe nessun pentimento. Pur non avendo avuto la risposta che sperava, in cuor suo, sapeva che la lettera era stata la cosa giusta da fare.

Deluso e amareggiato, provò lo stesso a riprendere in mano la sua vita. Del resto, non poteva restare tutto il giorno buttato come uno straccio sul divano così come stava facendo. Capì che doveva reagire, uscire, reinventarsi. Ricominciò - a fatica - a praticare yoga e a camminare. Aprì pure i libri e tornò a investire in borsa.

Tuttavia, nel fare quelle azioni, non provava nessun entusiasmo. I suoi movimenti erano meccanici e privi di emozioni, come se stesse vivendo una vita da automa, forzato a svolgere compiti utili solo alla sopravvivenza. Il malessere che lo gravava era troppo grande da contrastare. Era tornato a essere trasparente, senza amici e senza prospettive.

Peggio di prima.

A parte Dorina, sapeva che sarebbe stato impossibile trovare un'altra ragazza. Ogni tanto ci riprovava con i social e le applicazioni di incontri on line ma difficilmente qualcuna ricambiava. Quelle rare volte che trovava una risposta in chat, il dialogo finiva dopo pochi messaggi. E lui non aveva nessuna voglia di insistere. Oltretutto, in giro, a freddo, non riusciva a socializzare. Pareva che nessuno desse confidenza a nessuno e men che meno a lui.

La sua discesa era lenta ma inesorabile, un declino che lo stava portando all'annullamento. Viste le condizioni, risalire la china, e tornare a vivere come un tempo, gli sembrava un'impresa impossibile.

Le giornate si susseguivano, simili nella loro monotonia, in una desolante oscurità. Era solo, circondato da un'invisibile coltre di tristezza, con la depressione che si aggrappava alle sue membra come un parassita affamato.

La felicità era sfumata nella nebbia della sua mente, sostituita da una rabbia persistente.

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