Capitolo 30

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Chinatown, Londra, 18 Dicembre 2005

Non erano ancora le quattro del pomeriggio e già, fuori, era caduta la sera.

La città era vestita a festa, con luci colorate sparpagliate un po' ovunque, ma Severus Snape le osservava dalla finestra della stanza di Hermione Granger con un distacco che era diventato parte di lui fin da quando, a cinque anni, aveva capito che Babbo Natale non avrebbe risposto al suo desiderio di far diventare buono il suo papà.

Per lui, la magia del Natale era evaporata quel giorno, per non tornare più.

Quell'anno non faceva differenza, nonostante la donna che, lo sentiva, aveva smesso di leggere per puntare lo sguardo su di lui.

Non faceva differenza perché anche lei, come Babbo Natale, sarebbe evaporata entro la fine di febbraio, forse prima.

Non si stupì quando, pochi minuti dopo, lei lo raggiunse avvolta in una vestaglia blu.

«Non hai freddo?» gli chiese, passandogli una mano delicata sul braccio.

Si era infilato i pantaloni, senza nemmeno curarsi di indossare i boxer, ma per il resto era nudo. Scrollò le spalle.

«Non sono freddoloso.»

«Beato te.»

Osservarono insieme la pioggia cadere, frammista a qualche pesante fiocco di neve.

«Stanotte ho fatto un sogno» gli disse lei a un tratto, rabbrividendo e non per la temperatura. «Un incubo, anzi. Ho sognato... Nagini.»

Stavolta fu lui a rabbrividire.

«Tu fai mai... sogni... su quel periodo?» continuò lei.

"Ogni notte, Granger. Ogni fottutissima, lunga, disperata notte."

«... a volte.»

«È una cosa di cui non ci libereremo mai, vero? La guerra. Pensavo di aver superato il grosso del trauma, di aver imparato grazie alla psicologa ad affrontare le mie ansie fino a farle scomparire, e poi capita qualcosa come questa e rimango scombussolata per una giornata intera.»

«Non lo so. Spero che il tempo possa far sbiadire certi ricordi.»

Severus si massaggiò la cicatrice che gli aveva lasciato quel bastardo di serpente, domandandosi per l'ennesima volta come faceva a essere ancora in vita.

Poi gli venne in mente.

Lei era stata lì. Aveva visto l'attacco. Forse...

Si girò a guardarla.

«C'è una cosa che mi sono sempre chiesto. Come ho fatto a uscire vivo da quel posto?»

Lei gli rivolse un'occhiata incuriosita.

«Non lo sai?»

«Se lo sapessi, non lo domanderei a te, Granger. Ho chiesto, a San Mungo, ma nessuno ha saputo rispondermi.»

Non aggiunse che, quando aveva indagato, la sua intenzione era stata quella di visitare il ficcanaso che l'aveva privato della sua agognata fine, per comunicargli di persona, in punta di bacchetta, il proprio... parere sull'accaduto.

«Scusa. Beh, sì, si dà il fatto che sono a conoscenza di come tu sia sopravvissuto.»

Una strana espressione divertita le aleggiò sul viso.

«Beh? Che c'è da ridere?» si offese lui.

«C'è che... è stato Ron.»

«Con Ron intendi quello zuccone patentato di Ronald Weasley?» ribatté, incredulo. Di tutti i rompicoglioni, idioti che potevano mettersi a interferire...

«Sì. Harry voleva darsela a gambe al più presto per non rischiare che Voldemort tornasse e ci trovasse lì. Io ero paralizzata, sconvolta da quello che avevo visto, da tutto il sangue, il tuo sangue. E Ron si è piantato le mani sui fianchi e ha detto: "non vorremo mica lasciarlo morire così, scappare alla giustizia? Questo stronzo traditore deve pagare per aver ucciso Silente." Ovviamente Harry non aveva ancora guardato i tuoi ricordi, quindi non sapevamo del tuo ruolo di spia e che Albus ti aveva chiesto di porre termine alle sue sofferenze. Comunque, prima che potessimo dire "bé", era in ginocchio accanto a te e ti ficcava in bocca il bezoario che avevamo comprato qualche tempo prima proprio in vista di un eventuale attacco di Nagini. Tutti e tre ne avevamo uno. Poi ti ha cacciato giù per la gola una pozione per riformare il sangue anche se, dato quanto continuavi a sanguinare, era praticamente inutile. A quel punto l'ho spinto via e ho provato a chiudere le ferite, ma non ci riuscivo. Troppo agitata, troppo veleno e il bezoario non aveva ancora fatto effetto. Allora ti ho avvolto in un incantesimo di stasi e siamo corsi via. Finita la battaglia, abbiamo mandato Poppy e Pomona a prenderti. Sono state loro a prestarti le prime vere cure e a stabilizzarti prima di mandarti al San Mungo, ma è stato il bezoario e soprattutto la volontà di Ron a salvarti.»

«Sarebbe stato meglio se si fosse fatto gli affari suoi.»

Hermione si irrigidì.

«Cosa intendi dire?»

Lui continuò a guardare fuori dalla finestra, come se stessero conversando del tempo, ma lei riuscì a intuire, nel riflesso sul vetro, la grande stanchezza che gli offuscava lo sguardo.

«Intendo dire che lo scopo della mia esistenza era esaurito. Che era giusto che io morissi in quel momento.»

«Stai scherzando, vero? Tu, più di chiunque altro, meritavi la possibilità di continuare a vivere, finalmente libero.»

Severus si voltò a fissarla con uno sguardo furente.

«Libero? Libero? E di fare cosa, sentiamo? Di trascinarmi giorno dopo giorno in un'esistenza grigia che non riesco a sopportare, in mezzo a gente che finge di non vedermi? Che ancora mi odia?»

«Non tutti ti odiano, Severus.»

«No, è vero. Quattro o cinque idioti mi sopportano per pietà.» Lei si ritrasse come se l'avesse schiaffeggiata, ma lui non se ne accorse. «Lo sapevi che avrei voluto aprire il mio laboratorio, come quel cretino di Tansyoil? Lo sapevi che ci ho provato, ma nessun privato si fidava a sufficienza da comprare anche la più semplice delle pozioni da me? Che anche al Ministero hanno dovuto mantenere il riserbo sulla mia identità per mesi, prima di rivelare da chi arrivassero quelle pozioni così efficaci?»

La mano di Hermione volò a coprirle la bocca.

«Non lo sapevo. Mi dispiace un...»

«Non mi serve la tua pietà» la interruppe lui. «Ma non è nemmeno quello, a farmi desiderare ogni fottuto giorno di essere morto. È il fatto che hanno ragione.»

«In-in che senso?»

Lui le passò accanto, andando a sedersi sul letto. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese il viso tra le mani, nascondendo la propria espressione alla vista.

Una figura arresa.

«Lo so che nel tuo universo di unicorni e fiorellini non c'è spazio per certe brutture» la irrise «ma forse è il caso di ricordarti che stai respirando la stessa aria di un assassino. Che permetti a un torturatore di toccarti. Che accogli nella tua fica il cazzo e il seme di un uomo che ha picchiato, mentito, ingannato. Dato fuoco a case, assistito a stupri senza fiatare. Sempre con in faccia la stessa stupida maschera impassibile. Che abbracci e baci e ridi con un uomo che ha inglobato dentro di sé l'oscurità più nera e senza ritorno.
Dovresti scappare il più lontano possibile da me, Principessa Grifondoro, mente geniale del Golden Trio, eroina del nostro mondo. Dovrei farti schifo!»

L'ultima parola, gridata come un colpo di fucile, rimase sospesa nell'aria tra loro.

«Quanto di ciò che hai fatto è scaturito dalla tua volontà?» chiese infine lei, pacata.

Lui sollevò la testa e lei quasi precipitò nei pozzi neri che erano divenuti i suoi occhi. Un sorriso sarcastico gli contorse il viso.

«Che differenza fa?»

«Fa tutta la differenza del mondo.»

«Stronzate!» Severus si alzò in piedi, nonostante il peso che gli opprimeva il petto. Un peso che era lì dal momento in cui aveva scelto di incontrare per la prima volta il Signore Oscuro e che non aveva fatto che accrescersi da allora. Un peso cui ormai era abituato ma che, a volte, si ritrovava a non riuscire più a sostenere. «A nessuno, là fuori, interessano le mie motivazioni, e sai cosa? Non interessano nemmeno a me! Queste mani sono coperte di sangue e dolore. Le ho fatte, quelle cose. Non mi sono rifiutato. Non mi sono fermato nemmeno quando ho dovuto fare fuori il mio migliore amico, quello che consideravo alla stregua di un padre! Dovevo morire ammazzato quella notte, Granger.» Si passò le mani tra i capelli, e improvvisamente apparve più vecchio, più stanco. Consumato. «Quella doveva essere la mia punizione e il mio sollievo, ed era giusto così. Lo capisci? Me lo meritavo!
E se proprio non potevate lasciarmi crepare come il cane che sono, allora aveva ragione il tuo prezioso Ronald: avrei dovuto pagare, sarei dovuto finire ad Azkaban a espiare i miei peccati per i maledetti giorni che mi erano rimasti!»

«Non sono peccati, se sei stato costretto da terzi a commetterli» bisbigliò Hermione, sentendosi minuscola davanti a quelle emozioni titaniche.

«Questo è uno dei tuoi tanti errori, ragazzina» la irrise di nuovo «nessuno mi ha costretto a unirmi a Voldemort.»

«No, ma ti hanno costretto a rimanere accanto a lui anche quando... quando volevi altrimenti» ribatté lei.

«Anche quella è stata una scelta. Ho scelto il ruolo che mi è stato affidato» sbottò lui. «L'ho scelto sapendo che avrei dovuto ammazzare, torturare e distruggere. Le cose che ho visto, le cose che ho fatto... ognuna di quelle colpe mi frantuma il cuore col suo peso e mi soffoca con la consapevolezza che non potrò mai essere punito abbastanza.»

Si fissarono, a due passi distanza che a lui sembravano un abisso. Aveva il fiatone, come se avesse corso per mezz'ora, come se... come se avesse dovuto sostenere tutti i pesi del mondo per una vita intera.

Era proprio così.

Una vita intera passata da solo, trascorsa a fare scelte sbagliate e a commettere atti atroci. Una vita che l'aveva spinto all'angolo fin da quando era nato. Una vita che lui non voleva, che non sentiva di meritare. Una vita i cui unici raggi di sole erano stati Lily, Albus e... la donna che gli stava davanti e lo osservava con un'espressione imperscrutabile.

Peccato che lui aveva causato indirettamente la morte della prima, ammazzato il secondo, e avrebbe perso la terza entro un paio di mesi al massimo.

Cosa gli sarebbe rimasto, dopo, se non l'urlo delle persone che aveva fatto soffrire, per sempre impresso nella sua mente?

Hermione guardava le emozioni avvicendarsi su quel viso che aveva imparato a conoscere e che, per una volta, non si nascondeva dietro una maschera di liscio marmo impassibile. No, questa volta Severus Snape era un libro aperto, un libro che raccontava una storia di privazioni e dolore e odio verso sé stesso. Di scelte che non erano scelte, di momenti difficili che si erano avvicendati gli uni dietro gli altri senza soluzione di continuità per troppo tempo, e che lui aveva affrontato con un coraggio senza pari, un coraggio che lui stesso non era in grado di riconoscere.

Non si stupiva che fosse così chiuso, così incapace di accogliere gli altri nella sua vita: non aveva fatto altro che prendere calci, a volte letteralmente, fin da quando era troppo piccolo per poter capire. Né si stupiva che si barricasse dietro un sarcasmo pungente che non era altro che un'armatura, che si era costruito nel corso degli anni, per difendere un cuore troppo sensibile dagli attacchi del mondo.

E ora, leggendo la profondità del senso di colpa che si portava appresso, Hermione trovò anche la spiegazione del perché lui non avesse mai cercato sfogo nell'edonismo: non pensava di meritarsi nemmeno quello. Nemmeno la magra consolazione data dall'euforia dell'oblio di un'intera bottiglia di whisky incendiario giù per lo stomaco o delle cosce di una donna compiacente. Figuriamoci qualcosa come una relazione, fosse anche solo fisica.

... fino a che non era arrivata lei.

Perché lei?

Forse perché, finalmente, una parte di lui iniziava a sentire di poter andare avanti.

Chiuse di un passo la distanza che li divideva e allungò la mano a sfiorargli il viso.

«Non credi di esserti già punito a sufficienza, Severus?»

Lui sussultò ma non si ritrasse. Chiuse gli occhi per non vedere il calore di quelli marroni di lei che lo fissavano, pieni di una compassione che non voleva e non si meritava.

«Credo di non essere stato punito affatto» buttò fuori attraverso i denti serrati, e lei percepì... qualcosa, nella sua voce.

Una brama, che le riportò alla mente un ricordo di quattro anni prima.

Due occhi verde ghiaccio e un anelito simile a quello che percepiva ora.

«Se ti dicessi che sono convinta che ciò che hai fatto, l'hai fatto perché incastrato in un gioco di cui non hai dettato tu le regole e che quindi non ti sei "guadagnato" alcuna punizione, e che non sono solo io a pensarla così ma tutte le autorità del mondo magico e tutte le persone che ti hanno conosciuto... non servirebbe a niente, vero?»

Lui rimase immobile, adamantino. Muto.

Lei sospirò.

«Allora non mi lasci altra scelta. Accio sciarpe. Incarcero!»

Prima che lui potesse anche solo capire cosa gli fosse piovuto addosso, si ritrovò steso sul letto, i polsi legati tra loro e vincolati alla testiera, le caviglie avvolte singolarmente da due foulard colorati che, sotto la spinta dell'incantesimo, si erano annodati saldamente alla pediera.

Inerme.



** C'è una canzone che da che ho letto tutta la saga di Harry Potter mi fa pensare a Severus. Non credo che i Metallica e JK Rowling si siano mai messi d'accordo su questa cosa, però "The Unforgiven" è lui. Sicuramente lui. Leggete tutto il testo e vedrete che concorderete con me :)
Detto questo... vi aspettano un paio di capitoli piuttosto... succosi. E anche un po' pesanti. Sapevatelo ;) **

https://youtu.be/Ckom3gf57Yw


What I've felt
What I've known
Never shined through in what I've shown
Never free
Never me
So I dub thee unforgiven

https://genius.com/Metallica-the-unforgiven-lyrics

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