Capitolo 37

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Chinatown, Londra, 30-31 Dicembre 2005 – 1 Gennaio 2006

La sera del penultimo giorno dell'anno Hermione andò a letto con un mal di testa incipiente e, addosso, un senso di oppressione di cui da un paio di giorni non riusciva a liberarsi. Da quando aveva salutato Severus prima di andare da Harry, dopo il Lago dei Cigni.

Quando era arrivata a Grimmauld Place, aveva trovato il suo amico sull'orlo delle lacrime: Ron se n'era andato dopo l'ennesimo litigio in merito al matrimonio e non era ancora tornato, anche se era ormai notte fonda.

Davanti a una tazza di tè, Harry le aveva spiegato cos'era successo: in ansia per via della richiesta degli assistenti sociali – ormai mancava poco allo scadere del termine – aveva insistito per iniziare a organizzare il matrimonio: fissare una data, buttare giù una lista degli invitati, decidere dove tenere il ricevimento, trovare un catering per il cibo e qualcuno che organizzasse gli addobbi.

Sì, Harry era cresciuto al punto da volersi addirittura mettere con anticipo a pensare alla logistica delle cose...

Ron, però, non era d'accordo: voleva aspettare ancora, nella speranza che sua madre finalmente rinsavisse, perché ci teneva a coinvolgerla nell'organizzazione.

La discussione era presto degenerata in lite, condita da accuse di egoismo da entrambi i lati. Harry alla fine aveva sbroccato e aveva dato a Ron del bamboccio viziato, arrivando addirittura a insinuare che volesse aspettare Molly in modo da potersi lavare le mani di tutta la faccenda e farsi vedere solo quando tutto fosse stato pronto. Ron aveva rilanciato accusando Harry di volerlo solo usare per ottenere l'affido di Teddy e se n'era andato sbattendo la porta. Era successo intorno alle cinque, Ron non era più rientrato da allora e non rispondeva al telefono né ai Patronus.

Hermione, dopo aver provato a sua volta a contattarlo, invano, aveva trascorso buona parte della notte sul divano nel salotto di Harry, a guardare quest'ultimo camminare avanti e indietro fin quasi a consumare il tappeto.

Alla fine, in preda alla desolazione più nera, erano entrambi andati a dormire. Lei non si era nemmeno trascinata a casa, preferendo crollare nella stanza che aveva occupato nel periodo in cui era stata ospitata a Grimmauld Place.

Ron era rincasato solo intorno all'ora di pranzo del 29, senza dire dove fosse andato e da quel momento lui e Harry non si erano quasi rivolti la parola.

Anche se lei era finalmente rincasata, entrambi, però, l'avevano cercata più volte, per parlare, sfogarsi, chiedere consigli o anche solo semplicemente per poter strepitare con qualcuno senza il rischio di fare danni. Erano stati due giorni estenuanti.

E Severus non si era fatto sentire nemmeno una volta.

Non capiva perché se la fosse presa tanto ed era arrabbiata perché non le aveva dato il tempo nemmeno di spiegare.

Fu svegliata alle prime luci dell'alba dalla prima, lancinante fitta di un mal di testa feroce.

Gemette.

Era una cosa che le capitava un paio di volte l'anno: iniziava qualche ora prima con qualche debole avvisaglia, poi di botto si intensificava fino al punto da diventare un martellio continuo dietro le tempie, impossibile da ignorare o da contrastare e talmente forte che le veniva la nausea.

In genere il dolore non le dava tregua per cinque o sei ore, costringendola a stare al buio, in silenzio, raggomitolata su sé stessa ad ansimare, tranne quando si riversava sul secchio che in quei casi teneva accanto al letto per vomitare.

Non c'erano pozione né medicina babbana che tenesse.

Passato il peggio, per tutto il resto della giornata e parte della successiva le rimanevano addosso uno strisciante malessere e una debolezza che le imponevano di stare a riposo.

Fece quindi uno sforzo titanico per mandare un Patronus a Harry e Ron e avvisarli della sua condizione – i due sapevano benissimo di non doverla disturbare in quelle ore, e di dover avvertire gli altri amici in modo che a nessuno venisse in mente di sfondarle la porta perché non rispondeva a messaggi e missive – spegnere il telefono, staccare il citofono, bloccare la Metropolvere e piazzare accanto al letto il secchio e una bottiglia d'acqua.

Infine si appallottolò sotto le coperte e si predispose ad affrontare la sua ordalia.

Ne riemerse, sudaticcia e malandata, nel primo pomeriggio.

Un bagno caldo la aiutò a rilassare i muscoli che aveva teso fino allo spasmo nel tentativo vano di contrastare le ondate di dolore, e una tazza di tè con un paio di biscotti le servì per riassestare almeno un pochino lo stomaco.

Avvisò tutti gli amici che il peggio era passato e che non avrebbe partecipato alla festa di Capodanno, quella sera. Non ne avrebbe avuto la forza.

Era spiaggiata sul divano a guardare un programma senza senso alla TV, quando si rese conto che, contrariamente a quanto succedeva di solito, non aveva alcuna voglia di rimanere sola per tutta la giornata. Forse perché era l'ultimo dell'anno, forse chissà.

L'unica cosa che sapeva era che aveva voglia di vedere Severus, anche solo per qualche minuto.

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Severus alzò la testa quando qualcuno bussò alla porta. Aprì per trovarsi davanti l'Auror che era di turno a guardia dell'edificio – l'unica altra persona che era presente al Ministero quel pomeriggio – con un'aria piuttosto annoiata e una pergamena che gli penzolava tra le dita.

«Un gufo ha appena consegnato questa per lei.»

Ringraziò e si affrettò ad aprirla, perplesso.

Severus, se non sei impegnato, ti va di passare a trovarmi dopo il lavoro? (sì, lo so che sei lì. Immagina i miei occhi rivolti al cielo.)

Oggi ho avuto uno dei miei mal di testa e mi sento un rottame, ma mi farebbe piacere un po' di compagnia.

Hermione

«Perché non lo chiedi al tuo preziosissimo Potter?» sbottò lui ad alta voce, gettando il foglio sulla scrivania. Lei non era rincasata, la notte dopo l'Opera: era passato presto la mattina successiva, prima di recarsi al Ministero, e non l'aveva trovata. Dove altro avrebbe potuto essere se non a casa del piccolo bastardo?

Chissà, magari aveva come abitudine di andare a dormire da Potter, dopo essere stata con lui...

D'altra parte, nessuno dei due aveva mai parlato di rapporto esclusivo: scopavano e basta, quindi che diritto aveva di prendersela se lei passava del tempo con qualcun altro? Se dava il suo cuore e la sua fica a qualcun altro?

Nessuno.

Lui, però, era un debole e un imbecille perché, finito il lavoro, anziché prendere la Metropolvere e tornare a casa, i suoi piedi lo portarono lungo la strada familiare verso Chinatown... e perché, una volta che se la trovò davanti in vestaglia, con i capelli scarmigliati e gli occhi arrossati e lucidi e il colorito pallido di chi non sta affatto bene, tutto ciò che riuscì a pensare era che doveva prenderla tra le braccia e stringerla a sé finché il malessere non fosse passato.

Si spogliò della cappa, delle scarpe, del foulard e del farsetto, rimanendo in camicia e pantaloni, poi si tirò addosso Hermione sul divano e coprì entrambi con una coperta.

La sentì sospirare e gli parve un suono di sollievo, forse perfino soddisfazione.

Rimase a lungo con la strega semiaddormentata sul petto, ad accarezzarle i ricci e a inalare il suo profumo. Si sentiva meravigliosamente e non avrebbe dovuto, ma non riusciva nemmeno a rinunciare a quelle folli, piccole gioie finché duravano.

Hermione si svegliò del tutto intorno alle ventuno, sentendosi affamata. Sentendosi bene.

«Ciao» sorrise, sollevando lo sguardo su Severus. Erano ancora entrambi distesi sul divano e lui si era aperto la camicia sul petto e reggeva un libro con la mano libera, mentre l'altra giocava coi capelli alla base della sua nuca.

Merlino, quanto era bello svegliarsi e trovarlo lì con lei.

Merlino, quanto era bello, Severus. E quanto erano cieche tutte le persone che non riuscivano a vedere la sua bellezza.

Incontrò il suo sguardo nero e brillante e sorridente e il suo cuore accelerò nel vederlo così a suo agio, così tenero. Così... suo.

«Ben svegliata. Come stai?»

«Meglio, grazie. Sei più efficace di qualsiasi pozione» rispose, accarezzandogli il mento e poi la guancia mentre strisciava su di lui per raggiungere la sua bocca con la propria. «Grazie» disse, prima di depositare un bacio dolce sulle sue labbra.

Severus la circondò anche con l'altro braccio e per qualche minuto non si sentì altro che il suono dei loro respiri in sincrono. Un bacio seguì l'altro, teneri come mai erano stati tra di loro. Sembrava che in quel momento la passione fosse un concetto remoto. Per la prima volta, era molto più importante un altro tipo di contatto... che fu interrotto da un rombo come di tuono.

Lo stomaco di Hermione aveva ripreso a funzionare.

Ridendo, Severus si alzò e rimboccò la coperta sotto il mento della ragazza.

«Stai qui tranquilla, alla cena ci penso io.»

Lei saltò su, improvvisamente allarmata.

«Che ore sono?» Guardò fuori, era buio pesto. «Sarà tardissimo! No, no, non preoccuparti per il cibo, avrai qualche festa a cui andare. Vai tranquillo, io mi arrangio.»

Lui rise di nuovo.

«Calmati, Granger. Il mio programma per la serata era di trascorrerla in poltrona con un libro.» Scrollò le spalle. «Non me n'è mai fregato nulla del Capodanno. Quindi mettiti lì buona e tranquilla e lasciami fare.»

In men che non si dica – in certi casi la magia veniva d'aiuto – aveva preparato una zuppa fumante e la servì sul tavolino ai piedi del divano, insieme a del pane che aveva trovato in freezer, del burro e un paio di "jacket potatoes" col tonno.

Cenarono discutendo di pozioni e libri, poi si raggomitolarono ancora insieme sul divano, ciascuno con una tazza di tè fumante in mano, guardando le fiamme nel camino in un silenzio confortevole, finché Severus non lo ruppe.

«Ho riflettuto molto su quello che mi hai detto quella sera, dopo il... BDSM» affermò bruscamente, come se volesse liberarsi in fretta di quelle parole, come se non fosse molto felice di parlarne.

Lei si raddrizzò, attenta.

«... e?» lo incoraggiò.

«E ho fissato un appuntamento con un magipsicologo» sputò fuori lui, in fretta. «Per la metà di gennaio.»

Hermione sorrise, tornando ad adagiare la testa sulla sua spalla.

«Ne sono felice. Credo che sia la decisione giusta.»

Avrebbe voluto dire un milione di altre cose ma, dal modo in cui lui aveva praticamente ringhiato quelle poche frasi, era chiaro che si trattava di un argomento che preferiva non approfondire. La Hermione dei tempi della scuola avrebbe insistito fino a costringerlo a parlare... scatenando un litigio di proporzioni epiche. Questa Hermione aveva imparato ad aspettare e a rispettare gli spazi altrui, ingoiando l'impazienza.

Beh, era una cosa che le riusciva quasi sempre, insomma.

«Questo significa che non mi permetterai più di giocare col frustino?» chiese infatti, infondendo un tono scherzoso alla domanda, anche se in fondo era seria.

«Non credo, Granger o almeno... non così presto. Credo che non sarebbe altrettanto... efficace. Però» la sua voce si fece più profonda, più intensa, come di melassa. Stirò la bocca in sorriso crudele, anche se i suoi occhi brillavano «magari lo userò io su di te, la prossima volta. Se me lo chiederai per favore.»

Un brivido forte, inaspettatamente piacevole le rubò il fiato per un istante. Sì, Severus Snape sapeva come essere un dominante, e lei... lei non voleva negarsi l'esperienza.

Stava ancora cercando una risposta salace, quando lo vide avvampare all'improvviso, e deglutire.

«Che succede?» gli chiese, incuriosita.

«Niente, Granger» fu la ruvida risposta.

Lei lo punzecchiò con un dito sotto il costato, sapendo che l'avrebbe infastidito.

«Dai, cos'hai pensato? Lo so che ti è venuto in mente qualcosa di indecente. E sai quanto adoro i pensieri sconci...» ridacchiò.

Lui sbuffò e incrociò le braccia al petto.

«Daaii!»

Lui distolse lo sguardo, concentrandosi sul cerchio che la sua tazza aveva lasciato sul tavolino.

«Il tuo giochino. Quello ricurvo. Magari possiamo... ?»

Il sorriso di Hermione si allargò. Sapeva che molti maschietti, una volta scoperto quel particolare piacere, amavano ripetere l'esperienza. Anche se non erano gay o sottomessi. E chi era lei per mettersi tra un uomo e la sua ricerca del godimento?

Inoltre, Severus stava perdendo molta della sua rigidità e del suo riserbo, imparando a scoprire ed esplorare sé stesso, ed era una cosa bellissima da guardare.

«Quando vuoi, tesoro. Aspetta solo te.»

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Hermione soppresse l'ennesimo sbadiglio. Era stata una serata immensamente piacevole, trascorsa tra chiacchiere e coccole, ma il sonno iniziava a reclamarla in maniera piuttosto violenta, complice il bicchiere di vino che avevano bevuto a mezzanotte, per festeggiare l'arrivo del 2006.

«Che ne dici se andiamo a dormire?» chiese, e stavolta fu lo sbadiglio a vincere.

«Sì, direi che è giunta l'ora» sogghignò lui «anche perché sono certo che ti addormenteresti comunque, qualsiasi cosa io faccia.»

Si alzarono, e Severus si mise sotto braccio il cappotto e si chinò per prendere le scarpe.

«Cosa fai? Non intendevo scacciarti. Di là ho un letto abbastanza grande per contenere anche uno spilungone come te» scherzò lei, ma aveva il cuore in gola. Improvvisamente era diventato di estrema importanza che lui si fermasse. Che diventasse una presenza più fissa in quella casa, e non uno spettro evanescente che arrivava e subito dopo se ne andava.

Severus provò contemporaneamente tre sensazioni diverse.

Un desiderio profondo e crudo, quello di passare la notte col naso tra i capelli di Hermione e il suo corpo caldo stretto al proprio. Poco importava se non avrebbe potuto permettersi di chiudere occhio.

Un terrore primevo, che gli faceva contrarre lo stomaco per due paure opposte. Quella di assuefarsi a qualcosa che non sarebbe durato, e quella che i suoi spazi venissero invasi in maniera definitiva e completa, che il suo mondo tranquillo venisse ribaltato del tutto.

E infine il fastidio profondo nato sia dal sospetto di essere solo un tappabuchi, il supplente di Potter che di sicuro era fuori a divertirsi, sia dalla sensazione strisciante che lei stesse cercando di scalzare un posto che non le spettava, perché apparteneva a Lily.

«È meglio che io vada a casa mia, Hermione» disse, col cuore che gli martellava alla base della gola. «Ci sentiamo domani.»

In un fluttuare di stoffa, si era smaterializzato.

«È meglio per chi, Severus?» sussurrò Hermione in direzione del punto in cui lui era svanito un attimo prima.

Si lasciò cadere sul divano.

Perché si era illusa che le cose tra loro potessero evolvere?

No, lui restava sempre lo stesso uomo chiuso e imperscrutabile, in fondo. Lo stesso uomo non interessato a lei, al di fuori del sesso, perché il suo cuore era già stato preso, da prima che lei nascesse.

E lei non era altro che la povera scema che gli aveva mostrato le potenzialità del suo corpo. Un incrocio tra un'insegnante di ginnastica e un giocattolo.

Nonostante la stanchezza, quella notte il sonno tardò ad arrivare.


** E dopo tre giorni di mangiate, credo di aver messo su qualcosa tipo 15 chili e di non riuscire più a muovermi dal divano. Come sono trascorse le vostre feste? **

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