Capitolo 19

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Nuova Zelanda, 11 Ottobre 2005

Molte delle finestre del Bed and Breakfast erano illuminate, quando fecero ritorno. In fondo, erano solo le dieci e mezza di sera.

Nell'androne, la voce monotona di uno speaker da TG filtrava dalla porta che conduceva all'appartamento della proprietaria.

Senza parlare, così come avevano affrontato il breve tragitto di rientro – necessariamente in macchina, anche se si trattava di poche centinaia di metri, data la pioggia che continuava indefessa a scrosciare – salirono le scale di legno fino alla porta della loro suite.

«Cosa ne dici se ti controllo le ferite e poi ci facciamo un tè?» chiese Hermione togliendo l'impermeabile, una volta entrata nel salottino privato.

Severus scrollò le spalle, anche se internamente era in conflitto. Di nuovo.

"Sì, toccami ancora" gridava a gran voce una parte di lui che era rimasta dormiente per un numero impensabile di anni, e che nell'ultimo periodo sembrava non voler tornare in quella beata condizione.

"No, è troppo pericoloso" sibilava la sua razionalità.

Sapeva però di avere bisogno di lei, almeno per quel che riguardava le ferite sulla schiena, quindi si rassegnò a sottoporsi nuovamente alla tortura del suo tocco delicato sulla pelle.

La tortura di sapere che non sarebbe andato oltre quei pochi istanti di cura.

La tortura di sapere che era giusto così.

Hermione dovette prendere un lungo, silenzioso respiro prima di allungare la mano a sbloccare l'estremità della prima benda.

Ora che aveva ammesso con sé stessa di volerlo nel suo letto, non era facile stare così vicina alla sua pelle nuda. Non era facile sentire il suo profumo speziato e mascolino invadere le narici e trattenersi dal chinarsi ad inspirarlo direttamente dall'incavo della sua gola, né era facile percepire il liscio tepore della sua pelle sotto le dita e trattenersi dall'accarezzarlo come non avrebbe dovuto. Come probabilmente non sarebbe stato gradito.

L'immagine del viso di lui, irrigidito dal disagio provocato dal contatto un po' troppo intimo che la donna al pub gli aveva più o meno imposto, gli apparve chiara nella mente. Lei non voleva di sicuro suscitare una reazione del genere, né in lui né in nessun altro, per la barba incrostata di Merlino.

Le ferite erano praticamente chiuse ed entrambi giudicarono fosse meglio dare un'ultima spennellata di pozioni e lasciar respirare la pelle senza chiuderla in un nuovo strato di bende.

Hermione lavorò svelta e precisa, cercando di rendere il proprio compito il più impersonale possibile. Finita la tortura di toccarlo senza poter spingersi oltre, lo lasciò seduto al tavolo per mettersi a preparare il tè intanto che le pozioni si asciugavano e penetravano.

Per quanto cercasse di non guardare il suo torace nudo, una volta accomodatasi di fronte a lui con una tazza fumante tra le mani si colse più volte ad ammirare i pettorali ben delineati, i piccoli capezzoli scuri, quasi nascosti da una peluria delicata, nera come i capelli, i bicipiti, i tricipiti, i deltoidi ben definiti, la lunga colonna del collo. Ogni volta distoglieva lo sguardo, eppure poco dopo tornava ancora lì, inesorabilmente attratta.

«Senti, senza offesa, ma... come ha fatto una semplice babbana a mettere all'angolo la spia più abile dell'intero mondo magico?» le scappò detto.

«Non ero all'angolo» borbottò lui, risentito per quella domanda e sentendosi un idiota per essersi dovuto appoggiare a lei per uscire da una situazione imbarazzante.

«Sì, come no» ridacchiò lei. «Quella sembrava sul punto di mangiarti tutto intero.»

«Cazzo, Granger, non prendermi per il culo» sibilò lui, spingendo indietro la sedia. In testa gli risuonavano le risate di scherno di James Potter e dei suoi gregari, come se fossero passati pochi giorni e non trent'anni.

Hermione, vedendolo alzarsi con uno sguardo temporalesco, si pentì di quella risatina. Anche se era stata una cosa del tutto innocente, era chiaro che, per qualche motivo che non comprendeva, aveva toccato un tasto dolente.

«Mi dispiace, non intendevo offenderti. Era una canzonatura affettuosa, come si fa tra amici. Senza cattiveria o derisione, lo giuro. È solo che, ecco, è stato... bizzarro vederti così in difficoltà, proprio tu che sei il re dell'aplomb.»

«"Il re dell'aplomb" è un modo gentile per dirmi che sono un gelido stronzo, vero?»

Lei sbatté le palpebre, perplessa, affrontando uno sguardo che si faceva di secondo in secondo sempre più freddo e arrabbiato.

«No» rispose infine, lentamente. «È un modo per dire che di solito sei una persona molto chiusa, che non lascia trasparire le proprie emozioni.» Alzò la mano, per prevenire sul nascere ogni protesta. «E lo so che hai i tuoi motivi per essere chiuso, quindi non è una critica, ma una constatazione.»

«Sì, come no.»

Lei roteò gli occhi.

«A volte non capisco perché spreco fiato a parlare, visto che non mi credi. Comunque, vorrei capire cosa succede, Severus. Ti vedo turbato, e più, ehm, suscettibile del solito.» Il dubbio la colse all'improvviso. «Non è che... sei arrabbiato con me perché ho interrotto quello che ho interrotto?» chiese

E intanto sperava che lui dicesse di no.

Sperava che lui non volesse davvero passare la notte con quella.

Severus si passò le mani tra i capelli, consapevole della propria orrenda semi-nudità, della figura barbina che aveva fatto quella sera. Di quanto fosse impacciato in ogni aspetto della vita sociale e quanto Hermione fosse invece sveglia, spigliata... bella.

«No. Mi hai tolto da una situazione che non ero in grado di gestire» borbottò, appoggiando i palmi sul tavolo e abbassando la testa a fissare la tazza di tè semivuota che gli stava davanti, permettendo a ciocche sparse della sua chioma di celare il suo volto allo sguardo troppo penetrante della sua collega.

Lei provò una forte sensazione di sollievo ma, allo stesso tempo, era incuriosita da questo suo atteggiamento insolito.

L'aveva visto arrabbiato e triste, l'aveva visto riservato e sarcastico, combattivo e pungente, determinato e a volte perfino crudele... ma mai, mai così. Insicuro, imbarazzato.

«Severus, perdonami se sono inopportuna, ma... come ci sei finito in quella situazione?»

«Io... lei.» Si sentiva un idiota. Era un idiota. «Lei mi ha proposto di fare quattro chiacchiere, bere qualcosa e mi sono detto, perché no?... solo che poi ha spinto le cose troppo oltre e non me l'aspettavo e non sapevo cosa fare. Non potevo esattamente pietrificarla o qualcosa del genere, no?» concluse lui, sempre rivolto alla tazza.

«No, in effetti no. Ma perché non le hai semplicemente detto che non eri interessato?»

Lui sollevò la testa, il volto paonazzo.

«Perché non so come ci si comporta, in queste situazioni, per la miseria! Non so niente di donne e di relazioni, di baci negli angoli dei locali e nottate passate nel letto di qualche sconosciuta. Non so nulla di nulla.»

«In che senso...» cominciò lei, stupita.

Lui sbatté le mani sul tavolo, facendo vibrare le tazze e la teiera.

«Nel senso che sono vergine, maledizione! E non so nemmeno perché cazzo te lo sto dicendo.»



** Boom!
XD XD XD

... diciamo che il solito cliché della "giovane verginella/brutto anatroccolo che non sa niente di uomini ma non appena viene toccata dal Sacro Pene Del Nostro Eroe diventa una strafiga nonché una specie di ninfomane" mi aveva un po' stancata e quindi... vai col ribaltone :D
Vi piace l'idea?  
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