Chapter 23

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Quando ci svegliammo, eravamo ancora in viaggio. Non avevamo dormito poi tantissimo, dato che il sole stava appena appena sbucando fuori dal paesaggio di fronte a noi. Ero avvolta nel dolce abbraccio di Jonathan, quando percepii un leggero brontolio allo stomaco. Mi sottrai dalla sua stretta a fatica, facendo il più delicato possibile, per evitare di svegliarlo. Una volta in piedi, afferrai una barretta proteica dallo zaino, sedendomi successivamente di fronte all'apertura del vagone. Sentii il modo in cui il vento veniva tagliato dal metallo affilato del vagone, percependo un brivido di freddo nel constatare quanto fosse gelida l'aria esterna.

La mia mente cominciò a vagare, ritornando alla sera prima. Le emozioni che avevo provato erano state tutte positive, pure quel pizzico di rimprovero che avevo percepito la prima volta era sparito. Le uniche sensazioni che mi avevano avvolto la sera prima erano state positive e forti, ardenti. Non avrei più potuto nascondere i miei sentimenti, la scusa di essere gli unici due sopravvissuti non era più valida. La scoperta di altri esseri umani aveva solo rafforzato le mie emozioni nei confronti di Jonathan, fatto che molto probabilmente - se non certamente - era accaduto anche a lui.

Mi voltai nella sua direzione, osservandolo dormire: i capelli biondi ricadevano a ciuffi sul viso, mentre le palpebre celavano i suoi occhi così diversi seppur uguali. Il cuore mi batteva a una velocità assurda, sembrava dovesse esplodermi da un momento all'altro; una tenaglia mi avvolgeva lo stomaco, mentre la bocca diventava asciutta, arida come il deserto.

Mi girai di nuovo verso l'esterno, poggiando una mano sul petto per sentire i battiti diminuire di velocità; ma essi non rallentarono, continuarono potenti e veloci, in modo che affluisse un sacco di sangue al viso, facendomi arrossire le guance e accaldare la faccia. Feci dei respiri profondi, tentando di calmare quelle mie emozioni, riuscendoci solo dopo quelle che mi parvero ore. Mi portai i capelli sulla spalla sinistra, stringendomi le braccia al petto; nonostante il sole che splendeva nel cielo, la temperatura esterna era molto bassa, come se fosse stato inverno.

La mia mente vagò di nuovo sull'episodio avvenuto durante la notte, portandomi a sfiorare lievemente con le dita le labbra. Rabbrividii nel ricordo della bocca di Jonathan sulla mia, sentendo migliaia di scariche elettriche percorrermi il corpo; una piccola centrale elettrica messa in funzione da un semplice pensiero.

"Non puoi sottrarti a una reazione chimica, tantomeno se tu sei uno dei due fattori scatenanti." Sussurrai, credendo che nessun altro mi stesse ascoltando.

"Stai pensando a ieri sera, vero?" La sua voce mi giunse all'orecchio sotto forma di melodia, come se fosse stata da sempre la mia canzone preferita.

"Esatto." Risposi, mentre Jonathan si alzava per sedersi di fianco a me, sfilandosi successivamente di dosso la giacca.

Feci come lui, mi levai il giubbotto e rimasi con la maglia a maniche lunghe, che comunque riusciva a tenermi lo stesso abbastanza al caldo; bastava la sua vicinanza a scaldarmi il giusto.

In tutto quel tempo, avevo cercato di convincere me stessa del fatto che sarebbe stata troppo pericolosa una possibile relazione tra noi due, reprimendo tutte le emozioni che provavo per lui, le quali stavano risalendo in superficie con forza e arroganza. Le pulsazioni veloci e, alle volte, quasi inesistenti; le così dette 'farfalle nello stomaco', cioè la sensazione di avere qualcosa nella parte finale del tronco che vive e si muove; la voglia di toccarlo in ogni momento; infilargli le dita tra i capelli biondi come il grano maturo per scompigliarli; baciarlo con talmente tanta foga e passione da lasciare le mie e le sue labbra rosso fuoco e gonfie come dirigibili; la confusione in testa; l'incertezza sulle parole da usare; il balbettio causato dalla paura di sbagliare e dire qualcosa d'inadatto. Ma oltre a tutte queste, c'era la peggior sensazione che mai avevo provato in vita mia: la paura di perderlo.

Solo allora mi resi veramente conto di quanto fosse diventato così tanto importante per me in così poco tempo. Avevo perso le uniche persone a cui tenevo di più, risultando molto probabilmente fredda e senza sentimenti, ma la verità era che stavo facendo ciò che mi aveva insegnato mio padre: quando c'è un lutto, non bisogna perdere troppo tempo nel piangere le persone morte, perché la vita va avanti, non si ferma per nessuno, tantomeno per le persone che ci sono care. Me l'aveva insegnato quando era morto il mio nonno paterno, e io mi ero trasformata in una fontana con le gambe.
Inoltre, come se non bastasse, al tutto si era aggiunto il fatto che ero stata ferita durante lo schianto, unito allo shock dovuto alla guarigione quasi istantanea della ferita e alla scoperta di strani umanoidi sull'isola.

Probabilmente il mio cervello non aveva neanche registrato il tutto, dato che mi rifiutavo di ritornare sul pensiero dei miei genitori e mio fratello morti all'interno del relitto dell'aereo.

Scossi la testa e riportai lo sguardo verso quello di Jonathan. Lui mi prese il viso, passandomi poi dolcemente i pollici sulle guance, per asciugarmi le lacrime che mi bagnavano il volto. Non mi ero neanche resa conto di aver iniziato a piangere.

"Scusa." Dissi semplicemente, girandomi con anche il busto verso di lui.

"Non devi mai, e ripeto, mai chiedermi scusa perché esprimi i tuoi sentimenti, okay?" Mi rimprovero gentilmente, per poi sorridermi.

"Okay." Annuii, ricambiandolo con un sorriso di gratitudine, poggiando le mie mani sulle sue, le quali mi stavano ancora avvolgendo il viso.

Lentamente le nostre labbra si avvicinarono, incontrandosi in una sinfonia di cuori tamburellanti e scariche vibranti. Le mie mani si spostarono tra i suoi capelli, sentendo ogni singolo ciuffo che si insinuava tra le mie dita, mentre le sue finivano sui miei fianchi. Presa dall'euforia del momento mi spostai, sedendomi sulle gambe di Jonathan, facendo scivolare le mani lungo le guance, fino ad arrivare al petto. Le labbra di lui si spostarono delicatamente, lasciando una scia di baci che arrivava fino all'orlo della maglietta. Mi afferrò con quasi troppa forza i fianchi, facendomi scappare un gemito di piacere. Quando tentò di levarmi la maglietta, d'istinto portai le mani sulle sue braccia, fermandolo nel suo intento.

"Non... Non mi sento ancora pronta." Dissi timidamente, guardandolo con titubanza negli occhi.

"Non fa niente, non preoccuparti." Mi rassicurò, stringendomi a sé con delicatezza e forza allo stesso momento.

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