Capitolo 26

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Ministero della Magia, Londra, 31 Ottobre 2005

La scrivania le tremava sotto le mani.

O forse erano le sue mani che tremavano.

Hermione non lo sapeva più.

Da un tempo che sembrava infinito eppure troppo breve, se ne stava chinata in avanti, con le gambe divaricate e il sedere all'infuori, la gonna arrotolata in vita e le mutandine disperse chissà dove, senza più riuscire a vedere i contorni del magazzino che la circondava.

Non che la sua vista avesse qualche problema, no.

Era la lingua di Severus, la colpevole di quel suo stato di transitoria cecità. Quella lingua così dannatamente, incredibilmente abile, che sembrava conoscere con millimetrica precisione dove colpire per infiammare fino allo spasmo le sue terminazioni nervose... e capire al millesimo di secondo quando fermarsi prima che fosse troppo tardi.

Prima di concederle l'orgasmo che lei ormai bramava più dell'aria che respirava.

O che tentava di respirare, tra un singulto e l'altro.

Dal canto suo, accosciato tra le ginocchia di Hermione, Severus si godeva a fondo il potere che aveva imparato a esercitare su di lei. Adorava trattare il suo corpo come il più sublime degli strumenti musicali, imparando giorno dopo giorno dove e come esattamente pizzicare per ottenere la vibrazione desiderata.

Prolungando all'infinito il tempo del piacere.

Adorava vederla scuotersi, sentirla miagolare, supplicare, eppure rimanere immobile a godere la dolce tortura cui lui sottoponeva entrambi.

Adorava rimandare il momento in cui sarebbe sprofondato in lei fin quando entrambi non fossero stati tesi come corde di violino.

E il momento era ormai giunto, a giudicare da quanto spesso doveva interrompere i movimenti della lingua... e del pugno dentro al quale il suo membro congestionato pulsava implorando il sollievo.

Si alzò e fece un passo indietro, contemplando l'opera d'arte che era Hermione Granger arrossata dal piacere, le cosce floride umide degli umori che aveva dispersi copiosi, il seno stretto in un maglioncino aderente, che si alzava e abbassava a un ritmo forsennato.

Lei si girò a guardarlo, lo sguardo annebbiato, e quello fu il segnale che lui aspettava. Afferrandola per le anche, le tirò il sedere ancora più indietro e, con un'unica spinta, penetrò la sua intimità fradicia, che si aprì come un fiore per lasciarlo entrare, accogliendolo col calore di una fornace.

«Merlino, Granger» boccheggiò, iniziando a spingere.

Ogni volta il piacere gli mordeva i sensi come fosse la prima. Ogni volta, si perdeva in lei e nelle sensazioni incredibili che gli provocava al punto da dimenticarsi perfino dove si trovava. E quel giorno ne aveva bisogno più che in altre occasioni. Per questo era la seconda volta che la attirava nel proprio laboratorio nell'arco di poche ore.

La aggredì con una sequenza serrata di colpi, cui lei rispose con ardore oscillando i fianchi, venendogli incontro ogni volta che lui si spingeva in avanti, stringendolo con la presa dei suoi muscoli così ricettivi.

Infilò una mano sotto il maglione, risalendo fino ad afferrare il seno e strizzò il capezzolo con forza, sapendo che lei non avrebbe sentito male, anzi: che la saetta elettrica le sarebbe arrivata fino alla vagina, aggiungendo piacere al piacere.

«Più forte, Sev» lo incitò lei, e la scrivania prese a sbattere con violenza contro il muro sotto la foga delle sue spinte.

Severus sentì le contrazioni intorno al membro farsi più serrate, più disordinate... e quello fu come sempre tutto ciò che gli serviva per decollare verso l'estasi più completa. Avrebbe potuto rallentare, rimandare e, fossero stati a casa di lei, l'avrebbe fatto.

Lì, invece, non ce n'era il tempo e quindi si lasciò andare, cavalcando l'orgasmo di lei mentre affogava nel proprio, con le orecchie che gli fischiavano per le grida di piacere di Hermione, e la gola rauca per le proprie.

Quando si fu svuotato dentro di lei e gli ultimi, intensi brividi si dissiparono, Severus si chinò in avanti, posando la fronte tra le scapole di Hermione, lasciandosi andare a una breve risata.

«Merlino, Granger, per fortuna stavolta ci siamo ricordati del Muffliato

«Se non l'avessimo fatto, ci saremmo trovati tutto il reparto alla porta» concordò lei con un sorriso sul viso sudato. Adorava quei pochi istanti dopo la copula, nei quali Severus la teneva stretta e mostrava un lato buffo e tenero di sé che di solito manteneva ben nascosto alla vista.

Anche per questo motivo, provava sempre un leggero velo di tristezza, quando sentiva la sua erezione placarsi e scivolare fuori, lasciandola vuota.

Si raddrizzarono e ripulirono con un breve incantesimo senza bacchetta, risistemando gli abiti per darsi una parvenza di serietà.

«Ti va di venire alla festa di Halloween al Tiri Vispi, stasera?» chiese lei all'improvviso.

Lui si bloccò con le mani sull'ultimo bottone del farsetto.

«Chi, io?» chiese, sorpreso.

Hermione scrutò tutto intorno a sé con ostentazione.

«C'è qualcun altro in questa stanza?»

«Impertinente. In ogni caso, cosa ci dovrei fare, io, a una festa nel negozio di George Weasley?»

Lei scrollò le spalle.

«Quello che fanno gli altri. Chiacchierare, mangiare. Divertirsi.»

«Primo, Granger, non credo che avrei qualcuno con cui chiacchierare. Secondo, la mia idea di divertimento non comprende il chiasso, la folla, la musica ad alto volume e un'enorme concentrazione di Weasley nei dintorni. Infine, credi che qualcuno di loro si potrebbe davvero divertire, con il vecchio pipistrello dei sotterranei nei paraggi?»

«Credo che non gliene fregherebbe niente, e comunque è una festa in maschera, quindi potresti anche non rivelare la tua identità.»

«Mi sembra una sciocchezza. Grazie, ma no grazie.»

«Severus...»

Lui si fece all'improvviso più serio.

«Hermione, sai che già in condizioni normali declinerei l'invito ma... stasera, di tutte le sere, è proprio quella in cui ho bisogno di stare solo.»

Lei gli cercò gli occhi con gli occhi, sondando le nere profondità che, in quei giorni, erano più opache e stanche del solito.

L'aveva visto incupirsi sempre di più, nell'arco dell'ultima settimana, e il perché le era chiaro. Per quel motivo gli aveva chiesto di andare con lei alla festa: sperava che distrarsi l'avrebbe tirato un po' su, ma era lampante che lui non voleva distrarsi.

Forse, come lei quando andava a Brisbane, aveva bisogno di punzecchiare il proprio dolore, in quella ricorrenza.

Annuì lentamente, passandogli una mano sul braccio.

«Lo capisco. Promettimi una cosa, però: che seguirai il consiglio della mia psicologa. Che piangerai per Lily stanotte, perché è giusto e normale che sia così, ma che da domani lascerai che siano i bei ricordi a parlarti di lei, e solo quelli, fino all'anno prossimo.»

«Ci proverò.»

Era quasi arrivata alla porta del laboratorio, quando lui la richiamò.

«Granger.»

«Dimmi.»

«Non sei... non ti infastidisce che io pensi a... lei?»

Severus non sapeva nemmeno perché glielo avesse chiesto e desiderò riprendersi la domanda.

Lei, però, sembrava riflettere seriamente sulla risposta da dargli.

«Credimi se ti dico che capisco il tuo dolore. Lo sai. Da un lato però mi dispiace che tu sia ancora così legato al suo ricordo, dopo tutti questi anni. Credo che ti meriti una persona in carne e ossa con cui condividere gioie e dolori e le piccole cose che riempiono la vita.

Dall'altro, so che al cuore non si comanda e il tuo appartiene a lei. Io sono semplicemente la donna che stuzzica la tua libido e occupa il tuo letto. Forse sono quella che ti sta traghettando verso una vita più completa e appagante, ma non ho la pretesa o l'illusione di rubare un posto che è già occupato. Ci vediamo domani» rispose, il suo tono come un bacio dolce e affettuoso che gli carezzò la pelle, prima che lei scivolasse fuori e lo lasciasse da solo.

Da solo col suo dolore, con mille domande cui non aveva risposta e con un senso di vuoto che fino a pochi istanti prima non era stato lì.

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Anche se nessuno probabilmente ci avrebbe creduto, da anni Severus Snape trascorreva la serata di Halloween a riempire di caramelle i cestini dei bambini e ragazzini che bussavano alla sua porta. Viveva in una zona babbana e lì nessuno sapeva chi lui fosse. L'unica cosa che i suoi vicini sapevano di lui era che si trattava di una persona seria e riservata, che vestiva in un modo bislacco, lavorava tantissimo e che aveva sempre un sorriso cordiale ma distaccato per tutti.

Frequentare i più piccoli anche solo per pochi istanti, in quella serata così piena di ricordi dolorosi, lo aiutava in qualche modo a non lasciarsi prendere dalla disperazione più cupa. Gli ricordava le – poche, ma presenti – soddisfazioni di un mestiere che aveva abbandonato, che non rimpiangeva ma che gli aveva arricchito lo spirito. Gli ricordava che la vita andava avanti anche senza di lui. E gli forniva un minimo di distrazione.

Quella sera, però, Severus, quando ancora il suo campanello continuava a suonare e lui non si era ancora lasciato prendere del tutto dai ricordi – quello sarebbe successo più tardi, intorno a mezzanotte, quando il mondo si sarebbe acquietato e i rumori del suo cuore sarebbero diventati assordanti – , si trovò a chiedersi se non avrebbe fatto meglio a distrarsi accettando l'invito di Hermione, e allo stesso tempo a combattere con una stupida sensazione di strisciante disagio.

Ci sarebbe di sicuro stato Potter, a quella dannata festa.

E quindi? Si disse, chiudendo la porta alle spalle dell'ennesimo gruppetto di bambini ai quali aveva riempito i cesti di caramelle.

E quindi gli piaceva troppo... scopare... con Granger, per non temere di vedere quella parentesi finire.

Perché l'istinto gli diceva a gran voce che sarebbe stato tra le braccia di un altro Potter, che la sua seconda e probabilmente ultima interazione col mondo femminile sarebbe andata a morire.

In fondo, lei gliel'aveva detto chiaro, no?

Tra di loro c'era sesso, solo sesso, che non sarebbe mai potuto diventare qualcosa di più. Anche se non sapeva nemmeno lui perché stesse pensando a lei in termini diversi da questi.


** Qualcuno faccia un disegnino a quest'uomo :D :D **

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