Chapter 22

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Aprii gli occhi nell'oscurità, riuscendo a intravedere solo il paesaggio esterno: la lattiginosa luce della luna illuminava appena un campo sfocato, dipingendo la notte di varie sfumature di blu. Almeno, io dedussi che fossero campi, ma data la velocità a cui viaggiava il treno non ne ero troppo sicura. Non sapevo darmi il motivo per cui non avessimo ancora chiuso il portello del vagone, così come non riuscivo a spiegarmi del perché l'avessero lasciato aperto. Segno del destino? O era tutto predeterminato da qualcuno di concreto?

Mi poggiai sul braccio sinistro, essendo di lato, sollevandomi da terra e guardandomi intorno: nel vagone la luce lunare giocava con le pareti di metallo. Nonostante ci fossimo solo noi due, sembrava che mille spiriti stessero popolando quel luogo, giocando a rincorrersi e danzando sulle pareti metalliche.

"Sei sveglia anche tu?" Disse all'improvviso Jonathan, facendomi sussultare a causa dello spavento.

"Sì, non ho molto sonno." Risposi con voce leggermente tremante, ricordandomi del modo in cui mi aveva parlato quel pomeriggio.

"Senti, mi dispiace per oggi." Si scusò lui subito, come se mi avesse letto nel pensiero. "Non volevo trattarti in quella maniera, te lo giuro. Da quando ti ho incontrato non so più cosa mi stia capitando, a volte mi sembra che la mia razionalità se ne vada a quel paese." Lo vidi sedersi contro la parete del vagone, strizzando gli occhi nel buio della notte. Decisi di sistemarmi anche io, portando le gambe al petto.

"Non fa niente, ormai è acqua passata." Tentai di rassicurarlo, non riuscendo a guardarlo però; tenetti infatti lo sguardo per terra, davanti ai miei piedi.

Calò il silenzio per qualche minuto tra noi due, venendo colmato solo dal rumore appena percettibile delle ruote del treno sulla rotaia. A un certo punto, Jonathan commentò: "Che situazione del cavolo in cui siamo finiti. Prima precipita l'aereo su cui eravamo, ritrovandoci su un'isola apparentemente deserta, popolata invece da umanoidi chiamati Homi che ci vogliono uccidere e scienziati pazzi." Fece una pausa per riprendere il respiro, prima di aggiungere: "E come se non bastasse, troviamo una stazione ferroviaria, dove prendiamo un treno con destinazione Utopia, che per quanto ne sappiamo noi potrebbe essere l'ennesimo campo di fiori o fitto bosco." Batté forte con una mano sul pavimento del vagone, facendo rimbalzare il suono dalle pareti all'esterno della locomotiva, producendo un rumore agghiacciante e, allo stesso tempo, quasi confortevole.

"Tu credi nel destino?" Gli chiesi a un certo punto, stringendo ancora di più le gambe al petto.

"Non credo a cavolate del genere." Mi rispose, poggiando la testa all'indietro, contro il muro alle sue spalle.

"Io invece credo che esista, e che non sia altro che l'insieme combinato di vari fattori che noi chiameremmo coincidenze o fortuna." Ribattei, rivolgendo gli occhi prima verso l'alto e poi di nuovo verso il basso, ma guardandolo con la coda dell'occhio; lo vidi scuotere la testa, per poi scoppiare in una piccola risata breve. "Non è un caso che solo noi due siamo sopravvissuti su quell'aereo, Jonathan." Continuai, con un pizzico di rimprovero nella voce. "Secondo me era destino che fossimo solo noi due, e questo muoverà pedine decise ancora prima della nostra nascita da forze superiori."

"Le uniche cose provocate da questa strage sono la sofferenza e il dolore, Crystal, non farti strane idee." Mi riprese, alzandosi e sedendosi di fianco a me, prendendomi con due dita il mento e girandomi il viso verso il suo, in modo che lo guardassi. "Il destino non esiste, siamo noi gli artefici di esso, con le nostre azioni e decisioni." Mi spiegò, facendo scivolare la mano sulla mia guancia; quest'ultima era gelida, mentre la sua mano risultava quasi bollente. Mi chiesi come fosse possibile con una temperatura molto vicino allo zero.

"Ma a volte accadono fatti che neanche noi possiamo controllare." Ribattei, anche se con molta meno convinzione di prima. "Non puoi prevedere quando una persona nascerà, oppure se una determinata cosa andrà come vuoi tu."

"Non è possibile, questo è vero," Mi concesse, abbozzando un sorriso. "Ma puoi sempre fare di tutto perché possa accadere; e nel caso non succeda, potrai dire di aver fatto di tutto perché accadesse."
"Eppure io sono convinta che esista un qualche disegno della nostra vita." Provai di nuovo, scuotendo appena la testa. "Sono abbastanza certa che un'entità più grande si diverta con noi, un po' come facciamo con le nostre bambole quando siamo piccoli."

Solo in quel momento, nonostante la penombra causata dai delicati raggi della luna, con i nostri volti a pochi centimetri di distanza, mi resi conto davvero di come i suoi occhi, seppur così diversi l'uno dall'altro, si fondessero insieme: quello di destra era azzurro con qualche pagliuzza verde, quasi invisibile al primo sguardo; l'altro invece era come un prato cosparso da piccoli fiorellini azzurri. Il suo viso sembrò più vicino dopo qualche secondo, facendomi battere il cuore all'impazzata; percepii le mani diventare umide a causa del sudore, mentre chiudevo gli occhi, aspettando qualcosa di cui neanche io ero certa. Ci volle poco prima che le nostre labbra si incontrassero, facendomi automaticamente scorrere una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale; non ci misi molto a ricambiare quel bacio, nonostante il gusto salato e disperato che aveva. Spostò le sue mani verso i miei fianchi, per tirarmi ulteriormente verso di sé, mentre io gli infilavo le dita tra i capelli, scompigliandoglieli per l'impeto del momento. Quando ci staccammo, anche se con malavoglia, sentii il respiro mancarmi, mentre aprivo gli occhi e incontravo i suoi: lucidi e increduli; le labbra gonfie e rosse rendevano il suo viso un misto tra il buffo e qualcosa di stupendo, che neanch'io seppi spiegarmi in quel momento.

"Sarebbe il caso di dormire, siamo molto stanchi." Mentii quasi meccanicamente mentre Jonathan annuiva e, con movimenti incerti, mi copriva le spalle con un braccio, tirandomi a sé; poggiai la testa sul suo petto, aspettando che il sonno mi avvolgesse con le sue braccia.

Nel frattempo, le sensazioni appena provate mi scaldavano il corpo, aumentando così il calore emanato dal suo al contatto con il mio.

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