23- La vita è un pendolo

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17 aprile- Pomeriggio

Dopo le prove, Emilia e Federico avevano scoperto di abitare entrambi nel quartiere San Salvario, in due vie poco distanti. Tornare a casa insieme era quanto di più ovvio potesse accadere ed Emilia aveva tirato un sospiro di sollievo quando Giorgia Gerbaudo, una ragazzina del primo anno, aveva chiesto di potersi unire a loro, così da non fare la strada da sola.

Era Federico a reggere la conversazione e sembrava perfettamente a proprio agio in quei dialoghi privi di importanza. Con la sua attitudine da politico, riusciva a vendere il più inutile degli argomenti come fosse un verso del vangelo e a intrattenere le persone senza sforzo alcuno. Giorgia pendeva dalle sue labbra: era raro che gli studenti del primo anno ricevessero considerazione da quelli del quinto, ma Federico non era il tipo di persona irrispettosa che si rivolgeva a qualcuno con aria di superiorità soltanto perché più piccolo.

Le strade che percorrevano racchiudevano tutta l'essenza di Torino. San Salvario era il connubio perfetto di bellezza e bruttezza: sporcizia e creatività si scontravano con l'austerità e la riservatezza sabaude dei palazzi e per la via era facile incontrare una signora imbellettata tanto quanto un artista strafatto.

Era vivace e contraddittorio. Ed Emilia amava vivere in un luogo in cui era libera di non definirsi.

"Raga, io devo andare di là".

Giorgia si fermò ad un incrocio ed Emilia ebbe un sussulto. Non aveva tenuto in conto che la ragazza potesse cambiare strada prima dell'arrivo a casa ed ebbe l'istinto di fermarla.

"Grazie per aver fatto la strada con me. Ci vediamo alle prossime prove".

Salutò i due con un sorriso allegro e girò sui tacchi, lasciandoli da soli in mezzo all'incrocio confusionario. Emilia si guardava attorno, distratta, come se non avesse mai visto quelle vie e trovasse i palazzi una novità estremamente interessante. Non vedeva l'ora di tornare a casa, ogni minuto del pomeriggio sembrava interminabile.

"Via Ormea alta, giusto?" domandò Federico.

La ragazza annuì e si incamminarono in quella direzione. Il marciapiede rovinato costeggiava una fila di macchine parcheggiate e, di tanto in tanto, facevano capolino dei grossi bidoni dell'immondizia colorati, che diffondevano una puzza insopportabile. Lo spazio per i pedoni era così stretto che le loro braccia si sfioravano.

"Conosci l'ex Cinema Bianchi?".

Emilia scosse il capo e Federico aggiunse: "Cioè, sei di San Salvario e vuoi farmi credere che non sei mai andata lì a bere o a imboscarti con Costantini?".

La ragazza rise imbarazzata e distolse lo sguardo. "Proprio perché sono di San Salvario e ho casa qui vicino non ho bisogno di posti strani in cui andare con Andrea".

"Giustamente" rispose Federico, ridendo. "Comunque scherzo eh, in realtà ci si va più che altro per bere e fumare, perché gira sempre un po' di gente".

Camminarono per alcuni metri, in silenzio, finché il ragazzo non scorse qualcosa di familiare e arrestò il passo.

"Ti va di vederlo? È qui".

Indicò con la mano un vicoletto alla sua destra ed Emilia si affacciò titubante. "Perché dovrebbe interessarmi un posto dove la gente va ad alcolizzarsi?".

"Perché ha una vista che è uno spettacolo".

Emilia restò col fiato sospeso. Sapeva che trascorrere altro tempo con Federico avrebbe peggiorato il suo stato d'animo, rendendola ancor più colpevole e ridicola. Però era curiosa. Curiosa di sapere come sarebbe andata.

"Va bene, andiamo".

Svoltarono nella traversa, così stretta che i palazzi lasciavano intravedere solo un rettangolo di cielo. La puzza di piscio di gatto rendeva l'aria irrespirabile.

"Sei proprio sicuro che sia qui?".

Federico scosse il capo, ridendo. "Tranquilla, non sto per venderti a un trafficante di organi".

Si fermò davanti a un cancello in ferro battuto, su cui era affisso un cartello sbiadito con su scritto "Accesso vietato ai non addetti". Sul muro accanto erano appesi i quadri per le locandine dei film, vuoti, e la scritta Cinema Bianchi giaceva sotto ognuno di essi nel suo grigio smorto, che un tempo doveva essere nero.

Federico spinse il cancello, che si aprì con un cigolio sinistro. Tutto in quel posto sapeva di malinconia e decadenza.

"Da piccolo venivo spesso qui, ma una decina di anni fa l'hanno chiuso".

Sgusciarono in un piccolo cortile quadrato, pieno di erbacce che sbucavano con prepotenza dalle mattonelle rotte, riprendendosi uno spazio che un tempo era stato loro. L'ingresso alle sale era sbarrato con una porta in ferro e accanto ad esso si avviluppava verso l'alto una scala antincendio.

"So che può sembrare un postaccio" aggiunse il ragazzo. "Ma fidati di me".

Salirono le scale senza dire nulla, il silenzio rotto soltanto dal rumore dei loro passi sulle grate della scala. Alcune piante rampicanti avevano riempito tutto il muro adiacente, ma ancora si poteva scorgere, tra una foglia e l'altra, una traccia sbiadita dell'arancione che lo tingeva un tempo.

Sbucarono su un'ampia terrazza, circondata da un muretto bianco. Per terra giacevano alcune bottiglie di birra vuote e pacchetti di sigarette accartocciati.

"Allora? Che ti dicevo?".

Emilia si affacciò al muretto. I tetti rossi dei palazzi si susseguivano l'uno dietro l'altro, sotto l'austerità della Mole Antonelliana, così alta che dava l'impressione di toccare il cielo. Il Po le serpeggiava accanto, perdendosi a vista d'occhio, e le Alpi in lontananza, con le cime innevate e la foschia ad avvolgerle, sembravano uno tsunami pronto ad abbattersi sulla città.

"Wow".

Sorrise.

Torino era tutta lì, davanti a lei.

Federico si sedette sul muretto, attendendo che la ragazza facesse lo stesso. Era immobile di fronte al panorama, come vittima di un sortilegio, e sembrava che nulla potesse farle distogliere lo sguardo.

"Ti piace?".

Emilia annuì, poi gli si sedette accanto. Le loro gambe penzolavano nel vuoto; sotto c'era un tetto più basso, e ancor più giù la strada, i cui rumori arrivavano alle loro orecchie attutiti.

"È forse il mio posto preferito in assoluto. Vengo qua quando sento il bisogno di staccare da tutto e trovare un po' di pace".

Emilia lo guardò. Era sincero, spontaneo. Provò tenerezza di fronte alla genuinità di quel momento.

"Tu hai un posto simile? Uno in cui vai per sentirti meglio?".

La ragazza ci pensò su alcuni istanti.

"Non proprio, in realtà. Anche perché è molto difficile che io abbia voglia di stare da sola, preferisco magari andare da Elia o da Ale".

Lo sguardo di Federico era attento e curioso. Era difficile reggere il contatto visivo con i suoi occhi indagatori.

"Hai paura della solitudine?".

Emilia ridacchiò nervosa. "Come mai tutte queste domande serie? Stai diventando un po' invadente, Del Boca".

Sul volto del ragazzo si dipinse un sorriso storto. "Vorrei conoscerti meglio e non voglio fingere che non mi importi delle cose importanti di te. Potrei chiederti qualcosa di banale, tipo qual è la tua serie tv preferita, ma preferisco andare più a fondo".

Emilia trattenne il fiato. Si convinse che non ci fosse nulla di sbagliato in quella frase, che servisse solo per rompere il ghiaccio e fare amicizia, e ricacciò in un angolo remoto del cervello tutti i presentimenti che le suggerivano il contrario.

"Pensi che non si possa entrare in intimità con qualcuno partendo dal conoscere la sua serie tv preferita?" domandò. "La mia è Stranger Things e nell'ultima stagione, per salvare un'amica, i ragazzi devono farle ascoltare la sua canzone preferita. Se non l'avessero saputa, sarebbe morta. Credo sia una metafora bellissima su quanto aspetti di noi che ci sembrano banali in realtà siano importanti tanto quanto il resto".

Federico non rispose, perciò lei aggiunse: "Non voglio che le persone pensino di conoscermi soltanto quando sanno dei miei traumi o delle mie paure. Sono molto più di tutto questo. Entrare in intimità con me è più di tutto questo".

Torino era di fronte a loro, eppure sembrava distante anni luce. Quel terrazzo era un piccolo angolo di pace, che sembrava ritagliato da un'altra dimensione e appiccicato sulla città in malo modo, risultando estraneo e distaccato.

"Il problema è che io sono incapace di interagire con le persone che mi interessano senza dare importanza ai loro lati più oscuri" rispose Federico, con una punta di risentimento nella voce.

"Non penso sia sbagliato, quando col tempo si entra in confidenza con qualcuno è giusto e normalissimo conoscere anche questi lati. Però le persone sono tantissime altre cose altrettanto importanti, sono passioni, sogni e voglia di trovare la felicità".

"Io non credo che le persone siano in grado di raggiungere la felicità, non nel lungo termine, almeno".

Emilia strabuzzò gli occhi. Federico era serissimo e, passato lo stupore iniziale, una risata esorcizzante le uscì spontanea.

"Mamma mia, Federico, che presa a male".

Il ragazzo ridacchiò a sua volta. "Conosci Schopenhauer?".

"Solo per nome".

"In pratica diceva che la vita è un pendolo che oscilla tra la noia e il dolore. In mezzo ci sono i piaceri, che ci fanno credere di essere felici, ma è solo un'illusione. Niente può dare la felicità all'uomo, bisogna soltanto cogliere gli attimi di piacere e goderseli fino in fondo, perché poi tutto torna ad essere oscuro".

"Come fai ad aderire a una teoria così deprimente?".

"Non è deprimente, è la vita, almeno secondo lui, e io mi trovo d'accordo".

Emilia trasalì. "Quindi non sei felice?".

"Perché, tu sì?".

La ragazza distolse lo sguardo. Fissò le scarpette in vernice che portava ai piedi, che non aveva cambiato dopo le prove.

"E forse sto per mandare un sacco di cose a puttane perché per me ora, dopo tantissimo tempo che non accadeva, il pendolo sta proprio nel mezzo. E non voglio privarmi di questo momento prezioso di gioia".

Emilia non riuscì a credere di aver davvero sentito quella frase.

Si voltò verso il ragazzo, con il cuore che batteva all'impazzata.

Poteva sentire il suo respiro caldo sul viso, i loro nasi che si sfioravano.

Si sentì mancare il fiato, aveva le viscere attorcigliate e la mente annebbiata.

"Schopenhauer diceva che la vita è un pendolo che oscilla tra dolore e noia.

Dolore e noia.

Dolore e noia".

"No".

Si allontanò da Federico con un gesto fulmineo e scese dal muretto.

Si sistemò la gonna, il fiato corto e il cuore che sembrava voler sfondare la cassa toracica.

Federico era immobile, lo sguardo basso e la bocca schiusa.

Emilia nascose il volto tra le mani.

"Stava per baciarmi. Stavo per baciarlo".

"Non è con Schopenhauer che puoi giustificare un tradimento" singhiozzò.

Federico sorrise. "E tu? Puoi giustificarti?".

Le gambe le tremavano, così come la voce.

"È tutto sbagliato".

Si allontanò di corsa, ignorando il dolore provocato dalle scarpe, e scese rapida le scale in ferro, che stridettero sotto i suoi passi.

Federico la osservò fuggire. E non osò fermarla.


Spazio autrice:

Ciao lettori, grazie per essere arrivati alla fine di questo capitolo. Alzi la mano chi è rimasto deluso dal mancato bacio tra Emilia e Federico... Emilia palesemente non sta capendo più un cazzo, Federico men che meno e mi chiedo se realizzerà che tradire la fidanzata con la sua migliore amica non sia proprio un gesto carino.

Tra l'altro, pian piano scoprirete il perché del titolo Felicità Puttana. Il primo tassello è stato incastrato in questo capitolo. Restate in allerta: Schopenhauer mieterà altre vittime, questo è certo.

Prima di concludere, ho una domanda da farvi, inerente al discorso di Emilia sull'importanza delle piccole cose di noi: quali sono la vostra serie tv e la vostra canzone preferite? Non vedo l'ora di scoprire tanti titoli nuovi!

Un bacio, a martedì❤️

Baby Rose

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