Chapter 25

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Avanzammo per le strade, osservando in modo più approfondito il luogo in cui ci trovavamo: gli edifici erano formati da uno scheletro in ferro, mentre il vetro serviva a riempire gli spazi vuoti. C'erano cartelli circa ogni tre metri, in modo tale che nessuno potesse smarrirsi in quella città che all'apparenza sembrava infinita. Le costruzioni che si ergevano a destra e manca portavano sul davanti una targhetta di metallo che ne indicava la funzione, molto simile a quella che avevamo trovato all'entrata della città, solo un po' più piccola.

Tentai di pensare a una possibile città che si chiamasse Wilson City, eppure mi sembrava di non aver mai sentito prima di un luogo con quel nome. La gente che popolava i marciapiedi sembrava moderna e all'avanguardia, come se abitassero da sempre lì, fatto che probabilmente era anche vero. Gli eleganti vestiti fasciavano in modo impeccabile i lunghi corpi maschili e femminili che correvano avanti e indietro. Sembrava tutto perfetto, anche fin troppo. Mi afferrai le braccia, incrociandole davanti al petto e stringendo forte, percependo un intenso sentimento di disagio e inadeguatezza.

"È tutto così strano." Constatai a un certo punto, alzando le spalle. "Fin troppo perfetto."

"Forse siamo noi fin troppo fuori luogo." Ribatté Jonathan, sciogliendomi le braccia per afferrarmi una mano e incrociare le sue dita con le mie. "Anche se tu non hai niente di sbagliato." Quelle otto parole sussurrate al mio orecchio ottennero il risultato di farmi arrossire violentemente. Provai a nascondere il sorriso che si stava formando sul mio viso, ma non ci riuscì, facendo di conseguenza sorridere anche lui. Jonathan si fermò, mi poggiò la mano libera sulla guancia, in modo tale da farmi girare il viso verso il suo, e fece in modo di far incontrare le sue labbra con le mie in modo leggero, delicato. Quel piccolo gesto mi fece capire quanto tutto fosse cambiato in poco tempo: non avevo più paura di reprimere ciò che provavo, avevo deciso di lasciarmi andare. In caso non fossero andate bene le cose, ci sarebbe stato un posto con altre persone in cui sia io che lui avremmo potuto stare. Per quanto male mi avesse fatto reprimere tutto, sapevo in cuor mio che era stato giusto sia per me che per lui, evitando così la possibilità di dover vivere soli e lontani su un'isola o penisola che credevamo deserta. Certo, la paura di perderlo era ancora persistente, avevo il terrore di poter fare qualcosa che lo avrebbe allontanato, condotto via da me. Tuttavia, ero contenta di potermi finalmente sentire felice in un luogo che mi aveva donato perlopiù esperienze negative e dolorose.

Mentre camminavamo per le strade affollate, notai che le macchine che ci sfrecciavano a fianco si trovavano sul fianco destro della strada, potendo così intuire che in quel posto la guida era a destra. Quella scoperta mi fece escludere immediatamente l'Inghilterra: ovunque noi vi trovassimo, di sicuro non era vicino a essa, dato che la guida là era a sinistra. Feci un sospiro di sollievo, anche se la sensazione non durò a lungo. Per quanto confortevole potesse essere quella constatazione, non mi dava totalmente idea di dove potessimo essere; quasi in tutto il  mondo c'era la guida a destra, in primis l'America. Scossi la testa e smisi di provare a scervellarmi per capire dove ci trovassimo: era impossibile. Portai quindi lo sguardo sui negozi alla nostra destra, esaminandoli in modo più approfondito rispetto a prima: per la maggior parte erano supermercati o negozi d'abbigliamento, all'apparenza molto costosi e raffinati. Ogni tanto spuntavano anche gioiellerie o librerie. Era molto strano, non avrei saputo dire per quale motivo, ma anche le persone aiutavano a rendere il tutto così bizzarro: sembrava che ci stessero osservando, che chiunque incontrassimo si soffermasse con lo sguardo su di noi e, addirittura, ci riconoscesse. Sembrava stupido, lo so, eppure non riuscivo a scrollarmi di dosso quella sensazione.

Una vetrata in particolare colpì tutto a un tratto la mia attenzione, portandomi a lasciare andare Jonathan e far scivolare via la mia mano dalla sua. Mi fermai di fronte a un negozio di elettronica, incuriosita dai prodotti esposti in vetrina; tra questi c'erano un paio di televisori che stavano trasmettendo il telegiornale del posto. La donna dietro la scrivania stava parlando della fuga di due soggetti dalla zona sperimentale, avvertendo i cittadini della pericolosità di questi ultimi. Solo quando sullo schermo comparve una foto mia e di Jonathan, per mostrare agli spettatori l'aspetto dei due fuggiaschi, il mio cuore saltò un battito, facendomi rimanere senza fiato per un attimo: i due ragazzi scomparsi dal controllo degli scienziati, impiegati nell'esperimento che la donna stava descrivendo, eravamo io e lui. Ecco perché da quando l'aereo era precipitato continuavamo a incontrare persone con il camice bianco e uomini con vestiti militari, mimetizzabili tra la vegetazione.

"Jonathan?" Tentai di richiamare la sua attenzione, allungando una mano nella sua direzione per afferrargli un braccio.

"Crystal, dobbiamo scappare. Ora!" Mi gridò, prendendomi lui per il polso e trascinandomi con sé

Mi voltai verso la direzione da cui eravamo venuti, trovando il motivo per cui lui avesse così tanta fretta di andarsene: due uomini in divisa blu, insieme a una donna di colore dal camice bianco latte, ci stavano indicando freneticamente, mentre tentavano di farsi spazio tra la folla. Sapevo benissimo che ci stavano puntando, non mi guardai nemmeno intorno per vedere se stessero inseguendo qualcun altro, e ne conoscevo anche il motivo. Jonathan fece in modo che ci perdessimo tra la folla, approfittando del momento di disorientamento dei nostri inseguitori per poterci infilare in un vicolo cieco e nasconderci dietro ai bidoni dell'immondizia.

"Eravamo noi!" Esclamai all'improvviso nel nostro nascondiglio, ricevendo da Jonathan il segnale di abbassare la voce.

"Eravamo noi cosa?" Replicò, scuotendo la testa stanco.

"Ti ricordi quando abbiamo visto quei due tizi che ci stavano seguendo ieri in stazione? Prima che saltassimo sul treno in movimento?" Lui annuì in risposta, cominciando a capire che cosa intendessi.

"Non ci seguivano per prenderci perché eravamo senza biglietto," mi guardai intorno, cercando di capire se ci stavano ancora seguendo. "Ci rincorrevano perché siamo ricercati."

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