Chapter 19

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Non so per quanto camminammo in quel campo, l'unica cosa di cui ero sicura era il silenzio che si era formato tra me e Jonathan dopo che lui aveva pronunciato l'ultima frase. Ormai stavamo finendo gli argomenti di cui poter parlare, e non era di certo facile trovarne ogni giorno di nuovi, dato che non c'era neanche molto di cui parlare.

"Che cos'è quell'edificio laggiù?" Domandò a un certo punto Jonathan, interrompendo il silenzio che si era formato e fermandosi, per poi voltarsi verso di me.

In lontananza si riusciva a scorgere una struttura abbastanza singolare, che non avevamo ancora visto nel corso del nostro soggiorno sull'isola. Sembrava essere enorme, ma ciò che attirò di più la mia attenzione, da quella distanza, era la forte luminosità con cui brillava alla luce del sole.

"Sembra più nuovo, non una catapecchia come quelle in cui abbiamo dormito." Constatò lui, prendendomi la mano e cominciando a fare qualche passo in avanti. "Sono curioso, andiamo a vederlo." Lo seguii, incamminandoci a passo di marcia, con un'unica idea comune: scoprire di che cosa si trattasse. Quando fummo a circa una decina di metri, decidemmo di fermarci ed esaminare precedentemente l'esterno, per poi esplorarne l'interno. Era un edificio imponente e costruito interamente di metallo e vetro, il quale risultò resistente quando vi battemmo sopra; a detta di Jonathan, era antiproiettile. Essendo di un colore molto scuro, però, non potemmo spiarvi dentro, decidendo così di trovare un'entrata. Per essere in mezzo a un isola abbandonata, era una costruzione molto moderna, a cui livelli non arrivavano nemmeno gli imponenti grattacieli della Cina, Stati Uniti o Giappone, per esempio. Era una sorpresa: rispetto alle piccole casupole in cui avevamo dormito, quello era un edificio imponente, futuristico e particolare.

"Quelli sono binari." Disse all'improvviso Jonathan, indicando alla sua sinistra. Facemmo qualche passo in quella direzione, non avvicinandoci troppo però; eravamo riusciti a trovare una porta con su scritto 'Entrata'.

"È una ferrovia?" Domandai a nessuno in particolare, come se lo stessi chiedendo più a me stessa, dato che non c'era nessun altro oltre a noi.

"Credo proprio di sì." Mi rispose lui, stringendomi poi per un attimo la mano, mimando con le labbra la domanda: "Andiamo?" Annuii in risposta, lasciandomi trascinare. Le porte erano di tipo scorrevole e a riconoscimento; infatti, non appena ci fummo avvicinati, si aprirono, e un'ondata di calore ci colpì in pieno petto, mentre una voce cordiale - ma esplicitamente robotica - ci dava il benvenuto all'interno della Station Island. Quelle dure parole confermarono tutti i nostri dubbi: ci trovavamo veramente all'interno di una stazione ferroviaria. L'interno era di un bianco accecante, mi ricordava un ospedale, anche se l'odore non era per niente di disinfettante; era dolce, con un piccolo accenno aspro. Di fronte a noi vi era una lunga fila di banconi con dietro una donna o un uomo per ciascuno, separati dall'altra parte da un vetro con dei piccoli forellini all'altezza della bocca. Davanti a essi, tre file di posti a sedere garantivano al cliente - o almeno, quelli che supposi fossero futuri passeggeri - un posto confortevole e d'attesa. C'era qualcuno che si muoveva avanti e indietro con dei bagagli, ma per la maggior parte si trattava di gente d'affari con valigette e completi eleganti. Sembravamo due pecore in un branco di lupi.

"Proviamo a vedere se c'è qualcos'altro." Suggerì Jonathan, decidendo quindi di esplorare al meglio quel posto.

Oltre alla sala centrale non trovammo molto altro: c'era un piano superiore a cui non avevamo possibilità di accesso, i binari con le relative fermate e un piccolo bar in cui decidemmo di fermarci. Tentammo di salire su delle scale mobili per raggiungere il primo piano, ma fummo bloccati immediatamente, dato che non facevamo parte del 'personale autorizzato', come ci avevano riferito le due guardie addette al controllo della zona. I binari erano solo due, uno che andava a destra e uno a sinistra. Si trovavano all'aperto, dalla parte opposta da cui eravamo entrati, e presentavano delle panchine per chi avesse voluto sedersi mentre aspettava, anche se nessuno vi era seduto in quel momento, tranne una ragazza dall'aria molto annoiata. I posti a sedere non avevano dei 'piedi' su cui poggiare, ma erano come incavati nel muro. Rimanemmo lì per solo qualche minuto, decidendo di tornare dentro ed esplorare un altro po'. Alla fine giungemmo nel piccolo bar vicino ai binari, dove c'erano un paio di persone intente a sorseggiare il caffè e riprodurre con delle macchine apposite nel mezzo dei tavolini quello che riconobbi come un giornale.

"Ecco un modo per riconoscere in che parte del mondo siamo." Mi sussurrò Jonathan, tirando fuori dal suo zaino alcuni soldi che aveva preso dall'aereo e mostrandomeli.

Ci avvicinammo al bancone per chiedere informazioni sul costo di una bottiglia d'acqua, venendo accolti da un uomo dalla pelle color mogano e l'aspetto amichevole, nonostante le spalle larghe e un'altezza di probabilmente due metri.

"Come posso esservi utile?" Aveva una voce calda e rasserenante, in contrasto con il grembiule sporco che aveva indosso, un po' troppo piccolo per la sua corporatura.

"Volevo sapere quanto costa una bottiglia d'acqua." Chiese Jonathan con un sorriso, guardandosi intorno per esplorare ancora il luogo in cui ci trovavamo.

"Costa mezzo silvercoin." Rispose l'altro, ricambiando il sorriso con un altro altrettanto gentile.

"Mezzo silve... Che?" Domandai io in risposta, non riuscendo a trattenermi.

"Mezzo silvercoin." Ripeté l'uomo dietro alla cassa, mentre Jonathan lo ringraziava e mi afferrava la mano, portandomi via.

"In che caspita di stato usano il silvercoin." Chiesi a lui, ma solo una volta che fui sicura di essere uscita dal bar; non avevo mai sentito un luogo in cui usassero quella valuta.

"In nessuno, è qualcosa di antico, romano." Mi rispose infatti, pensando a cosa fare. "Proviamo a vedere se riusciamo a comprare un biglietto per il treno." Disse alla fine, alzando lo sguardo per guardarci attorno. "Vediamo dove portano."

Tornammo di nuovo nella sala centrale, da cui eravamo entrati, vedendo se trovavamo le destinazioni dei due binari. Alla fine individuammo un grande schermo sopra alla lunga fila di banconi per acquistare il biglietto. Vi erano due tabelle separate, uno per i treni in uscita - che al momento non ce n'erano - e uno per quelli in arrivo. Per quanto fosse grande lo schermo, sopra vi comparivano solo tre nomi: Laboratory, Utopia e Wilson City. Non conoscevamo nessuno di quei luoghi, erano nuovi alle nostre orecchie, ma non avevamo molta scelta: o prendevano un treno, o tornavamo fuori, in cerca di qualcosa di meglio.

Alla fine, optammo per Utopia.

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