Capitolo 12

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12

Egitto, 13 Settembre 2005

Severus bussò per la seconda volta alla porta di Granger, imprecando mentalmente perché quella dannata donna non veniva ad aprirgli.

Si trovavano ad Assuan, dove c'era la famosa diga sul Nilo.

Dopo il Sudafrica, era la prima tappa in cui la persona che aveva effettuato le prenotazioni era riuscita a trovare loro almeno una camera dotata di bagno privato— la maggior parte delle sistemazioni precedenti aveva compreso l'utilizzo di un bagno comune, dato che si erano recati quasi esclusivamente in luoghi remoti e quindi privi di strutture alberghiere degne di questo nome, e lui ancora si domandava come avessero fatto a non prendersi tutte le malattie infettive conosciute a uomini e maghi. Cavallerescamente, lui aveva ceduto quella stanza a Granger, con l'intesa che lui avrebbe potuto usarne i servizi igienici quando ne avesse avuto l'esigenza, anziché ricorrere a quelli comuni in fondo al corridoio.

Stava per bussare di nuovo, quando la porta si aprì davanti al suo pugno proteso.

«Sì?»

Lui si trovò bloccato sulla soglia. Granger aveva un asciugamani intorno alla testa e un altro, striminzito, la copriva dalle ascelle alla sommità della coscia.

L'uomo trattenne a stento un verso strozzato, mentre cercava di costringere il cervello a rifiutarsi di processare le immagini che i suoi occhi gli stavano trasmettendo.

Lei si rese conto della sua improvvisa rigidità e del colore che lentamente stava salendo lungo le sue guance di alabastro e fece un passo indietro, senza riuscire a bloccare un certo compiacimento per l'effetto che il suo "abbigliamento" stava avendo sul controllatissimo ex professore.

Compiaciuta solo in quanto donna che vedeva confermata la propria bellezza a occhi maschili in genere così refrattari, chiaramente.

«Ah, Severus. Vieni, vieni, stavo facendo la doccia ma ora il bagno è libero.»

Dopo un paio di giorni che vagavano per i deserti del Nordafrica, si erano concessi reciprocamente il permesso di chiamarsi per nome, senza altre formalità, ma in quel momento Severus se ne pentì.

In quel momento più che mai avvertì il bisogno di tenersi lontano da tutti gli altri esseri umani, lei compresa.

Soprattutto da lei, anzi.

Cercò di ricordare a sé stesso cosa significasse essere professionali, raccolse intorno ai pochi resti anneriti di sé la sua corazza più resistente e si diresse verso il bagno, senza più guardarsi indietro.

Marocco, 15 Settembre 2005

«Severus? Severus, per favore, apri la porta.»

Preoccupata, Hermione bussò con più decisione. Erano quasi le nove, lui non si era presentato a colazione e il portiere non l'aveva visto uscire dall'albergo. Il loro contatto sarebbe arrivato di lì a mezz'ora per portarli al mercato magico e lei stava iniziando ad andare in ansia.

Fuori, la città di Fez brulicava di vita e attività, ma dalla stanza di Severus non proveniva alcun suono.

Prese una decisione.

«Severus, sto per entrare.»

Non ricevendo risposta, estrasse con discrezione la bacchetta, mormorò un Alohomora e spinse il battente.

Dentro, il buio era soffocante.

Hermione cercò a tentoni lungo la parete accanto alla porta e premette l'interruttore.

Severus emise un gemito, o almeno ci provò. Ben poco usciva dalla sua gola infiammata e ogni singolo respiro era come carta vetrata. La luce improvvisa gli feriva gli occhi, ma non aveva nemmeno la forza di girarsi o sollevare un braccio per ripararsi.

«Oh cielo, che cosa succede?»

La voce di Hermione gli sfondò i timpani, penetrando nel cervello come la punta di una lancia. Gemette di nuovo e tutto gli vorticò attorno.

Lei si inginocchiò accanto al letto e gli pose sulla fronte una mano gentile, ma che per lui aveva il peso di un carico di mattoni.

«Maledizione, scotti» la sentì imprecare. Cercò di ribattere, ma non ci riuscì.

«Legi... mens» riuscì a rantolare al terzo tentativo, svenendo quasi di sollievo quando lei gli puntò la bacchetta alla fronte.

Anche nel suo stato di quasi incoerenza era sicuro di non avere niente da temere dall'intrusione di Granger: i suoi pensieri erano schermati dietro scudi che aveva creato e allenato nel corso degli anni, capaci di resistere a qualsiasi tortura, e poi si fidava di lei.

"Male, sto male!" Urlò mentalmente non appena lei ebbe mormorato l'incantesimo.

"Questo lo vedo. Aiutami a capire cos'hai" ribattè lei.

"Ieri sera... febbre. Vomito. Mal di pancia."

"Perché non hai detto niente?"

"Non volevo... interrompere missione."

"Ah, gran bel risultato hai ottenuto invece." Gli parve quasi di vedere l'immagine mentale proiettata da Hermione mettersi i pugni sui fianchi.

"Imperti...nente."

"Più saggia di te. Pensi sia influenza?"

"Credo di sì. Pozione?"

"Ne ho diverse in camera mia. Le prendo subito."

Lei si allontanò, e lui sentì il gelo tornare ad assalirlo, accompagnato da brividi violenti.

Non si accorse del momento in cui lei tornò, ma venne riscosso dal freddo liscio di qualcosa che gli veniva accostato alle labbra.

«Bevi.»

Chiuse gli occhi e lasciò che la pozione amara gli scivolasse lungo la gola. Non stette a sprecare energie per esaminarne il gusto. Si rese conto in quel momento, nonostante la mente annebbiata dalla febbre, che Granger era l'unica persona al mondo a cui avrebbe mai permesso di somministrargli una pozione non direttamente scelta da lui. L'unica all'altezza delle sue aspettative, non solo per come l'aveva valutata nei mesi di apprendistato, non solo perché si stava dimostrando una compagna di viaggio valida ed esperta, ma per le capacità che aveva dimostrato durante gli anni di scuola e le risorse che era riuscita a tirare fuori sotto lo stress della guerra. Era stato grazie a lei che Potter era sopravvissuto indenne e che era stato in grado di sconfiggere Voldemort, ed era quindi a lei che lui si ritrovava a non avere remore ad affidare la propria salute.

Le permise di somministrargli altre due bevande dal gusto orrendo — una volta tornato, avrebbe dovuto lavorarci: se già uno stava male, dover anche sopportare quei saporacci era una tortura ulteriore — e di accarezzargli la fronte con un gesto materno che gli fece venire nostalgia di qualcosa che non aveva mai avuto. Beh, di sicuro era la febbre a parlare.

Hermione nel frattempo osservava la sua figura emaciata, il sudore che gli imperlava le tempie, i capelli umidicci, il pallore che dal solito e sano color alabastro era virato in un giallo-verdognolo poco ispirante. Si morse un labbro.

«Severus, non so cosa fare.»

Lui riuscì a socchiudere una palpebra.

«Spie...ga»

«Tra pochi minuti il nostro contatto sarà qui, posso andarci da sola ma non so se sia il caso di abbandonarti a te stesso.»

«Stron...zate, Herm. Va'. Io starò... bene.»

«Sicuro?»

«Sì.»

Lei si trattenne ancora qualche istante, poi corse in bagno per inumidire un asciugamano, che gli mise sulla fronte per dargli sollievo. Lui sembrò rilassarsi e lei lanciò un incantesimo che avrebbe conservato la temperatura fresca per ore.

Era strano, vederlo così... fragile. Più umano, forse, di quanto non fosse mai apparso in precedenza, perfino a quella dannata cerimonia subito dopo la fine della guerra.

In preda a un istinto sconosciuto, la cui origine non era del tutto chiara nemmeno a lei, Hermione si chinò a posare un bacio fuggevole e delicato sui capelli scuri di Severus.

«Riposa. Torno il prima possibile.»

Lui rimase immobile a lungo, dopo che lei se ne fu andata. Era stato reale, quel piccolo bacio di cui sentiva ancora il formicolio sulla testa, o era tutta un'invenzione della sua mente febbricitante?

Quando lei tornò, tre ore dopo, le pozioni che gli aveva somministrato, più altre che lui aveva ingerito quando era stato finalmente in grado di alzarsi dal letto, erano riuscite a rimetterlo in sesto.

Nessuno dei due parlò più di quel piccolo bacio.

Panama, 19 Settembre 2005

Hermione si lasciò cadere sul letto, dove rimbalzò due o tre volte prima di fermarsi, un mucchietto scomposto di ossa mal tenute insieme da muscoli di gelatina.

L'afa la stava uccidendo e aver camminato per ore in mezzo a una foresta zeppa di insetti tutti decisi a darle fastidio non aveva di sicuro aiutato il suo umore.

Nonostante tutto, però, non era un brutto modo per trascorrere il compleanno: si era svegliata con il telefono zeppo di sms di auguri da parte di tutti i suoi amici, l'occasione di un viaggio come quello che stava facendo probabilmente non le sarebbe ricapitata molto presto e, per una volta, l'albergo che avevano prenotato dal Ministero era decente, con bagno in camera e perfino una piscina sul tetto.

Al pensiero della piscina si riscosse: c'era ancora un po' di tempo prima di cena e non approfittarne ora che finalmente ne aveva una a disposizione sarebbe stato un delitto. Erano tre giorni che girava per luoghi paradisiaci e non era riuscita nemmeno a mettere un alluce in spiaggia, che cavolo! Severus era uno schiavista incapace di godersi la vita, pensò mentre si legava addosso un pareo dopo essersi infilata il costume.

Aveva già una borsa di paglia in spalla e la mano sulla maniglia quando sentì bussare alla porta.

Si parlava del diavolo...

L'uomo, con indosso una camicia nera di lino e un paio di pantaloni dello stesso colore, giusto per non perdere la sua aura da pipistrello nemmeno nei climi tropicali, squadrò il suo abbigliamento con aria di disapprovazione.

«Granger, volevo avvertirti che stasera non ceneremo in albergo, ma in un ristorante in centro. Fatti trovare pronta nella hall per le sette e mezza.»

Lei gli rivolse un'occhiata perplessa.

«Come mai questo cambiamento di programma?»

Lui incurvò le labbra in uno dei suoi famosi sorrisetti sarcastici.

«Mentre tu perdevi tempo a indossare un telo carnevalesco che non è degno nemmeno del nome di abito, io ho trovato un contatto che forse è disposto a spedirci le pelli di Eunectes Magicus su richiesta, senza dover venire qui ogni volta. Lo incontreremo stasera.»

«Per tua informazione, questo non è un abito, è un pareo. Ed è adeguatissimo a ciò che stavo per fare, ovvero un bagno in piscina. Se vuoi venire anche tu e non affogare, ti consiglio di procurarti un costume da bagno al posto della tuta di Batman che indossi» suggerì lei, melliflua, chiudendosi alle spalle la porta della camera.

L'indignato «Tuta di Batman?!» di Severus la inseguì lungo il corridoio.

Lei ridacchiò, ignorandolo ostentatamente mentre premeva il pulsante dell'ascensore.

Si stupì parecchio, una mezz'ora dopo, nel vederlo comparire tra sdraio e ombrelloni. Un chiaro pesce fuor d'acqua, coi suoi abiti scuri.

Per le mutande di Merlino, perfino l'asciugamano che aveva portato con sé era nero! A volte Hermione si domandava se una persona come lui potesse essere davvero reale.

Severus si guardò intorno, schermandosi gli occhi dal sole ormai al tramonto per far scorrere lo sguardo sulle persone in costume, intente a rilassarsi sui lettini o in piscina.

Perché cavolo aveva deciso di dar seguito alla provocazione di quell'impertinente di una saputella? Non era un posto per lui, quello.

Quando, avvicinandosi alla sua testa ricciuta, si rese conto che la ragazza si era tolta quel ridicolo straccio colorato e diversi chilometri quadrati di pelle dorata e liscia erano esposti alla vista, si trovò sul punto di voltarsi e tornare indietro.

Era la sua assistente, accidenti! Non avrebbe dovuto vederla così. Non avrebbe dovuto... avere certi pensieri.

Il cenno della mano di lei lo bloccò mentre era in procinto di andarsene. L'aveva visto e sarebbe sembrato uno stupido se avesse fatto marcia indietro.

Ma era anche stupido restare lì e pensare di... Merlino... togliersi camicia e pantaloni e andarsene in giro praticamente con una foglia di fico a coprire le pudenda. Che idea stupida!

Hermione si tirò a sedere sul lettino e posò il libro, osservando il suo ex professore che si lasciava cadere su quello accanto con la grazia controllata che caratterizzava la maggior parte dei suoi movimenti.

«Stavo andando a fare il bagno, vieni?»

Lui guardò con ostentazione lo smalto verde sui piedi di lei. Ormai si era messo in questo guaio, tanto valeva provare a capire se poteva trarne qualche minuto di piacere, galleggiando nell'acqua della piscina.

Non aveva mai nuotato, ma durante la riabilitazione dopo il morso di Nagini gli avevano fatto fare diverse attività nell'enorme vasca di San Mungo, quindi per lui non era del tutto una novità.

La novità c'era però, e consisteva in una Hermione quasi nuda e sorridente che lo invitava con un cenno della mano.

Sospirando internamente, si alzò e si sbottonò la camicia. Dopo un attimo di esitazione, lasciò cadere a terra anche i pantaloni e si raddrizzò, pronto a ricevere la stessa occhiata di disgusto che gli avevano rivolto i compagni di scuola da adolescente. Dopo di allora, gli unici che l'avevano visto con un abbigliamento così... inesistente erano stati i medimaghi.

Hermione fece scorrere un rapido sguardo sul fisico di Severus, cercando di non sembrare una guardona.

... cercando di combattere l'improvvisa secchezza della sua bocca.

Era perfetto: snello e in forma, con tutti i muscoli al posto giusto senza essere troppo tirato, e una lievissima curvatura sul ventre che a 45 anni non turbava minimamente il suo aspetto complessivo. La sua pelle, segnata da numerose cicatrici a imperitura memoria del suo coraggio, risplendeva candida sotto il sole, decorata solo da una fitta striscia di peli scuri che dall'ombelico spariva oltre l'orlo del costume.

Una serie di pensieri poco consoni a un viaggio di lavoro si affollarono nella sua mente, e lei li scacciò dipingendosi un sorriso in faccia e camminando verso il bordo della piscina.

"È un collega" si disse.

"E quindi?" rispose la voce della tentazione.

"Complicherebbe le cose."

"Ne sei proprio sicura?"

"E poi ha vent'anni più di me" glissò.

"E quindi?" insistette la tentazione. "Non sarebbe la prima volta."

"E quindi è Severus, di nome e di fatto" si affrettò a ribattere lei. "Non mi lascerebbe mai avvicinare."

"Non lo puoi sapere se non ci provi."

"Ma io non voglio provarci."

"Raccontala a qualcun altro."

Solo l'acqua fredda della piscina mise a tacere quell'assurdo dibattito.

 ** Ce la faranno, i nostri eroi?! :D
... io credo che ci riserveranno delle belle sorprese... :P **

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