1- Quel gran bastardo di Kant

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Avviso ai vecchi lettori: fino al capitolo 7 (escluso) la storia è rimasta invariata, ho solo apportato qualche miglioria a livello stilistico, ma non ci sono novità a livello di trama, perciò decidete voi se continuare a leggere o saltare direttamente a quel capitolo.

Torino, 16 febbraio - Due anni dopo

Alessia sfogliava il libro di filosofia con la meticolosità tipica di un insegnante umanista di mezza età. Ferma al centro del bagno, lo sguardo serio fisso sulle pagine, incuteva più timore del professore stesso. Il tanfo di fogna era insopportabile. Il primo water accanto alla porta era intasato e da giorni stagnava il piscio di qualcuno, e chissà che altro, nel buco, ma questo sembrava non scalfire la ragazza. Il suo naso, come quello di qualsiasi studente dell'istituto, era ormai anestetizzato agli odori più assurdi.

"Perché l'opera viene chiamata da Kant Critica della Ragion Pratica e non Critica della Ragion Pura Pratica?" esordì, dopo alcuni istanti di attenta riflessione.

Emilia si batté un pugno sulla fronte e strinse così forte gli occhi da riempire la fronte di rughe.

Alessia restò in attesa, lo scetticismo impresso in volto. Sapeva che il professore sarebbe arrivato in classe a breve e che quel cambio d'ora trascorso in bagno non avrebbe salvato l'interrogazione dell'amica.

"Emilia".

"Aspetta, giuro che lo so".

"Io non...".

"E va bene, non lo so, non so un cazzo".

Alessia chiuse il libro che teneva tra le mani con un tonfo. Alcune ciocche di capelli castani vennero sollevate dallo spostamento d'aria.

"Vogliamo iniziare ad aprire i libri o vogliamo farci rimandare?".

"Ale, siamo a febbraio, non rompere".

"Hai detto così anche l'anno scorso e cos'è successo? Ti hanno rimandata in latino".

Emilia si lasciò cadere contro il muro, una fila di tre lavandini addossati a una parete piastrellata lilla a dividerla da Alessia.

Detestava studiare filosofia. E latino. E chimica. Forse detestava studiare in generale e maledisse sé stessa per il giorno in cui, da ingenua studentessa di terza media con la media del nove tirato, aveva scelto di iscriversi al liceo classico.

"Un'altra domanda?" esclamò, rivolgendo ad Alessia uno sguardo demoralizzato.

La ragazza scosse il capo. "Torniamo in classe, vah".

"Non voglio".

"Guarda che nascondersi in bagno non è più una tecnica valida da almeno dieci anni".

"Potrei andare a chiamare Ugo, il tecnico" incalzò Emilia, tentando con scarsi risultati di convincere, prima ancora che l'amica, sé stessa. "Dirgli che il bagno è intasato e fare una sceneggiata. Perderei tutta l'ora e Baroni non avrebbe tempo di interrogarmi".

"Guarda, non so se sia più improbabile che la tua idea funzioni o che prima o poi il bagno venga riparato sul serio".

Emilia non ebbe tempo di controbattere, ché l'attenzione di entrambe venne dirottata. Una ragazza entrò in bagno come una furia e si infilò nel primo gabinetto, sbattendo la porta con un tonfo.

"Beh, torniamo in classe?" esclamò Alessia, come se nulla fosse accaduto.

Emilia non diede segno di volersi muovere. "Non dovremmo dirle che quel bagno è intasato?" mormorò, indicando con un cenno del capo la porta dalla vernice scrostata.

"Emi, no, fatti gli affari tuoi".

Le ragazze si scambiarono un'intensa occhiata, come un toro e un torero nell'arena, nel tentativo di convincersi vicendevolmente che la propria idea fosse la migliore.

"Ehi" esclamò Emilia, guadagnandosi un'occhiataccia dall'amica. "Forse non lo sai, ma quel bagno è intasato, rischi che si allaghi il pavimento se lo usi".

Dall'interno del gabinetto arrivò un singhiozzo sommesso. "Ok, grazie".

"Sta piangendo" mormorò Emilia, allarmata.

Alessia aveva già un piede fuori dal bagno. "E che vuoi fare? Saranno affari suoi, non pensi?".

La mora scosse il capo. "Non possiamo non fare niente, poverina".

Restarono zitte per alcuni istanti. Il silenzio era interrotto soltanto dai singhiozzi della ragazza nel gabinetto.

Emilia conosceva troppo bene quella sensazione per restare indifferente. Aveva trascorso gli ultimi mesi del secondo anno chiusa in bagno a piangere, incapace di abituarsi alla collezione di insufficienze che stava accumulando, terrorizzata di fronte alla prospettiva di essere bocciata. Il senso di solitudine che aveva provato era stato opprimente.

Bussò. Alessia la fulminò con lo sguardo, ma la ragazza ignorò l'occhiataccia.

"Tutto bene lì dentro?".

"Sì sì, grazie" mormorò la sconosciuta, le sillabe interrotte dai singhiozzi.

"Ti va di aprire?".

Dal gabinetto non arrivò risposta.

"Dai, andiamo" mimò Alessia con la bocca, ormai spazientita, guadagnandosi dall'amica un taci espresso a gesti.

"Vogliamo solo vedere come stai" incalzò Emilia, il tono di voce dolce e rassicurante.

Ci furono altri singhiozzi. "No, davvero, andate tranquille" rispose la ragazza con voce rotta.

Alessia tamburellava con le dita sulla copertina del libro di filosofia, nervosa, ma rassegnata. Conosceva Emilia e sapeva che, quando si metteva in testa qualcosa, nulla avrebbe potuto smuoverla. E se lei non era d'accordo, non aveva che due scelte: lasciarla sola nella sua impresa o restarle accanto per evitare che si cacciasse in qualche guaio.

"C'è una regola non scritta riguardo il bagno delle ragazze, sai?" aggiunse Emilia, sorridendo. "Mai lasciare una ragazza a piangere da sola".

Alessia si portò una mano alla fronte. "Nemmeno gli aforismi di Fabio Volo mi fanno così cagare".

La ragazza chiusa in bagno rise ed Emilia rivolse uno sguardo complice all'amica. "Scusaci, il fatto è che non voglio lasciarti lì da sola, so quanto può essere brutto".

"Se fossi al suo posto, ti avrei già mandata a cagare" sussurrò Alessia, ormai coinvolta, ma incapace di lasciare da parte il proprio cinismo.

Emilia pestò un piede per terra. "Voglio ricordarti come siamo diventate amiche noi due?".

"Era diverso, eravamo compagne di classe, ci conoscevamo già".

"Era il secondo giorno di scuola".

La porta del gabinetto si aprì e la ragazza sbucò timidamente. I ricci biondi erano arruffati, gli occhi gonfi e il viso arrossato.

Emilia le sorrise. "Eccoti".

La ragazza si tolse gli occhiali tondi e si passò un pezzo di carta igienica già usato sugli occhi.

"Aspetta" esclamò Alessia, tastandosi frenetica le tasche dei jeans. "Tieni".

Porse un pacco di fazzoletti alla ragazza, la quale abbozzò un sorriso. "Grazie mille".

Ci furono alcuni istanti di silenzio. Emilia e Alessia si scambiarono delle occhiate imbarazzate, mentre la sconosciuta continuava a soffiarsi il naso e ad asciugarsi le lacrime.

"Ci siamo già incrociate nei corridoi, vero?" esclamò Emilia, nonostante quel viso non le fosse per niente familiare.

"Sì, può darsi".

"Di che classe sei?".

"Quarta A".

"Ahh, i secchioni della quarta A" intervenne Alessia. Il suo sorriso fece comparire due fossette sul viso tondo. "Quindi avete la Bianchi di latino?".

"Sì".

"Parla sempre benissimo di voi, dice che siete la sua classe migliore, mentre noi, a quanto pare, facciamo schifo".

La ragazza scoppiò a ridere. "Ma no, dai".

"Oh, sì, invece, da noi sclera ogni tre per due ".

"Siamo la celeberrima quarta D" le fece eco Emilia.

La riccia sorrise divertita. "Quelli che fanno i cori dalle finestre?".

"Proprio noi" esclamò Alessia, con una punta di orgoglio. "Comunque piacere, io sono Alessia".

"E io Emilia".

La ragazza si sciolse in un sorriso e strinse la mano alle due amiche. "Piacere mio, Rebecca".

La sua figura aggraziata era fuori luogo in quel bagno sgangherato: alta ed esile, con indosso una salopette in velluto color mogano e un paio di scarpette di vernice ai piedi, sembrava sgusciata fuori da un romanzo di Luisa May Alcott.

"Sono in condizioni oscene" esclamò, guardando il proprio riflesso in uno degli specchi sopra i lavandini. Aveva smesso di piangere, ma le sue palpebre erano ancora gonfie e violacee.

Emilia allungò una mano nella sua direzione. "Se vuoi ti tengo gli occhiali, così ti sciacqui la faccia".

Rebecca annuì, si lavò il viso e, dopo essersi asciugata e data una sistemata ai capelli, domandò: "Sembro tanto una che si è chiusa in un bagno a piangere come una disperata?".

Emilia e Alessia si scambiarono un'occhiata perplessa, poi scoppiarono a ridere.

"No, dai, non particolarmente".

La ragazza sorrise e si strofinò ancora una volta gli occhi.

Emilia non riusciva a scacciare la preoccupazione. Non conosceva Rebecca, eppure provava una forte empatia nei suoi confronti e si sentiva inspiegabilmente legata a lei.

"So che siamo due sconosciute" disse. "Ma se ti va di dirci quello che è successo ti ascoltiamo".

"Emilia". Alessia ammonì l'amica con uno sguardo. "Scusala, non vogliamo impicciarci nelle tue cose".

"No, tranquille, tranquille. Niente di che, solo un'incomprensione con le mie compagne". Rebecca abbassò lo sguardo e fissò le punte dei piedi. "Beh, ora mi sa che devo tornare in classe".

"Certo, anche noi". Alessia colpì l'amica sulla schiena. "'sta storta deve passare di filo e non sa niente".

"Accidenti, buona fortuna, Emilia".

"Grazie". La ragazza nascose il volto tra le mani. "Anche se so già che prenderò due".

Rebecca scoppiò a ridere. "Sono sicura che andrà tutto bene". Si dondolò sulle punte e sui talloni, torturandosi le mani. "Grazie ancora per l'aiuto, ragazze. Ci vediamo".

"Ci vediamo, Rebi".

"Buona mattinata".

La ragazza si allontanò e le due amiche si avviarono verso la loro aula, attraversando il corridoio del secondo piano, che si affacciava sul cortile interno della scuola. Le pareti erano tinte di un azzurro smorto e il pavimento era a rombi bianchi e neri.

Emilia guardò di sottecchi Alessia, un sorriso sornione dipinto in volto. "Visto? Abbiamo fatto bene a insistere".

"Ok, ma le hai rotto un sacco le palle, devi ammetterlo".

"Alessia, vaffanculo".

Emilia spalancò la porta dell'aula.

I compagni che dovevano essere interrogati insieme a lei erano già seduti attorno alla cattedra e le rivolsero un'occhiata infastidita. Ed ella, se non ci fosse stato il professore in aula, avrebbe volentieri alzato il dito medio verso ognuno di loro.

"Derossi, Martucci, stavate pomiciando in bagno?".

Alessia rise sarcastica. "No, prof, sono due anni che le ripeto che non mi farei Emilia Martucci nemmeno da sbronza".

Spazio autrice:

Ehilà gente, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Vi ho presentato un nuovo personaggio, Rebecca, a cui mi auguro possiate affezionarvi tanto quanto ho fatto io.

E Federico che fine ha fatto? Sono passati più di due anni dal caffè sulla camicia prima dell'assemblea e in questo capitolo non si è visto... Non vi spoilero nulla sul suo ritorno sulla scena, ma vi dico solo una cosa: vi aspetta il peggio hahaha.

E niente, prima di concludere ci tenevo a raccontarvi una piccola chicca sullo scambio di battute finali: anche se il dialogo tra Alessia e il professore di filosofia può sembrare forzato e irrealistico, è in realtà preso da un reale dialogo che c'è stato nella mia classe.

Detto questo, vi saluto, grazie mille per tutto il supporto, ci vediamo martedì❤️

Baby Rose

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