Chapter 37

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"A volte credo che la memoria sia più un male che un bene." Disse a un certo punto Jonathan, sistemando anche lui il suo coltello nella nuova sacca.

Io mi limitai ad annuire, ricordandomi di quando Ralph me l'aveva dato: le sue mani ruvide e piene di calli che stringevano gli zaini che mi aveva lanciato, le braccia forti e possenti che mi avevano stretto con un abbraccio pieno di affetto, del quale non mi ero ancora riuscita a spiegare il motivo preciso dato che ero più che certa di non averlo mai visto prima di schiantarmi nel mare di fronte a quell'isola. Eppure aveva qualcosa di familiare che mi riportava nella mente alcuni ricordi, come ad esempio i lineamenti del viso leggermente spigolosi ma dolci allo stesso tempo. I due occhi gialli spenti mi distruggevano il cuore ogni volta che li incontravo con i miei scuri come le piume di un corvo, mi davano continuamente l'idea che la sua anima fosse stata spezzata da qualcosa - o forse qualcuno - più forte di lui, portandolo ad una vita che non solo non aveva scelto, ma che lo aveva pure portato a quella che potrebbe esse considerata come morte interiore della persona.

A riportarmi alla realtà fu il ragazzo di fronte a me, il quale prese l'arma nella custodia, se la rigirò tra le mani e alla fine ne afferrò il manico estraendola, per poi riporlo sul letto, per deciderne successivamente il luogo in cui metterlo. Tirai anch'io fuori la lama dalla custodia in cuoia, osservandone la lama: era lucente nella fievole luce artificiale prodotta dalle candele, lunga non più di dieci centimetri. L'accarezzai, percependo l'adrenalina scorrermi nelle vene.

All'improvviso, nelle mie orecchie, come se fossi presente in prima persona, percepii le urla e le grida di una battaglia: erano grida di dolore, di piacere, di sofferenza, di trionfo, di vita e di morte. L'immaginazione mi portò su quel campo di battaglia all'antica; non c'erano armi da fuoco o cannoni, ognuno combatteva come meglio poteva: chi usava la spada e chi le lance, alcuni avevano l'arco con le frecce e altri, i meno fortunati, lottavano a mani nude. Lo scenario che si presentava di fronte a me era orribile, corpi morti sparsi a terra, mentre i vivi continuavano a lottare tra loro. Fui coinvolta anch'io dentro alla battaglia, perché uno degli uomini sul campo si era avvicinato a me, tentando di uccidermi, e l'unica cosa che potevo fare io era quella di difendermi.

"Hey Crystal! Svegliati, avanti!" Ritornai alla realtà grazie alla voce di Jonathan, che mi stava scuotendo e chiamando.

Sbattei gli occhi più volte, sentendomi a disagio; le emozioni che avevo appena provato non erano del tutto negative: certo, provavo disgusto per quello che avevo visto, eppure l'adrenalina che mi stava scorrendo nelle vene e i brividi della battaglia mi facevano sentire fin troppo viva.

Mi guardai intorno, trovando il ragazzo seduto di fianco a me con un'espressione preoccupata sul viso, e il coltello - che fino a poco fa tenevo in mano - a terra, piantato con la lama nel terreno.

"Che cosa ti è successo?" Mi domandò lui, prendendomi il viso tra le mani.

"Ero come su un campo di battaglia, c'erano morti ovunque, tutti combattevano e molti uccidevano per il solo gusto e piacere di farlo." Poggiai le mie mani sulle sue, abbassando per un attimo lo sguardo mentre parlavo; non ce la facevo a dirgli delle sensazioni liberatorie che avevo provato, di come il coltello fosse stato una continuazione del mio braccio, un artiglio feroce nelle mie mani. Nel frattempo che cercavo di eliminare queste sensazioni dalla mia mente e dal mio corpo, posai la mia fronte contro la sua, chiudendo gli occhi.

"Sei sicura di stare bene? Sembri scossa." Domandò ancora lui, mentre io annuivo in risposta e tentavo di rassicurarlo dicendo: "Non preoccuparti, sto bene. Ho solo un po' paura per quello che succederà." Finalmente ebbi il coraggio di esprimere il mio timore in quel momento: eravamo sicuri che tutto sarebbe andato come doveva andare? La probabilità di essere visti e riconosciuti per le strade era altissima. "Cosa credi che potrebbe succedere? Cioè, come farà Christopher a tenerci nascosti a Laboratory quel tanto che basta per darci la strada per la barca?"

"Se gli è venuto in mente questo piano sarà perché sa come metterlo in atto." Tentò di rassicurarmi, dandomi un bacio sul naso. "Senti, questa situazione fa una paura incredibile anche a me, ma l'unica alternativa è rimanere qui e organizzarsi per andare da questo Franklyn." Fece un respiro profondo, afferrandomi le mani e portandole sullo spazio libero tra noi. "Il problema è che non sappiamo né quando succederà né se lui accetterà."

In quel momento non resistetti più: sciolsi le mie mani dalle sue e gli afferrai il viso, facendo incontrare le mie labbra con le sue. Avevo un bisogno disperato di sentire il suo calore, provare il brivido di piacere e il cuore che impazziva nel petto per il suo tocco. Finimmo sdraiati, io sopra e lui sotto. Le sue mani cominciarono ad accarezzarmi tutto il corpo: la schiena, i fianchi, perfino le gambe, fino a dove riusciva ad arrivare con la lunghezza delle sue braccia. Era un bacio dolce, ma allo stesso tempo pieno di passione; i nostri corpi si chiamavano l'uno con l'altro, i cuori erano un concerto unico di percussioni, i respiri si mescolavano tra loro. I brividi che mi percorrevano da capo a piedi aumentavano man mano che le sue mani toccavano delicatamente ogni parte che riuscivano a trovare. Passai con le mani dal viso al petto e all'addome, arrivando all'orlo della felpa che stava indossando. L'afferrai dolcemente, come assaporando attraverso il tatto quella stoffa all'apparenza tanto leggera quanto pesante in realtà. Sorrisi sulle sue labbra, interrompendo il bacio per solo un attimo, in modo tale da riprendere fiato, anche se non durò molto, dato che continuavamo a cercarvi attraverso le nostre bocche.

"Ragazzi, sto arrivando con la cena!" Ci urlò all'improvviso la signorina Murphy dal piano di sopra, un paio di secondi prima che sentissimo la botola aprirsi.

Ci staccammo l'uno dall'altra, sedendoci di colpo a sedere, provando a stirarci i vestiti e i capelli, anche se lui non aveva quest'ultimo problema. Scoppiammo entrambi a ridere per quei nostri comportamenti impacciati, con la terribile sensazione che quella sarebbe stata l'ultima volta che ridevamo così.

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