Chapter 20

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La mia idea era quella di provare a comprare un biglietto con le sterline o i dollari che avevamo a disposizione, ma Jonathan non era molto d'accordo; anzi, era quasi del tutto convinto che fosse un fallimento totale e assicurato. Tuttavia, una volta arrivati a quel punto, anche l'idea più stupida sembrava la più sensata da compiere. Ci avvicinammo al bancone dietro il quale era seduta una donna dall'aspetto cordiale ma annoiato, che stava finendo di scrivere qualcosa al computer. Sembrava avere sui trent'anni, la pelle non ancora invasa dalle rughe, ma qualche capello bianco stava già spuntando. I capelli di un biondo cenere erano raccolti un uno chignon basso, mentre il tailleur scuro le avvolgeva il corpo in maniera morbida, come se fosse una seconda pelle. Aveva gli occhi di due colori diversi, come Jonathan, con l'unica differenza che quelli di lei erano uno azzurro e uno marrone.

Una volta che ci fummo avvicinati, ci lanciò uno sguardo, chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, per poi concentrare la sua attenzione su di noi con un sorriso smagliante.

"Come posso esservi utile?" Chiese, con una voce dolce come il miele e soave come il canto di un usignolo. Solo in quel momento capii perché era riuscita a conquistare quel lavoro: ascoltarla parlare era come sentire una canzone che ha il potere di rilassarti, calmarti, o comunque che ha la capacita di tenerti incollata alla melodia per tutto quanto il tempo. Era praticamente spontaneo risponderle nello stesso modo gentile, senza avere la sensazione costante di dover alzare la voce perché quella dall'altra parte del vetro non capiva niente, fatto che a mio padre era spesso successo quando decidevamo di prendere il treno. Inoltre, se qualcuno avesse avuto bisogno d'informazioni, ascoltarla sarebbe stato solamente un piacere per l'udito.

"Ci servirebbero due biglietti per..." Jonathan rifletté un attimo su quale città potesse essere la nostra destinazione. "... Per Utopia, grazie."

"Fanno sei silvercoins." Rispose la donna, allungando la mano per prendere i soldi.

"A quante sterline corrispondono?" Domandò lui, anche se non con troppa convinzione. Lo percepivo dalla sua voce quello che pensava del piano: ovvero, che stava facendo acqua da tutte le parti.

"Cosa, scusi?" Ribatté l'impiegata, aggrottando la fronte.

"O se no in dollari, non fa alcuna differenza." Mi intromisi io, sperando di risolvere almeno leggermente la situazione.

Non ci riuscii per niente.

"Ascoltate ragazzi," Cominciò la donna in tono gentile, parlando lentamente. "La moneta qua è il silvercoin, va bene? Non sono una banca io, perciò non posso fare il cambio valuta." Fece un respiro profondo, chiudendo di nuovo gli occhi e facendo comparire ancora il suo sorriso. "Quindi, o avete sei silvercoins per potervi permettere un biglietto, oppure vi consiglierei di cedere il posto ad altre persone."

Jonathan mi fece segno di lasciar stare, mentre diceva, rivolto alla donna: "Non si preoccupi, scusi per il disturbo. Arrivederci."

Successivamente mi prese per mano, trascinandomi via da quel bancone sotto gli occhi increduli e - ci avrei scommesso - sollevati della donna.

Vagammo per un po' all'interno di quella stazione, non sapendo in che modo risolvere la nostra situazione. Ci servivano dei silvercoins, la moneta del luogo in cui ci trovavamo, anche se onestamente non ne avevo mai sentito parlare. Mi sembrava strano tutto quello che ci stava accadendo da quando l'aereo era caduto: mai avrei pensato in vita mia di schiantarmi su un'isola perduta e sconosciuta da tutti, salvata da un uomo di cui adesso avevo deciso di fidarmi. La sopravvivenza non era mai stata una delle mie preoccupazioni maggiori, mentre il quel periodo era il mio unico pensiero. Poggiai una mano sulla mia vecchia ferita, quella che mi ero procurata durante lo schianto e che aveva rischiato di uccidermi, pensando a quanto poco tempo ci avesse impiegato per guarire.

Alla fine decidemmo di tornare ai binari, pensando a un altro modo per comprare un biglietto del treno. Ci sedemmo sulla panchina più vicino, cercando una qualche soluzione possibile: rubarli? No, per quanto disperati fossimo non ci saremmo mai abbassati a quel livello. Chiederli? Nessuno si sarebbe concesso a comprarci dei biglietti per il treno. Domandare a un impiegato? Stesso problema di prima, nessuno ce li avrebbe regalati. E poi, avevamo già provato a convincere la donna di prima, ma senza alcun successo.

I nostri pensieri vennero interrotti da un gruppo di guardie, che stava parlando in modo sommesso alla nostra destra. Non appena ci videro ci indicarono, avvicinandosi in modo spedito verso di noi ed esclamando: "Fermi! Polizia!"

Io e Jonathan ci spaventammo a morte, infatti lui mi afferrò il polso in maniera brusca, causandomi qualche graffio su di esso, di cui mi accorsi solo successivamente; in quel momento ero troppo preoccupata a trovare una via d'uscita. Fortunatamente, sentimmo il fischio di un treno che stava partendo dalla stazione, per questo decidemmo di correre in quella direzione, sperando che il mezzo in partenza fosse di trasporto merci. Il destino era a nostro favore, infatti il treno, per quanto moderno fosse, aveva un vano vuoto con il portellone aperto; da fuori si intravedeva solamente un po' di paglia. Jonathan mi trascinò con lui in quell'impresa folle e suicida, sperando in un esito positivo. Ci avvicinammo al treno, che aveva ancora un'andatura lenta. Jonathan fu il primo a salire sul mezzo, allungando poi una mano per aiutarmi a salire. Aumentai un attimo l'andatura, in modo da superare di qualche centimetro la fine dell'apertura e saltare, afferrando la sua presa. Ci sedemmo di peso, guardando verso l'esterno. Ero riuscita a dare un'occhiata al treno, ma quel poco che bastava per capire che era di una modernità strabiliante. Sembrava che fosse fatto di un materiale diverso dal ferro, più leggero, ma resistente come quest'ultimo. Nel frattempo stava acquistando sempre più velocità, arrivando a lasciarsi il paesaggio alle sue spalle e a farlo somigliare a un unica grande macchia sfocata, dove l'azzurro del cielo, il verde dell'erba e i colori dei fiori si confondevano tra loro, creando una danza unica e mozza fiato. Mentre eravamo al sicuro, su quel treno diretto chissà dove, una domanda mi rimbombò nella testa, che era stata repressa dall'adrenalina e la paura del momento: cosa avevamo fatto di male? O almeno, così orribile da essere inseguiti dalla polizia?

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