Capitolo 51

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Île au Benitiers, Mauritius, 5 Marzo 2006

La mattina dopo il matrimonio, Severus si era alzato prima dell'alba per assicurarsi che Hermione non si accorgesse che aveva dormito altrove. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare il discorso, spiegarle che non avrebbe mai potuto dormire con lei perché le avrebbe impedito di chiudere occhio coi suoi incubi, che lo portavano a urlare e ad agitarsi, a volte fino a strappare le lenzuola. Aveva paura che condividere con lei quella sua ennesima debolezza l'avrebbe allontanata ancora di più, diminuendo le sue già scarse possibilità che un giorno Hermione potesse guardarlo con affetto, se non con amore. Inoltre non voleva caricare quell'ulteriore peso sulle spalle di una ragazza costretta a sposare un vecchio e a rimanere incinta di suo figlio entro dodici mesi. Di un figlio che forse nemmeno voleva...

Hermione era emersa dalla camera da letto intorno alle otto, ora locale, un po' insonnolita e del tutto adorabile. Severus aveva provato un desiderio folle di stringerla tra le braccia, tenersela addosso su una delle sdraio sul terrazzo e rimanere per ore con lei a contemplare il mare, con l'odore dei suoi capelli tra le narici e il suo calore a scaldargli la pelle.

Aveva anche ripensato alla mattina al B&B di Nelly, quando lei gli era montata a cavalcioni marcando il suo destino, e il suo cuore aveva preso a palpitare nel petto. Beh, non era stato il solo organo a palpitare.

Lei però l'aveva praticamente ignorato, procedendo a consumare la propria colazione e dando il via a una routine che avrebbe caratterizzato i giorni a venire.

Passavano le giornate a sguazzare nella piscina o in mare – Hermione gli aveva perfino insegnato a fare snorkeling, con l'ausilio di un tubo di schiuma colorata – o a leggere ciascuno sulla propria brasiliana, ma sempre con un certo distacco.

Sparita l'amicizia in boccio che si era sviluppata tra di loro nel corso dell'autunno, sparito lo spirito cameratesco che aveva caratterizzato il viaggio a caccia di ingredienti, sparita perfino la confidenza che avevano costruito nei mesi da insegnante e apprendista: ogni gesto di Hermione era caratterizzato da una distaccata cortesia che gli stava strappando la pelle dal corpo.

Se si fosse immaginato come si sarebbe comportata la ragazza se al posto suo fosse stata costretta a sposare un perfetto estraneo, beh... sarebbe stata proprio quella, l'immagine mentale che si sarebbe costruito.

I momenti peggiori, però, non erano quelli in cui Hermione si teneva a distanza, assicurandosi di non sfiorarlo nemmeno per sbaglio.
No, i momenti peggiori venivano dopo cena, quando lei lo invitava a raggiungerla in camera, spogliava entrambi con gesti efficienti e poi lo sospingeva a sdraiarsi supino sul letto. E lo montava, una, due volte, prendendosi il suo piacere e regalando a lui un godimento così doloroso da lasciarlo spossato e svuotato. Lo faceva tenendogli le mani accanto alla testa sul cuscino così come lui aveva fatto con lei la prima sera, mantenendo il proprio corpo staccato da quello di lui se non per il punto in cui permetteva al suo cazzo di sprofondare dentro di lei. I suoi occhi si serravano quasi subito quando si calava su di lui, per riaprirsi solo dopo, per i pochi secondi necessari ad augurargli la buonanotte prima di girarsi sul fianco e lasciarsi prendere dal sonno.

Lo faceva impazzire non riuscire a capire perché lei si comportasse in quel modo. Perché andare a letto con lui, se toccarlo era diventata una tortura così insostenibile da non riuscire nemmeno più a guardarlo mentre lo accoglieva dentro di sé?

Non era costretta a farlo, non ancora: il Ministero aveva magnanimamente concesso alle coppie "non spontanee" di rimandare di un mese l'inizio della ricerca di una gravidanza, per dare loro il tempo di abituarsi alla reciproca presenza, quindi avrebbe potuto rifiutare ogni contatto fisico ancora per un po'... e invece era lei che lo cercava.

E lui, lui perché si lasciava usare a quel modo? Come uno stupido dildo sul quale muoversi per ricavarne un paio di orgasmi senz'anima?

Perché era ubriaco di lei, dipendente dal suo odore e dal contatto della sua pelle, ecco perché. Perché come un cane affamato si accontentava delle briciole ammuffite che lei gli sbatteva addosso.

Perché era un idiota incapace di costruire un rapporto normale, che poteva solo mendicare l'affetto di persone che con tutta evidenza non glielo volevano dare.

Diventava sempre più difficile non far affiorare il tumulto di emozioni che aveva dentro, dolore, paura, senso di perdita, desiderio. Sempre più difficile sopportare la solitudine che derivava dal muro tra di loro. Sempre più difficile stare fermo, aspettare che fosse lei a dare il via ai giochi, quando le sue dita non volevano altro che percorrere all'infinito le curve di Hermione, la sua bocca non voleva altro che baciare ogni centimetro di lei, e il suo cazzo non voleva altro che affondare in lei ancora e ancora e ancora fino a far male.

Faceva già male.

E così ora si trovava a seguire con lo sguardo ogni suo movimento dalla propria postazione sul divanetto. Un toy boy, ecco cos'era nonostante la differenza d'età, un patetico sex toy lasciato in un angolo a prendere polvere finché non fosse venuto il momento di usarlo ancora.

"È così che vuoi passare il resto della tua vita, Severus?" gli chiese la sua voce interiore, mentre Hermione usciva dalla piscina e lui guardava con la bocca arida le gocce d'acqua che le percorrevano la pelle, i piccoli capezzoli che spingevano contro la stoffa del costume. "A sbavare per lei, senza nemmeno provare a riprenderti almeno ciò che avevi fino a pochi mesi fa?"

A quel pensiero, qualcosa dentro di lui scattò.

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Hermione stava andando in pezzi e non sapeva più come fare a tenersi insieme. Ogni mattina si svegliava, sola, e si riproponeva di affrontare Severus, iniziare un discorso nel quale gli avrebbe detto che sapeva che lui amava ancora Lily e gli avrebbe proposto un accordo in base al quale ciascuno avrebbe vissuto la propria vita separatamente, incontrandosi solo a scopo procreativo.

Era ormai certa che solo lontana da lui sarebbe riuscita a mantenere un minimo di sanità mentale. Forse.

Stare in quel posto, muovendosi in uno spazio ristretto pregno del suo profumo, incrociare ogni pochi minuti il suo sguardo era una tortura. Era una tortura guardarlo seduto sul divano, con indosso un paio di pantaloni leggeri e una camicia di lino aperta sul petto, senza poterlo toccare.

Oh, avrebbe potuto, lo sapeva... ma se l'avesse fatto, se avesse ceduto alla tentazione, si sarebbe persa del tutto. Gli avrebbe confessato che lo amava, e lui avrebbe perso la poca voglia che aveva di condividere il proprio tempo con lei.

Ogni sera, però, si ritrovava incapace di resistere oltre. Allora lo spingeva in camera e lo prendeva, tenendolo fermo, tenendo gli occhi chiusi per timore di vedere l'indifferenza sul suo viso, chiusi per poter immaginare un mondo in cui era lei, l'oggetto del suo amore, anziché essere solo il buco nel quale svuotarsi le palle, nemmeno degno di dormirci accanto.

Solo il rumore dolce e costante del mare riusciva a trasmetterle un minimo di serenità. Non sapeva come avrebbe fatto, una volta tornata in Inghilterra. Dove avrebbero abitato, poi, non lo sapeva ancora. Non ne avevano nemmeno parlato.

Sospirò, spegnendo l'idromassaggio. Era a mollo nella piscinetta da più di un'ora, se fosse rimasta ancora lì le sarebbero venute le branchie. Doveva trovare il coraggio di parlare con Severus, al di là dei sentimenti c'erano delle questioni pratiche di cui dovevano discutere, ma ogni volta che posava lo sguardo su di lui, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era l'immagine per sempre incisa nelle sue retine, di lui che dormiva con la foto di Lily.

Uscì dall'acqua e, bagnata com'era, si avviò verso la camera per prendere l'asciugamano che aveva dimenticato lì.

Quando arrivò all'altezza del divanetto in paglia, lo sguardo di Severus le bruciò la pelle, ma lei si sforzò di ignorare il brivido che la percorreva da capo a piedi e il dolore che le stringeva il diaframma e continuò a camminare.

Lo sentì alzarsi e, prima che potesse reagire in qualche modo, un braccio forte le aveva circondato il ventre, bloccandola.

Annegò nel suo odore, nel calore del suo petto contro la schiena bagnata.

«Hermione.»

L'ombra di un bacio sul collo, la pressione di una mano sul costato, proprio sotto al seno.

Non riusciva a muoversi. Riusciva solo ad appoggiarsi a lui, con le ginocchia molli e il cuore a mille.

«Dimmi che non ti piace più» mormorò lui, baciandole ancora il collo a fior di labbra. La sua mani salì fino a sollevare l'orlo del reggiseno, a sfiorare la pelle morbida della mammella. «Dimmi che non vuoi più che ti tocchi.» Un altro bacio, dietro all'orecchio. Un brivido inarrestabile. L'altra mano che scivolava verso il basso, oltre l'elastico degli slip. Giù, fino al monte di Venere e oltre, a lambire in punta di dita la sua intimità bagnata. «Dimmi che non sei eccitata.» Un morso sulla clavicola. Dita che si stringevano sul capezzolo già teso. Altre dita che scivolavano lungo le sue pieghe madide, stuzzicandola, fermandosi davanti alla sua apertura. La pesante rigidezza del suo membro contro la schiena. «Dimmi che mi devo fermare.» Due dita la penetrarono a fondo, e lei gemette, oscillando il bacino.

«Fermami, Hermione» la incalzò. Iniziò a scoparla con le dita, con forza, premendo in tutti i punti giusti mentre le torturava il seno e il capezzolo, le divorava il collo e l'orecchio. Lei non poté che ansimare senza ritegno, rispondendo ai suoi movimenti, premendosi contro le sue mani e la sua erezione. «Fermami, perché io non ho alcuna intenzione di fermarmi.»

Lo voleva, Merlino se lo voleva, ma non era capace di dirglielo. Lei, che aveva sempre preso tutto di petto con la potenza di uno schiacciasassi, ora era come plastilina nelle sue mani e nelle mani di un amore disperato.

Lui la spinse in avanti, facendola camminare senza smettere di toccarla, finché il tavolo del soggiorno non le sbatté contro le cosce e lei si accorse che aveva chiuso gli occhi.

Li riaprì di scatto, giusto in tempo per scostare la brocca dell'acqua mentre lui la faceva reclinare sulla superficie lucida e le scostava le mutandine.

"Sì, Merlino, sì" fu l'unica cosa che riuscì a pensare, prima che lui accostasse la punta del glande alla sua apertura e spingesse.

Severus affondò con decisione, quasi con rabbia, lasciando che dalle labbra gli sfuggisse un gemito gutturale, primevo.

Se era un sex toy che lei voleva, pensò, era quello che avrebbe avuto. Il miglior sex toy al mondo, quello che non le avrebbe dato pace. Quello che le avrebbe fatto provare gli orgasmi più intensi, quello che l'avrebbe presa finché non avesse chiesto pietà, e anche oltre.

Il pensiero in qualche modo lo infiammò, e si trovò a scoparla come mai aveva fatto prima, con una foga quasi distruttiva, che rasentava la violenza. Con una mano le stringeva i seni dai capezzoli duri come la pietra, con l'altro le stuzzicava senza pietà il clitoride già gonfio. Ogni colpo le strappava un "sì" che lo incitava a continuare, a prenderla con forza crescente. Andò avanti per diversi minuti, fino a sentirla contrarsi, venire sussultando come una cavalla imbizzarrita; sentì i suoi succhi esondare e bagnargli le palle e le cosce, ma non si fermò. Continuò a muoversi, ad affondare, finché la sentì prepararsi a venire di nuovo, e anche lui si lasciò andare al piacere, svuotandosi con furia dentro di lei.

E ancora non si fermò, troppo carico di desiderio infiammato dalla reazione di lei, per perdere anche solo di una frazione la propria rigidezza. La sentì gemere parole incoerenti, ma il bacino che oscillava venendogli incontro a ogni spinta gli diede lo sprone per continuare.

Le fece allargare un po' i piedi, piegò le ginocchia per riuscire a compiere un movimento più ampio, uscendo fino alla punta per poi schiantarsi in lei fino alla radice. Le sue dita agili non smettevano di stringere e sfregare il clitoride infiammato e lei iniziò a gridare. Le contrazioni dei suoi muscoli, ormai incessanti, si fecero più intense, stringendolo in una morsa che lo stava precipitando a velocità incontrollata verso un baratro profondo come non l'aveva mai provato, nemmeno la volta in cui lei l'aveva legato e torturato. E rispose con colpi ancora più secchi, più profondi.

«SEVERUS!» urlò lei, un attimo prima di lasciarsi andare a un orgasmo che la fece sobbalzare e scalciare e sobbalzare ancora.

Fu il suo nome, gridato come una preghiera, ad aprirgli i cancelli del Paradiso. La scossa che gli si trasmise dallo scroto fino alla punta del pene fu la più potente che avesse mai provato, e il mondo intorno a lui divenne nero mentre veniva, sussultando e gridando.

Si accasciò in avanti, sulla schiena sudata di Hermione, lottando per riprendere fiato mentre continuava a muoversi dentro di lei, più dolcemente, più lentamente, finché il suo pene non iniziò a rimpicciolirsi.

Solo allora si fermò, ma senza uscire da lei. Appoggiò la fronte tra le sue scapole, passandole un braccio sotto lo stomaco per stringerla. Non voleva più lasciarla andare.

Infine sollevò la testa.

Lei si era voltata a guardarlo.

Aveva gli occhi spalancati e arrossati e una strana espressione in viso. Sembrava che le sue iridi castane contenessero tutta la sofferenza del mondo.

Fu come ricevere una doccia gelida all'improvviso.

«Oddio, piccola, ti ho fatto male?» riuscì ad articolare, mentre la sollevava. In due passi era sul divanetto, con Hermione in grembo, appoggiata al suo petto.

«Hermione, ti ho fatto male?» ripeté, sentendo il panico montare. Non se lo sarebbe mai perdonato, se nella foga l'avesse ferita.

Lei scosse la testa, una, due volte, tenendo il viso affondato nell'incavo del suo collo, e lui sentì la tensione abbandonarlo.

Le accarezzò i capelli, la schiena nuda, mentre il respiro di entrambi lentamente si calmava. Non riusciva a pensare che a lei, a quanto fosse perfetto il suo peso addosso, il calore della sua pelle contro la pelle. Così perfetti che avrebbe voluto tenerla in quel modo per sempre.


** Spero che ora siate un pochino meno frustrati :D 

... dai che ci siamo quasi! **

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