22- Lezione di balli popolari

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17 aprile

"Fammi capire, tu gli hai detto di no?".

Denisa incrociò le braccia sotto il seno, accigliata, e fulminò Emilia con lo sguardo. Era seduta con Alessia e Rebecca su uno dei divanetti di fronte alla presidenza, e tutte e tre insieme sembravano il gran Consiglio delle Streghe, pronto a emanare la più severa delle sentenze.

Emilia, in piedi di fronte a loro, era l'imputata.

"Esattamente" rispose la ragazza, allargando le braccia con teatralità.

Le altre si scambiarono delle occhiate perplesse.

"Io... Non so che dire, forse è meglio che non parlo" esclamò Alessia, scuotendo il capo.

Era l'una e mezza e la massa di studenti che solitamente affollava quel corridoio aveva lasciato il posto a un silenzio surreale. Gli unici rimasti a scuola erano alcuni professori, che compilavano le ultime scartoffie in aula insegnanti prima di tornare a casa, e i pesci rossi dell'acquario, così immobili da sembrare di plastica.

"Ragazze, però non dovete giudicarmi" esclamò Emilia. "Non posso decidere a comando se innamorarmi o meno".

"Infatti non ti stiamo giudicando per questo" ribatté Denisa. "È solo che non puoi continuare a stare con un ragazzo che è innamorato di te, se non ricambi questi sentimenti".

Emilia pestò un piede per terra e il rumore del tacco rimbombò per tutto il corridoio. Dopo il colloquio con il preside doveva correre alle prove dello spettacolo teatrale e si era portata avanti indossando le scarpette di scena. "Ma qual è il problema? Andrea ha detto che per lui va bene continuare così".

Alessia scoppiò a ridere. "È ovvio che abbia detto questo, è innamorato ed è disposto a fare qualsiasi cosa pur di starti vicino, persino stare in 'sta relazione di merda che non è una relazione".

Rebecca era distratta. Aveva lo sguardo fisso sui pesci, che se ne stavano indisturbati nella loro reggia di acrilico, noncuranti di quello che accadeva al di fuori del loro piccolo mondo. Denisa le prese la mano.

"Lo farai soffrire" esclamò Alessia. "Devi tagliare i ponti".

"Cazzo, raga, sarò libera di decidere da sola cosa fare nella mia vita?".

"Ma infatti, fa' come vuoi" esclamò Denisa, dura, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Emilia. "Dico sul serio. Tanto farai poi tu i conti con Andrea, non io".

La porta della presidenza si spalancò, interrompendo la discussione. All'improvviso tutte si ricordarono che c'era una cosa più importante a cui pensare, prima di riprendere a fasciarsi la testa su questioni sentimentali.

"Entrate pure".

Il preside Pozzoli aveva la faccia corrucciata dell'adulto borghese stereotipato. Era un involucro di stress, rabbia repressa e insoddisfazione, nonostante l'alto stipendio da dirigente che intascava ogni mese.

Emilia non aveva mai incontrato quell'uomo così da vicino e provò un senso di soggezione misto a ribrezzo. Prese posto su una delle due sedie davanti alla scrivania, insieme a Rebecca, restando dritta come una statua di cera, mentre le altre attesero in piedi alle loro spalle.

L'ufficio era grande e luminoso e si affacciava su un balconcino, dal quale sventolavano le bandiere dell'Italia e dell'Unione Europea. Alle pareti erano appese fotografie di classi storiche e di ex studenti illustri, tra cui Primo Levi e Cesare Pavese.

"Si è portata dietro tutta la delegazione?" esclamò il preside, con un pizzico di sarcasmo nella voce.

Rebecca abbassò lo sguardo, imbarazzata, mentre Alessia e Denisa rivolsero un'occhiata rapida a Emilia. Si aspettavano che rispondesse qualcosa, eppure non aprì bocca, troppo intimorita per il destino di Rebecca da rischiare indisporre Pozzoli e rovinare tutto.

"Comunque, ho esaminato la questione, signorina Francesi, e le posso dare buone notizie".

Rebecca rivolse un'occhiata di sottecchi a Emilia, che le strinse la mano, incoraggiante.

"Ho contattato l'agenzia e hanno verificato che ci fosse ancora un posto disponibile nelle cabine della nave e negli alberghi prenotati per il pernottamento".

Rebecca trattenne il respiro.

"Potrà partecipare al viaggio d'istruzione in Grecia".

Le ragazze esultarono, senza curarsi della presenza del preside, che si limitò a guardarle seccato. Sembrava si stesse sforzando di risultare fastidioso, nonostante la buona azione compiuta.

"Entro lunedì dovrà portare in segreteria il bonifico o una fotocopia dello stesso" aggiunse, quando le ragazze si furono ammutolite.

"Grazie mille, sono veramente grata per quello che ha fatto per me e mi scuso ancora per aver creato questi problemi".

"Si figuri".

Pozzoli porse alla ragazza il foglio con le coordinate del bonifico e si alzò in piedi.

"Vi lascio libere, buona giornata".

"Arrivederci, buona giornata a lei".

Una volta fuori dall'ufficio le ragazze iniziarono a saltare e ad abbracciarsi.

"Che bello che vieni in gita con noi, sono troppo felice" esclamò Emilia, stritolando Rebecca tra le proprie braccia.

"Sono contentissima, davvero, non ci speravo più".

Un sorriso enorme riempì il volto di Rebecca e solo in quel momento le ragazze realizzarono quanto fosse bella, con quegli occhi pieni di gioia e gli zigomi coloriti di un tiepido rossore. Non l'avevano mai vista così gioiosa prima di quel momento.

"Ma sapete quanto ci scassiamo?" esclamò Alessia, mentre si incamminavano fuori dalla scuola. "Cioè, sulla nave il panico, ci saranno altri ragazzi da tutta Italia".

"Ma va, ci saranno solo camionisti austriaci".

Alessia guardò perplessa Denisa. "Perché camionisti austriaci?".

"Che ne so, in Austria mica c'è il mare, dovranno pur venire in Italia per andare in Grecia, no?".

"Va beh, senti, l'importante è che ci sia qualcuno di interessante, poi se è un camionista fa niente".

Le ragazze scoppiarono a ridere e scesero di corsa le scale.

"Ragazze".

Rebecca si fermò, lo sguardo fisso sullo schermo del telefono.

Le altre, ormai sul pianerottolo, si voltarono a guardarla.

"Che succede?".

La ricciolina strabuzzò gli occhi. "Mi ha scritto Alberto Parodi".

Le ragazze lanciarono dei gridolini e iniziarono a ridere senza riuscire a fermarsi.

"No, ti prego, che ti ha scritto?" domandò Denisa, reggendosi al muro.

"Ehilà, sei tu la ricciolina che si è imbucata al mio compleanno?".

Alessia si infilò le mani nei capelli. "Non ci credo, raga, vi giuro, sono sconvolta"

"Non dirlo a me" rispose Rebecca, per poi scoppiare a ridere, contagiata dalle altre.

"Ma che giorno è mai questo?" esclamò Emilia. "Qua c'è qualche sortilegio".

"Cosa gli rispondo?".

Alessia raggiunse la ragazza. "Vai sul simpatico, tipo Haha mi hai sgamata".

"Sgamata è da cafoni" intervenne Denisa. "Al primo colpo bisogna sembrare raffinati".

Emilia controllò le notifiche del cellulare, mentre Denisa e Alessia continuavano a battibeccare sulla risposta migliore da dare ad Alberto Parodi. La felicità provata per la buona notizia sulla gita stava lasciando il posto all'ansia per le prove.

Simone: -So che probabilmente sei ancora dal preside, ma ti prego, muoviti, muoviti, muoviti, ché dobbiamo provare la scena-

"Ragazze, io vi devo proprio salutare".

Le altre le rivolsero uno sguardo comprensivo.

"Va bene, dai" rispose Denisa, sorridendole. La dolcezza nella sua voce sembrava una proposta di pace dopo il battibecco avuto poco prima. "Buone prove".

"Grazie, ci vediamo domani".

Salutò frettolosamente le sue amiche e raggiunse di corsa il piano terra, dove c'era la palestra in cui si svolgevano le prove. L'acustica era terribile, ma "La scuola non ha budget, quindi dobbiamo accontentarci" aveva detto Simone e tutti si erano dovuti adeguare.

Dall'interno della palestra proveniva un brusio.

"Ragazzi". Simone batté le mani con foga, nel tentativo di attirare l'attenzione dei compagni. "Concentrati, per favore".

Emilia si affacciò dall'ingresso e tentò di avvicinarsi facendo il minor rumore possibile, ma i tacchetti delle scarpe la tradirono.

"Ah, sei tu" rispose Simone. "Su, su, siamo in super ritardo".

Non c'era aggressività nella sua voce. Quel ragazzo sembrava letteralmente incapace di infuriarsi, godeva di una pazienza ferrea.

Federico era già dentro, in mezzo agli altri. Emilia gli rivolse un'occhiata veloce, poi si fiondò accanto ad alcune ragazzine del primo anno, fingendo di non averlo visto.

"Allora Emi, ti faccio un riassunto, ma tanto immagino che tu sappia già cosa proviamo, dato che hai studiato il copione" esclamò Simone, gesticolando teatralmente. "I partigiani trascorrono una serata serena attorno al fuoco, uno di loro suona la fisarmonica, e a far partire le danze è Marco, il fascista che hanno catturato e con cui Giorgio è diventato amico. È l'ultimo momento allegro dello spettacolo: il giorno dopo arriva la notizia che un partigiano rapito dai fascisti è stato ucciso e quindi la banda si ritrova costretta a uccidere Marco. Giorgio ne esce devastato".

Emilia annuì, terrorizzata. Sapeva cosa prevedeva il copione e non era certa che sarebbe riuscita a reggere quelle prove.

"Bene, ragazzi" concluse Simone, con un sorriso beffardo. "Oggi facciamo lezione di balli popolari".

Gli attori si sedettero in cerchio, ridendo, come se davvero ci fosse un falò in mezzo a loro. Un ragazzo prese una fisarmonica in mano e fece finta di suonarla, mentre Simone faceva partire la musica dallo stereo.

L'attore che interpretava Marco si alzò. Iniziò a fare qualche passetto impacciato e questo scatenò l'ilarità degli altri. Il copione prevedeva quelle risate, ma Simone non seppe spiegarsi se in quel momento fossero sincere o recitate.

L'attore di Marco si avvicinò a Emilia. Allungò una mano nella sua direzione e mormorò: "Mi permette?", per poi fare l'occhiolino a Federico, il cui personaggio era innamorato della protagonista.

Iniziarono a ballare incerti ed Emilia si vergognò da morire. Sembrava che nulla potesse metterla a disagio, né presentare, né recitare, né rispondere male ai compagni che più detestava, eppure ballare in mezzo a tutti fece crollare tutta la sicurezza che aveva in sé stessa. Si sentiva nuda, nuda e imbranata, e solo quando presero ad alzarsi anche gli altri riuscì a tranquillizzarsi.

Federico danzava a pochi metri da lei, con un'altra ragazza. Il ballo era dinamico: le coppie cambiavano ad ogni ritornello ed ella sapeva che, a fini di trama, avrebbe concluso il brano con lui.

"Camilla, no, devi girare prima del colpetto con il piede, non dopo". strillò Simone. Dato che suo padre era congolese e sua madre originaria di Milano, non aveva nessuno in famiglia che potesse insegnargli quei balli, tipici delle valli del Piemonte, così era andato a casa della nonna di Federico e aveva trascorso un intero pomeriggio con lei a farsi insegnare tutti i passi più famosi.

All'ultimo ritornello il cambio coppie più temuto arrivò.

Emilia si pose di fronte a Federico, incerta, ed evitò di guardarlo negli occhi.

"Sei agitata?".

La ragazza si sforzò di sorridere. "Dovrei?".

Il sudore le colava copioso lungo la schiena, bagnandole la camicetta. Era così vicina a Federico da sentire il suo fiato sul viso e quando egli le prese le mani le parve di non riuscire più a respirare.

"Segui me" mormorò il ragazzo, accompagnandola con dolcezza nei passi.

Emilia teneva lo sguardo fisso a terra, concentrandosi sui movimenti delle gambe e dei piedi. Più si sforzava di essere precisa, più il suo corpo si irrigidiva.

"Non guardare giù. Guarda me".

I loro sguardi si incrociarono e a Emilia parve di vedere quel volto per la prima volta. Ne osservò i lineamenti smunti e spigolosi, la bocca piccola e carnosa e infine gli occhi, sporgenti e azzurrissimi, in grado di metterla in soggezione e al contempo ammaliarla.

L'intensità di quel contatto visivo le squassò le viscere. Per un istante le parve che nulla fosse cambiato: era tornata la ragazzina di un tempo, persa per lui e incapace di resistere al suo fascino magnetico.

"Fede, Emi". La voce di Simone la fece sobbalzare. Si voltò a guardarlo e vide che stava facendo dei cerchi con il dito. "Qua dovete prendervi a braccetto e girare".

Federico sorrise ed Emilia ebbe l'impressione di aver colto dell'imbarazzo in lui, anche se lo considerava impossibile. Federico Del Boca non poteva provare imbarazzo, non per causa sua, almeno.

Si presero a braccetto e iniziarono a girare, con così tanta foga da far venire il mal di testa. La musica e le risate riempivano le orecchie e i cuori battevano così forte da poter sfondare la cassa toracica.

L'ultima nota della fisarmonica segnò la fine delle danze e i ragazzi, stanchi e affannati, applaudirono.

"Ok, ok" esclamò Simone, sorridendo. "Mi raccomando, allo spettacolo vero non applaudite voi. Si spera che lo faccia il pubblico".

Scoppiarono tutti a ridere e il ragazzo, notando lo sfinimento sui loro volti, aggiunse: "Direi che ora dieci minuti di pausa ve li meritate tutti. Siete stati bravissimi".

Gli attori mostrarono tutto il loro assenso e si riversarono in bagno e negli spogliatoi, bramando l'acqua come naufraghi in mare aperto.

Emilia si avviò a passi piccoli fuori dalla palestra. Sentiva la presenza di Federico poco distante, ma non sapeva se guardarlo, rivolgergli la parola o semplicemente far finta di nulla.

"Sei brava, comunque".

Il ragazzo la affiancò ed Emilia deglutì rumorosamente.

"Grazie".

Non aveva mai provato così tanto imbarazzo di fronte a lui, di fronte a nessuno. Non riusciva a capire cosa le stesse succedendo e tutto ciò che sapeva era che quello stato d'animo non le piaceva.

Federico la superò, diretto al bagno, e prima di entrare la guardò un'ultima volta. "È un onore poter ballare con lei".

Emilia era così nervosa che temette di non riuscire più a parlare. Il fiato era corto, la bocca asciutta, i polmoni doloranti. Rispondergli fu più difficile che mai. "Anche per me lo è, Federico. Tanto". 


Spazio autrice

Ciao a tutte e tutti e grazie per aver letto questo capitolo. Rebi potrà andare in Grecia e sono troppo felice per lei! Sarà una gita pieno di disagi, questo è assicurato, ma non voglio anticiparvi nulla, perché ve la racconterò tra un bel po' di capitoli (vecchi lettori, so che state aspettando questo momento da tanto, perciò mi sono impegnata molto per rendere il viaggio memorabile😂).

Avrete anche notato che ho accorpato in un solo capitolo due capitoli della prima stesura, l'ho fatto per rendere la lettura più fluida e coerente con il trope dello spettacolo teatrale. Spero che, anche se l'ambientazione del ballo non è più Piazza San Carlo, questa scena sia riuscita ugualmente a suscitarvi qualcosa.

Riguardo a questa scena, tra l'altro, ho una curiosità da raccontarvi: nello spettacolo, come spiegato da Simone, la banda partigiana cattura un fascista e Giorgio e altri partigiani fanno amicizia con lui. Ho preso spunto dalla storia di un partigiano che era venuto nella mia scuola: ci disse che la sua banda aveva catturato dei fascisti e che era nata una bellissima amicizia tra loro. Purtroppo, però, dopo una settimana, un partigiano venne fucilato in una prigione fascista e loro ricevettero l'ordine di uccidere i fascisti con cui erano diventati amici. Questa storia mi è rimasta nel cuore e ho deciso di tramandarvela in una maniera un po'... diversa.

Bene, per oggi ho finito, e come sempre vi ricordo che qualsiasi consiglio o parere, anche negativo, è ben accetto!

Un caro saluto❤️

Baby Rose

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