Capitolo 39

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Londra, 1 Gennaio 2006

Quel giorno il suo laboratorio al Ministero gli pareva soffocante.

Si sentiva addosso una strana energia, come se i suoi nervi fossero più sensibili del solito, infiammati, come se ci fosse un pericolo imminente e lui non sapesse da che parte sarebbe arrivato l'attacco. Gli sembrava di essere sul punto di esplodere per una frustrazione che non aveva origine.

Non si era sentito così agitato nemmeno negli anni in cui aveva dovuto mentire a Voldemort. Anzi, in quel periodo la consapevolezza che tutto dipendeva dalla sua capacità di mantenere il sangue freddo aveva contribuito a mantenere sempre alta la concentrazione e la calma.

Ora invece non c'erano nemici da combattere, strategie da portare avanti, non c'era niente se non i suoi pensieri in tumulto come mai lo erano stati nella sua vita. Era lui stesso, il nemico.

Dopo aver rischiato di rovesciare per la seconda volta il calderone, gettò a terra lo straccio in un moto di stizza, indossò il cappotto e uscì.

Si trovò di nuovo a vagare e i piedi lo portarono verso la zona di Chinatown.

Sotto casa di Hermione, come un fottutissimo cucciolo abbandonato in cerca dell'ennesimo calcio in culo.

Calcio che arrivò puntualmente quando, dopo dieci minuti che se ne stava impalato da perfetto cretino accanto all'albero sul marciapiede di fronte, il portoncino si aprì e Harry Potter fece la sua comparsa, come l'attore di una commedia di quart'ordine.

Senza guardare né a destra, né a sinistra, il ragazzo si avviò a passi frettolosi verso il Paiolo Magico.

Con una sonora imprecazione, Severus prese la direzione opposta e si perse nella nebbia che, lentamente, stava avvolgendo la città.

Chinatown, Londra, 10 Gennaio 2006

Granger aveva trascorso tutta la settimana precedente e i primi giorni di quella appena iniziata ad Amburgo per una stupida conferenza alla quale il Ministero aveva costretto tutti i pozionisti più giovani a partecipare.

Era rientrata solo quel pomeriggio, ma il giorno precedente aveva trovato il tempo per mandargli un gufo in cui gli faceva gli auguri e gli chiedeva se gli andasse di festeggiare il compleanno con lei, quella sera, seppur con un giorno di ritardo.

Non la vedeva da Capodanno e non aveva intenzione di ammettere nemmeno con sé stesso che gli mancava.

Né aveva intenzione di riconoscere le cause della trepidazione che provava nel suonare il suo citofono.

La trovò al solito posto sul divano, con davanti una piccola torta al cioccolato, su cui aveva messo una candela che aveva incantato in modo che la fiamma prendesse la forma di un "46".

Fu in quel momento che si rese conto – o forse tornò a ricordare, dopo che lei per mesi gliel'aveva fatto dimenticare – di quanto fosse vecchio.

No, non in termini generali, su quello Hermione aveva ragione: come mago era ancora piuttosto giovane. Era vecchio in confronto a lei, però. Un vecchio stupido che non aveva alcun diritto di desiderarla e che, nonostante questo, la desiderava con un'intensità tale da far male.

Sentì il corpo gonfiarsi e fremere e quasi non la fece parlare. La prese in braccio mentre lei rideva, e si avviò verso la camera da letto.

«C'è solo un regalo che voglio, stasera, Granger» le disse roco.

Poi la depositò sul letto e se lo prese, quel regalo. Due volte.

All'unico scopo di soffocare nel piacere la brama assurda e disastrosa che tra loro ci fosse qualcosa di più profondo.

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Quando Severus se ne fu andato, Hermione si ritrovò sul divano, nuda, a finire la torta che avevano avanzato.

Era patetico, sfogare le frustrazioni nel cioccolato?

Probabilmente sì.

Non le importava.

Lui se n'era andato per l'ennesima volta, portandosi dietro il regalo che non si era nemmeno degnato di aprire.

E pensare alla fatica che aveva fatto per trovare quel mestolo speciale, ad Amburgo.

Contemplò l'idea di chiedergli lei di sposarla, la prossima volta che si fossero visti: l'avrebbe posta come una proposta di comodo, per evitare di finire entrambi in matrimoni infelici, in modo da ripararsi dallo scherno e mantenere la propria dignità intatta in caso di rifiuto.

Rabbrividì: sarebbe equivalso a supplicarlo e lei... no, non poteva abbassarsi a tanto.

C'era anche un'altra cosa, un pensiero doloroso come una scaglia di ghiaccio conficcata nel cuore: trascorrere il resto della sua vita accanto all'uomo che amava, ma che non ricambiava il sentimento, l'avrebbe uccisa con una lenta, terrificante, umiliante agonia.

Sarebbe stato un destino peggiore della solitudine.

Diagon Alley, Londra, 13 gennaio 2006

Severus aveva riflettuto molto quando, la sera dopo il suo compleanno, era uscito da casa di Granger col cuore pesante. Pesante perché pieno di qualcosa che non sarebbe dovuto essere lì.

Le sue riflessioni durate un'intera nottata l'avevano portato a una conclusione, e si era dato dell'idiota per non averci pensato prima.

Hermione era l'unica donna con cui avesse mai sperimentato il sesso. L'unica in presenza della quale si fossero scatenate le dopamine, le endorfine e l'ossitocina conseguenti a un rapporto sessuale. Pertanto quelli che provava per lei non erano improbabili sentimenti romantici. No: era semplice assuefazione.

O forse era solo così sfigato da incollarsi all'unica persona che gli avesse mai dato soddisfazione in questo senso.

In ogni caso, il suo attaccamento aveva una spiegazione razionale.

Motivo per cui aveva preso una decisione: sarebbe uscito con un'altra donna, l'avrebbe sedotta – come, non gli era ancora del tutto chiaro, ma in qualche modo avrebbe fatto – e se la sarebbe scopata. Liberandosi così dell'ossessione per Hermione Granger.

La perfetta candidata per quell'esperimento gli era balenata per la mente qualche ora dopo, mentre preparava una pozione allevia-prurito: Amelia Sachs, un'amica di Narcissa.

Vedova quarantottenne, esentata dalla legge matrimoniale in virtù del fatto che aveva tre figli già grandi, di bell'aspetto e anche tollerabilmente sveglia. La primavera precedente la strega si era mostrata piuttosto interessata a lui e Narcissa aveva tentato più volte di indurlo a uscire con lei, ma lui si era sempre rifiutato, per paura che fosse l'ennesima cacciatrice di fama.

Stavolta però non gli importava più di tanto che fosse così: non intendeva costruire con lei una relazione duratura, gli bastava portarsela a letto e forse, con la nuova consapevolezza di sé che aveva sviluppato in quei mesi – anche se non gli piaceva pensare a chi l'avesse aiutato in tal senso – vi sarebbe anche riuscito.

E avrebbe dimostrato a sé stesso che Granger non era affatto insostituibile.

Non si era aspettato, però, che fosse così difficile convincere Narcissa a fare da tramite.

Quando le aveva fatto la sua richiesta, il giorno precedente a pranzo, l'amica l'aveva guardato come se le avesse detto che intendeva sgozzare bambini purosangue per far piacere ai babbani.

«Ti ricordo che eri tu quella che insisteva affinché uscissi con Amelia» le aveva fatto notare lui.

«Beh, ma allora era allora e adesso è adesso. Mi sembrava che i tuoi... interessi vertessero in un'altra direzione, ultimamente» gli aveva risposto Narcissa, una chiara domanda implicita nella sua affermazione.

Lui aveva stretto più forte la maschera intorno al viso e aveva scrollato le spalle.

«Era solo uno svago.»

Narcissa l'aveva fissato a lungo, ma lui non aveva abbassato lo sguardo sotto quello scrutinio. Aveva tenuto testa a maghi ben più potenti di lei.

«Amelia non ti potrà mettere al riparo dalla Legge Matrimoniale, al contrario di...»

«No.» Una sola sillaba, che era risuonata come un ordine. «È inutile che insisti, non parleremo di questo argomento.»

Lei aveva sospirato.

«Come vuoi.»

Quella sera stessa, Severus aveva ricevuto via gufo la conferma che Amelia aveva accettato il suo invito.

Così ora si trovava di nuovo fuori, per le strade di Londra con una bella strega al braccio, per la seconda volta in pochi giorni.

Stavolta non aveva avuto problemi a scegliere l'abbigliamento più idoneo: era andato sul sicuro, indossando la sua vecchia "divisa", dove solo il bianco dei polsini e del colletto della camicia interrompevano la distesa di nero. Niente cappotti babbani, ma un caldo e avvolgente mantello nero.

Il Pipistrello dei Sotterranei in libera uscita.

Amelia non ne era parsa delusa, anzi: gli aveva lanciato un'occhiata di apprezzamento da sotto l'elegante cappello viola.

Avevano consumato un piacevole aperitivo, conversando amabilmente di piante e pozioni – Amelia aveva l'hobby di preparare da sé i propri filtri, pur non essendo una pozionista vera e propria, e aveva un grande giardino dove coltivava personalmente le erbe necessarie, nonché un erbario di tutto rispetto – e ora si stavano dirigendo verso il ristorante all'ultima moda dove Severus aveva prenotato un tavolo.

Erano quasi in corrispondenza dell'incrocio con May Alley, quando il mago si ritrovò davanti le ultime due persone che avrebbe voluto vedere.

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Hermione era esausta, quella sera.

Dopo una settimana impegnativa alla conferenza di Amburgo, che era perdurata anche nel weekend lasciandole poco tempo per riposarsi, una volta tornata aveva dovuto recuperare gli arretrati al Ministero. Come se ciò non bastasse, le sue rare ore libere erano state impegnate da telefonate-fiume con Harry o Ron.

A parte la sera in cui avevano festeggiato il suo compleanno con un giorno di ritardo aveva visto Severus solo di sfuggita, ma il pensiero di lui aveva affollato le sue notti, privandola del sonno.

Aveva sperato che il weekend si prospettasse migliore, ma da come stava procedendo quel venerdì, aveva motivi fondati di dubitarne.

Uscita dal lavoro alle 17:30 in punto, aveva dovuto affrontare una visita a sorpresa di Molly Weasley, che l'aveva aspettata nell'atrio del Ministero per manifestare per la milionesima volta il proprio disappunto riguardo l'imminente matrimonio tra Ron e Harry.

Hermione non ce l'aveva più fatta a trattenersi e le aveva comunicato senza mezzi termini che non avrebbe più tollerato discorsi border-line sull'omofobo né insulti, velati o meno, nei confronti dei suoi due migliori amici, tantomeno avrebbe sopportato ulteriori tentativi di manipolarla. Aveva poi proceduto ad informarla che una brava madre non si sarebbe comportata come lei, ma sarebbe stata felice per il proprio figlio, soprattutto in considerazione del fatto che quest'ultimo era innamorato di una persona rispettabile e degna, che Molly stessa aveva chiamato figlio fino a un mese prima, non certo di un avanzo di galera che se ne andava in giro a molestare i bambini o cose simili.

Infine, dato il suo desiderio di essere nonna di una frotta di nipoti, le aveva suggerito di cambiare atteggiamento, se ci teneva a essere parte della vita dei bambini che Ronald avrebbe adottato.

Non aveva alzato la voce né usato una parola fuori posto, ma forse proprio questo aveva reso il suo discorso ancora più efficace.

Molly se n'era andata paonazza in volto e con lacrime trattenute negli occhi. Hermione non aveva nemmeno avuto il tempo di tirare il fiato, perché quasi subito il cellulare aveva iniziato a suonare: Ron, che si lamentava dell'ennesimo litigio con Harry.

Infine, calmato l'amico, si era incontrata con Harry stesso, per fare un giro a May Alley, la traversa di Diagon Alley dove si concentravano tutti gli esercizi commerciali relativi a ricevimenti, matrimoni eccetera.

Il giovane Auror, stufo di aspettare che la sua futura suocera tirasse fuori la testa dal culo (parole sue) e che, di conseguenza, il suo fidanzato si decidesse a partecipare all'organizzazione delle nozze, aveva deciso di fare una prima scrematura dei servizi di catering e decorazione, soprattutto in considerazione del fatto che, con lo scadere dei termini di Legge, sarebbe stato sempre più difficile trovarne uno libero.

Hermione l'aveva accompagnato col cuore pesante. Col proprio futuro così incerto, e un matrimonio che incombeva sulla sua testa che lei lo volesse o no, le aveva fatto male seguire il suo amico, innamorato e ricambiato, nella propria ricerca del ricevimento perfetto.

Non aveva mai sognato un matrimonio in grande stile, lei, con un abito che l'avrebbe fatta sembrare una meringa e abbastanza fiori da rovinare un ecosistema, ma l'idea che con tutta probabilità le sue nozze si sarebbero ridotte a un mero ottemperamento burocratico la riempiva di tristezza.

«Che ne dici se andiamo a mettere qualcosa sotto i denti, 'Mione?» chiese Harry, uscendo dall'ultimo negozio. «Sono quasi le otto e trenta...»

Il suo sguardo preoccupato continuava a posarsi sull'amica ignara. Si era pentito di averla portata con sé, vista e considerata la sua situazione: era stata una richiesta insensibile, e ora voleva rimediare, offrendole la cena e occupandosi di lei da bravo amico, così come lei si era occupata di lui in quei giorni, anzi, in tutti gli anni della loro amicizia.

Hermione non gli aveva voluto dire nulla, ma lui sospettava da un po' cosa stava succedendo e, anche se Ginny si era rivelata un osso duro e non aveva risposto alle sue domande, il modo in cui le aveva evitate gli aveva detto tutto ciò che aveva bisogno di sapere: Hermione aveva una relazione con nientepopodimeno che Severus Pipistrello Snape, ma era evidente dal viso pallido e dalle occhiaie scure che le cose non si stessero evolvendo come lei aveva sperato.

E il tempo stringeva.

«Non lo so, Harry, sono stanca e vorrei andare a dormire.»

«Torniamo presto, promesso» la blandì lui, prendendole la mano e stringendole le dita in un gesto confortante mentre giravano l'angolo su Diagon Alley «e dopo cena ti compro un tortino al cioccolato di Hannah.»

Lei gli rivolse un sorriso divertito.

«Questo si chiama ricatto, Harry James Potter.»

Fu allora che lui, guardando in avanti, Harry lo vide. Anzi, li vide.

E gli venne voglia di cambiare strada, di smaterializzarsi altrove, di... mollare un sonoro cazzotto sul naso adunco e prominente di Mastro Snape.

Non fece in tempo a fare niente di tutto ciò, perché sentì distintamente accanto a sé la sua amica risucchiare il fiato.

Hermione si sentì avvampare, mentre il cuore dava un battito doloroso.

Severus passeggiava tranquillo in mezzo alla strada, a braccetto con una strega bellissima. Sorridendo a una strega bellissima.

Una strega adulta, matura, raffinata. Coi capelli rossi e gli occhi verdi, proprio come...

Come Lily Potter.

Lui, che non aveva mai nemmeno accennato a voler uscire a cena con lei, che solo pochi giorni prima aveva accettato per la prima volta un suo invito per qualcosa che non fosse "stiamo a casa a scopare", se ne andava in giro felice come una Pasqua per la maledetta Diagon Alley con una donna stupenda al fianco.

Era la prima? Pensò, mentre un dolore intollerabile le invadeva il petto, tagliandole il fiato. Era la prima volta? O da chissà quanto tempo, mentre scopava con lei...

Incontrò lo sguardo di lui, imperscrutabile e nero dietro quella maledetta maschera che era solito indossare, e sentì un brivido di freddo. Il freddo della solitudine.

«Sai che ti dico, Harry?» disse con un tono di voce un po' troppo alto, un po' troppo gioviale, un po' troppo stridulo, aggrappandosi così forte alle dita del suo amico da bloccargli la circolazione. «Ho proprio voglia di quel tortino, anzi due. Ma prima una bella cena! Ciao, Severus» concluse passandogli accanto senza fermarsi.

Per le corna ramificate che Nimue aveva messo sulla testa di Merlino, se ne sarebbe mangiati quattro, di quei cavolo di tortini, pensò marciando lungo Diagon Alley come se volesse perforare la pavimentazione stradale coi tacchi.

«Severus, è tutto a posto?»

La voce bassa e leggermente roca di Amelia riscosse il mago dai pensieri che avevano preso a vorticargli nella testa.

Hemione mano nella mano con Potter, che usciva proprio da May Alley, di tutti i posti.

Più chiaro di così...

Più doloroso di così.

E lui più stupido di così non poteva essere.

Prese un respiro, ricacciando indietro i tentacoli di filo spinato che gli dilaniavano il petto e la pancia, negando il significato di quella sofferenza e chiudendola in una scatola in fondo alla mente.

«Sì, è tutto a posto. Vedere la mia collega mi ha ricordato di una cosa che devo fare al lavoro.»

Amelia rise, tirandolo scherzosamente per il braccio.

«È venerdì sera. Ci penserai lunedì.»

Ma lui sapeva benissimo che ci avrebbe pensato per tutta la notte, non appena rimasto solo.

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La cena era stata abbastanza piacevole da permettergli di non pensare a Granger e Potter. Finito di mangiare, erano andati in un altro locale a bere qualcosa, poi Severus aveva preso il coraggio a due mani e aveva chiesto ad Amelia se poteva accompagnarla a casa.

Lei aveva compreso perfettamente il sottinteso e, una volta arrivati davanti al portone del palazzo in fondo a Diagon Alley dove risiedeva d'inverno, l'aveva fatto salire per un caffè.

Ora si trovavano nel suo salotto, arredato con gusto ed eleganza, entrambi si erano tolti i mantelli e del caffè non c'era nemmeno l'odore.

Amelia si avvicinò, arrivando a sfiorargli le gambe con l'orlo della lunga gonna da strega che indossava.

Aveva un profumo dolce, di cannella e patchouli, e labbra carnose e lucide mentre si avvicinavano alle sue.

Lui chiuse gli occhi e la distanza che ancora li separava, stringendo il corpo formoso della donna mentre assaltava la sua bocca. Il suo sapore, dolce come il suo profumo, gli invase i sensi insieme al calore e al piccolo suono di piacere che venne prontamente affogato dal bacio.

Severus avvertì un fremito al basso ventre e strinse ancora più forte la donna, premendole una mano alla base della schiena, proprio sopra la natica, mentre lasciava che la lingua di lei gli invadesse la bocca.

Era bella, era intelligente, capace, interessante. Era tutto ciò che un uomo potesse desiderare...

Era sbagliata.

Sbagliato il suo profumo, che non sapeva di vaniglia, sbagliato il suo sapore. Sbagliato il seno così voluminoso contro il suo petto e sbagliati i capelli lisci e sottili sotto le dita.

Il fremito avvizzì e morì, e Severus fece un passo indietro, ansimando.

Non ci riusciva. Maledizione.

Amelia lo guardò, con la bocca già arrossata e occhi perplessi.

«Severus...?»

Lui si passò le mani tra i capelli, arretrando ancora.

«Perdonami, Amelia. Tu sei bellissima, ma io... non... ho la predisposizione mentale giusta.»

La bocca di lei si piegò in un piccolo sorriso, consapevole e mesto.

«Che tradotto in inglese significa che hai un'altra per la testa.»

Per la testa. E lo stomaco, e la pancia, e il cazzo...

«Mi dispiace.»

«Credo che sia meglio che tu vada.»

Severus annuì, prese il mantello e si smaterializzò.

Una volta nella solitudine del suo salotto, fece qualcosa che non faceva da tempo.

Caricò un pugno, e lo schiantò contro il muro.

Il colpo non fu sufficiente a schiarirgli la mente. Né a togliergli dalle narici il profumo di Hermione, o l'immagine di lei mano nella mano con Potter.



** Capitolo un po' lungo ma spero non troppo noioso! Ho preferito non dividerlo in due, che sarebbero al contrario stati troppo brevi. Fatemi sapere quali sono le vostre preferenze in merito :) 

... e anche cosa ne pensate della piega che hanno preso gli eventi, ovviamente ;) **

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