Capitolo 5

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Ministero della Magia, Londra, 30 Marzo 2005

«Sei in ritardo, Granger.»

Hermione lanciò un'occhiata all'orologio da parete. Le otto e un minuto. Sospirò.

«Mi dispiace. La signora Collins delle Risorse Umane mi ha intercettata in corridoio e mi ha fatto il terzo grado su come stia procedendo il mio apprendistato. Non mi mollava più.»

«Spero che tu le abbia detto che ho un carattere di merda e che non vedi l'ora che i tuoi sei mesi siano trascorsi per non dover mai più vedere la mia brutta faccia» borbottò lui.

Lei si protese ad appendere la giacca all'attaccapanni per poi prendere il camice, sogghignando.

«Ci ho pensato, ma poi mi sono detta: "perché fargli un favore?" Se parlo male di te, non ti daranno più altri apprendisti» lo rimbeccò infilando le braccia nell'indumento candido. Ormai si era abituata all'umorismo distorto del suo capo, e ogni tanto gli rispondeva a tono, correndo il rischio di trascorrere un paio d'ore a strofinare calderoni a mano pur di togliersi lo sfizio. C'era da dire che, più il tempo passava, meno lui sembrava propenso a punirla per quelle risposte; anzi, pareva quasi che gli fornissero un certo grado di contorto divertimento.

«La tua crudeltà non conosce limiti, Granger. Quando hai finito di gingillarti, abbiamo venti litri di Ossofast da recapitare a San Mungo entro sera.»

«Venti litri?» gemette lei.

Lui fece un sorriso sporco, sarcastico, sollevando solo un angolo della bocca, ben sapendo quanto fosse spiacevole miscelare quella pozione, che per quasi tutta la durata della preparazione esalava sbuffi di vapori caldi e maleodoranti dritti in faccia a chi aveva la sfortuna di dover mescolare l'intruglio.

«Oh, sì. Hanno esaurito tutte le scorte e la prossima settimana riparte il torneo di Quidditch. Li preparerai tutti tu. Io ho delle pratiche amministrative e altre faccende da sbrigare. Non temere, però, ti terrò d'occhio. Vedi di fare in modo che ogni singolo passaggio sia portato a termine alla perfezione, o non vedrai altro che fondi di calderone da pulire per un mese.»

Fu stupefacente, per lui, vedere il modo in cui l'espressione di Granger mutò. Dapprima furono i suoi occhi a illuminarsi, poi gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorriso aperto che le trasfigurò completamente il viso. Severus si affrettò a distogliere lo sguardo.

«Davvero mi affidi una pozione dall'inizio alla fine?»

«Questo è un apprendistato, Granger, non un asilo infantile. Non hai insistito tu, più volte, nel dire che il tuo vecchio datore di lavoro ti lasciava fare tutto da sola anche quando eri al Primo Livello? Ora vedi di non perdere altro tempo.»

«Sissignore. Inizio subito.»

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L'aria all'interno del laboratorio si stava facendo soffocante. Hermione aveva gettato un incantesimo intorno all'enorme calderone dove stava preparando la Ossofast, in modo che la puzza restasse confinata nelle immediate vicinanze - e lei dovesse subirne i miasmi solo quando rimescolava, e non quando era intenta a preparare gli ingredienti sul tavolo lì accanto - ma non c'era modo di contenere il calore sviluppato da una così grande quantità di pozione.

Si passò una mano sulla fronte, infilando un paio di ciocche ribelli nelle mollette che le fermavano lontane dalla faccia.

Lanciò un'occhiata al suo capo.

Dopo aver passato la mattinata immerso in scartoffie di varia natura, sembrava aver deciso che la solita configurazione dello scaffale dei calderoni non gli piaceva più e, da quando erano rientrati dalla pausa pranzo mezz'ora prima, continuava a colpi di bacchetta a spostare, ingrandire o rimpicciolire ripiani. A causa della cappa di umidità rovente che permeava la stanza si era legato capelli, la cui lunghezza era a malapena sufficiente per questa operazione, sulla nuca con un nastro nero, e si era tolto il farsetto. La camicia scura che indossava al di sotto non era esattamente aderente, ma abbracciava le forme del suo corpo a sufficienza per sottolineare un fisico slanciato ma non emaciato.

Dopo aver dato l'ultima delle 25 rimescolate in senso anti-orario che precedevano un tempo di riposo di 10 minuti e 43 secondi durante il quale avrebbe potuto sminuzzare con comodo le radici di asfodelo, Hermione gli passò alle spalle, diretta alla fila di pioli accanto alla porta dove appendeva giacca e borsa.

Senza degnare Snape di un'occhiata, si sbottonò rapidamente il camice e si liberò del maglione prima di trovarsi in un lago di sudore. Arrotolò le maniche della maglietta di cotone a maniche lunghe e del camice e tornò al proprio posto.

«A che punto sei, Granger? Non sento odori molesti, sei sicura di stare facendo tutto come si deve?»

«Sto per preparare l'asfodelo. E non senti odori perché ho lanciato un incantesimo di contenimento.»

Severus provò un duplice moto di fastidio e compiacimento. Il fastidio era dovuto non solo alla voce da so-tutto-io che la poppante assumeva ogni volta che pensava di aver fatto bene qualcosa, ma anche per il fatto che la sua apprendista aveva pensato a quella soluzione senza che nessuno gliel'avesse suggerito – quel beota di Tansyoil, il vecchio maestro di Hermione, che pensava di essere il più grande Mastro Pozionista del Paese, non ci era ancora arrivato alla veneranda età di settant'anni: ne aveva avuta conferma lui stesso il mese precedente quando, per una serie di fastidiose coincidenze, si era trovato nel laboratorio di quest'ultimo per qualche ora – a un'età ben più giovane di quanto non fosse la sua quando aveva avuto la stessa pensata.

Il compiacimento era dovuto allo stesso motivo e, per un attimo, Severus si sentì trasportato nei sotterranei di Hogwarts, quando rari momenti di soddisfazione gli erano stati procurati proprio dal buon lavoro di quei pochi tra i suoi studenti che potevano definirsi intellettualmente superiori a una capra neonata.

Abbandonando momentaneamente la risistemazione dei calderoni, si avvicinò alla postazione di Granger per controllare che il colore e la consistenza della pozione fossero adeguate.

Lì, il caldo soffocante che opprimeva l'intero laboratorio era ancor più pesante. Severus si era già tolto il farsetto, ma non era riuscito a cedere alla tentazione di liberarsi del foulard, che pure gli stringeva fastidiosamente la gola, e di arrotolare le maniche della camicia. L'irritazione di avere una persona tra i piedi tutto il giorno e non poter fare ciò che gli pareva tornò a colpirlo.

Si concentrò sulla pozione, che aveva proprio l'aspetto corretto. Anche l'odore, una volta superata la barriera dell'incantesimo di contenimento, era quello giusto per quella fase di preparazione.

Si spostò al bancone dove la sua apprendista stava pulendo le radici di asfodelo da sminuzzare; lì notò uno strano ammennicolo che Granger aveva posato sul tavolo accanto a sé.

«Granger, cos'è quell'oggetto?» le chiese, infastidito.

«È un cronometro babbano. Infinitamente più preciso di una clessidra, e non si rischia di perdere il tempo se lo si ribalta per sbaglio. Questo è anche impermeabile» rispose lei, compiaciuta. «Non è stato facile trovarne uno che non impazzisse a causa della magia.»

«Fa' come credi» la rimbeccò lui, utilizzando appositamente un tono per niente impressionato, anche se con la coda dell'occhio continuò a studiare l'oggetto. «Basta che non finisci per sprecare ingredienti preziosi, nel caso il tuo mirabilante strumento dovesse cessare di funzionare.»

«Non succederà» rispose lei, sicura, allungando una mano verso il coltello.

Lo sguardo gli cadde sul braccio di lei. Pallido, dalla carnagione quasi cremosa, affusolato... e segnato da una lunga, arzigogolata cicatrice.

No, non una semplice cicatrice. Una parola.

"Sanguemarcio".

«Chi ti ha fatto quella?» chiese a bruciapelo. Non era da lui perdere il controllo delle proprie parole in quel modo, ma una rabbia improvvisa, che credeva ormai morta e sepolta, gli era esplosa nel petto, e lui ci aveva messo un istante di troppo a rimetterla al proprio posto.

Lei, che aveva iniziato a tagliare in pezzi le radici, non arrestò il movimento del polso.

«Bellatrix Lestrange, quando sono stata catturata al Malfoy Manor. Mi ha torturata» rispose con il tono asciutto di qualcuno che sta riportando un fatto neutro. Un tono che, a parere di Severus, non sarebbe dovuto uscire dalla bocca di una ragazza così giovane che parlava di qualcosa di così terribile.

"Maledetto Voldemort, e maledetta anche quella pazza di Bella" si trovò a pensare.

«Ed è ancora così arrossata, dopo tutti questi anni?» chiese ad alta voce.

«Sì, credo che il pugnale che ha usato fosse incantato.»

Lui celò nella tasca del farsetto la mano stretta a pugno.

«Se vuoi, posso preparare una porzione che la faccia sbiadire. Non sparirà, ma non si vedrà più così tanto» propose in tono pacato.

Hermione si girò a guardarlo, sorpresa. Dov'era finito lo Snape sarcastico e distante al quale si era abituata da quando era bambina? Questo Snape sembrava un'altra persona. Sembrava... umano.

Gli sorrise, riprendendo a tagliare.

«Ti ringrazio, è un gesto carino da parte tua, ma non è necessario. Ho scoperto quella pozione mentre studiavo per i M.A.G.O., e l'ho preparata per diversi amici, ma non ho mai sentito la necessità di usarla su di me.»

«Sono inopportuno se ti chiedo perché?»

«No, affatto. Non è un mistero. Questa cicatrice per me è un memento, oltre che motivo di orgoglio. Nei momenti in cui la vita mi pesa, mi ricorda cosa sono stata in grado di superare e, in generale, è un modo per costringermi a non abbassare mai la guardia: se un mostro è stato distrutto, non significa che non ne arriveranno altri.»

Severus non le chiese quali ombre le rendessero la vita pesante. Immaginava che fossero simili a quelle che agitavano le sue notti. Era strano, però, parlare con lei di quelle cose. Strano e... bello, in qualche modo? Gli dava l'insolita sensazione di non essere del tutto solo.

E lo faceva sentire un po' stupido. Se una poppante come lei riusciva a mostrare con orgoglio una parola terribile scavata nella sua pelle, a indossarla quasi fosse una medaglia, perché lui invece aveva paura di scoprire le sue cicatrici? Perché non riusciva a reputarle segni onorevoli del sacrificio che aveva compiuto? O semplicemente rassegnarsi al fatto che, con tutta probabilità, a nessuno importava proprio nulla di che segni portasse addosso?

Perché si faceva condizionare al punto da non riuscire a rinunciare alla propria armatura di stoffa anche quando si trovava sul punto di stramazzare per il caldo e l'umidità?

Prese una decisione impulsiva e si portò le mani alla gola, slacciando il nodo del foulard e togliendoselo, per poi infilarlo in tasca. Poi, lentamente, per ostentare una calma che non provava e contenere il tremito nelle mani, sfilò i bottoni dei polsini dalle asole e, un giro dopo l'altro, rimboccò le maniche della camicia.

Infine, con un gesto che era quasi una sfida, prese un altro coltello dal ceppo e si mise di fronte a Granger, iniziando a sminuzzare.

Lei si era accorta che qualcosa nell'atteggiamento del suo mentore non andava. Si era come irrigidito – beh, era improvvisamente diventato più rigido del solito – e il suo viso aveva preso un'espressione marmorea, come se stesse facendo uno sforzo per celare i propri pensieri. Per qualcuno come lui, che era stato in grado di mentire senza perdere un colpo, per anni, a nientepopodimeno che il Signore Oscuro, era tutto dire.

Aveva preferito fare finta di non notarlo, però, per lasciargli una sorta di privacy. Per lo stesso motivo, aveva dissimulato lo stupore provato nel vederlo liberarsi del foulard e arrotolare le maniche per la prima volta da quando era lì – ed erano passati già due mesi, durante i quali avevano preparato diverse pozioni che generavano parecchio calore.

«Non avevi detto che mi sarei dovuta arrangiare?» chiese, giusto per dire qualcosa.

«L'avevo detto, sì, ma voglio mostrarti il modo più efficiente per tagliare le radici di asfodelo. Vedi, se prima le sezioni lungo le fibre...»

Hermione seguì con interesse i movimenti abili e precisi delle sue mani, il gioco dei tendini sul polso, il guizzo dei muscoli lungo gli avambracci. Qualche vena in rilievo conferiva alle sue braccia un aspetto profondamente mascolino, e lei ne fu incantata. Il Marchio, ormai sbiadito, non la disturbava affatto e la rete di cicatrici, argentee sulla pelle chiara, raccontavano una storia di forza e determinazione che l'affascinava.

I suoi occhi scivolarono verso l'alto, oltre l'orlo arrotolato delle maniche, oltre le spalle dritte, oltre il colletto della camicia che non riusciva a nascondere i segni indelebili del morso di Nagini. Lì si soffermarono, per farle rivivere nel tempo infinito di un battito di cuore il terrore e l'angoscia di quando l'aveva visto morire.

Invece non era morto ed era lì, vivo e vegeto e forte davanti a lei, che provò una spinta fortissima a sollevare lo sguardo, per incrociare quello di lui. Nero, profondo e brillante.

Vi affogò, domandandosi cosa Severus Snape nascondesse dietro quel muro d'ossidiana.

Fu un attimo, poi la voce di melassa di lui la riportò al presente.

«Se hai finito di dormire in piedi, Granger, potresti farmi vedere se hai capito di ciò che ho appena spiegato.»

Lei chinò il capo, sentendo un assurdo rossore salirle alle guance, e si affrettò a dimostrare, per la milionesima volta da quando aveva iniziato quell'apprendistato, di non essere una completa imbecille.

Merlino, che uomo irritante!

** Non so perché, ma oggi ho un sonno assurdo. Sarà l'arrivo dell'autunno?

Fatemi sapere se vi piacciono le prime interazioni tra i nostri bisbetici eroi :D
Buon fine settimana a tutti! **

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