Chapter 30

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La botola si richiuse con un colpo secco dietro di noi, a malapena sentii Josephine che ci augurava la buonanotte. Posai a terra i tramezzini, vicino a una delle due brandine, sedendomi poi a gambe incrociate su una di queste. Jonathan fece la stessa cosa con il succo e i bicchieri, afferrando poi un tramezzino quando si accomodò di fronte a me.

"Andrà tutto bene, vedrai." Con la mano libera afferrò la mia, tentando di rassicurarmi.

Non seppi bene per quale motivo, ma provai un vuoto incolmabile dentro di me: sarà stata la sicurezza di essere al sicuro, il calore del ragazzo per cui provavo sentimenti abbastanza forti, poteva essere qualsiasi cosa.

Sforzai un sorriso per ringraziarlo, prendendomi poi da bere.

Il resto della serata lo passammo a mangiare e bere in silenzio, non osando neanche aprir bocca; era come se qualcosa ce lo impedisse, le parole morivano in gola ancora prima che potessi dirle o pensarle bene. Nello sguardo di Jonathan lessi lo stesso: pure lui avrebbe voluto dirmi qualcosa, magari rassicurarmi ancora o altro, ma non riusciva.

Erano più o meno le undici quando decidemmo di andare a letto, lo sapevamo perché nel posto in cui eravamo c'era un orologio con le lancette e i numeri che si illuminavano al buio. Mi misi sotto alle coperte, come per comunicargli che volevo dormire, senza dire una singola parola. Lui spense le candele che c'erano ai quattro lati delle brandine, mi lasciò un bacio leggero sulla guancia e si mise anche lui sotto le sue coperte. Buttata di lato, in posizione fetale, rimasi a guardarlo addormentarsi, fino al momento in cui il suo respiro si fece profondo e regolare. In quel momento non potei fare a meno di chiedermi che cosa ci stesse succedendo: ci eravamo amati di più perché non potevamo stare insieme, e adesso ci stavamo allontanando sempre di più, oppure la situazione era accaduta talmente tanto velocemente che dovevamo ancora realizzare il tutto? Non avevo la risposta per questa domanda, eppure più lo guardavo e più il mio cuore faceva delle capriole, mentre lo stomaco si stringeva per la voglia che avevo di baciarlo e toccarlo. Mi addormentai così, con le domande che mi ronzavano in testa e il cuore che mi esplodeva nel petto.

Non appena riaprii gli occhi, non ero più nella brandina che la signorina Murphy ci aveva preparato, ma ero di nuovo nella carcassa dell'aereo in cui erano morti i miei genitori e mio fratello, distesa nella stessa identica posizione. Il dolore al fianco questa volta mancava, infatti quando ritirai la mano dalla posizione della ferita, di sangue non ce n'era neanche l'ombra. Tentai di alzarmi in piedi, riuscendo questa volta a farlo; non sentivo la stanchezza buttarmi giù, costringendomi a terra. Mi guardai intorno, nel frattempo che barcollavo a causa di un movimento brusco del veicolo. A circa un metro da me, vidi quello che avrei sperato di non vedere mai: i corpi dei miei genitori giacevano a terra in modo scomposto, come se le cinture di sicurezza si fossero rotte all'improvviso, o non le stessero indossando proprio. Mia madre aveva la testa in mezzo al finestrino, i pezzi di vetro che le penetravano la carne non solo del viso, ma anche delle spalle e del petto. Mio padre le era sopra, come se avesse voluto proteggere il corpo di lei con il suo. Riportava una ferita sulla fronte, se mi fossi soffermata meglio avrei molto probabilmente potuto vedere il cranio, se non addirittura il cervello. Jason, mio fratello, aveva un pezzo di metallo che gli passava da una parte all'altra dello stomaco, lasciandogli una ferita attraverso cui alcune interiora potevano uscire fuori. Quello spettacolo causò in me disgusto e disperazione. Distolsi quasi immediatamente lo sguardo, la mano portata alla bocca in modo da reprimere i conati di vomito che riuscii a stento a trattenere. Dalla parte opposta in cui ero, vidi ancora l'uomo che mi aveva salvata non solo dall'aereo, ma anche dalla fame, dalla sete e dal freddo: Ralph - così almeno era come tutti lo avevano chiamato -, con i suoi occhi giallo sporco pieni di tristezza.

L'ultima cosa che avvenne fu fin troppo veloce: l'acqua cominciò a salire sempre più velocemente, non lasciandomi nemmeno la possibilità di trovare una via d'uscita. Corsi istintivamente nella direzione di Ralph allungandogli una mano, sperando che potesse salvarmi come aveva fatto la prima volta. Lui, in risposta, mi porse la sua di mano, che afferrai nel momento esatto in cui tutto diventava nero.

Mi svegliai di soprassalto, urlando come non avevo mai gridato fino a quel momento. Jonathan, tutto preoccupato, si alzò frettolosamente dalla sua brandina, lanciando di lato le coperte e sedendosi di fianco a me, avvolgendomi con le sue braccia e spostandomi delicatamente la testa contro il suo petto. Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto, come se stesse per esplodere. L'adrenalina causata dalla paura di morire mi scorreva ancora nelle vene, insieme alla felicità dovuta alla credenza di avercela fatta a scamparla appena in tempo. Il disgusto mi rivoltava ancora lo stomaco per la scena che avevo visto, percepivo ancora i conati che facevano a forza per risalire e uscire. Il respiro era veloce, mi sembrava che me lo volessero strappare via dai polmoni se solo avessi osato rallentarlo. Le lacrime calde scendevano copiose lungo il mio viso, incontrollabili.

"La mia famiglia... Tutti morti... I vetri... Ralph..." Cominciai a parlare in modo sconnesso, strascicato, come se in quel modo il mio cervello stesse registrando ciò che avevo appena sognato.

"Shh, era solo un sogno. Un incubo." Tentò di tranquillizzarmi Jonathan, iniziando ad accarezzarmi la testa, dandomi un bacio tra i capelli. Per quanto sapessi che quelle parole erano vere, l'immagine dei miei genitori e di mio fratello morti era fin troppo vivida nella mia mente, come se avessi ancora la scena proprio di fronte a me.

"Che ne dici se ci sdraiamo insieme?" Mi propose lui, provando in tutti i modi a calmarmi.

Io annuii semplicemente, sentendo la gola chiusa a causa delle lacrime. Una volta sistemati sulla brandina - lui supino con un braccio sotto la mia testa, io di lato con il corpo rivolto verso di lui e la testa sulla sua spalla -, continuò imperterrito a rassicurarmi, fino a quando riuscii a rallentare il mio respiro e a fermare il pianto. Chiusi gli occhi, provando a dormire, mentre il ragazzo di fianco a me non smetteva di sussurrarmi rassicurazioni e frasi dolci. Mi addormentai di nuovo in questo modo, ringraziando mentalmente con tutto il cuore che lui fosse lì di fianco a me.

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