32- Corri e non guardarti indietro

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6 maggio

"Bella raga, che bello vedervi".

Filippo Dotta, vestito con un elegante giacca cosparsa di brillantini, abbracciò Elia e Ruben e sorrise a tutti gli altri del gruppo. Era un eccentrico ragazzo del quarto anno, tra i più popolari della scuola, ed Emilia trovò ironico che, tra loro, fossero proprio Elia e Ruben gli unici ad avere confidenza con lui.

Elia scoppiò a ridere. "Ma 'sto compleanno in mezzo ai campi?".

"Una figata" rispose Filippo, prendendo una bottiglia di prosecco e dei bicchieri di plastica dal tavolo. "Me l'ha affittata un signore che conosco per questa sera".

Cascina Meineri era dispersa nella periferia di Torino, circondata da campi coltivati e boschi. Più di cento persone affollavano la stanza principale, che aveva le pareti in pietra e il soffitto con travi a vista.

"Un brindisi è d'obbligo, guai a chi non beve".

Allungò i bicchieri, ma Federico lo rifiutò.

"No, Fil, oggi salto".

"Non accetto un no". Il ragazzo agitò pericolosamente la bottiglia.

"Alla festa di Carlo è quasi morto" intervenne Ruben ed Emilia si sforzò di ridere. Aveva l'impressione che da una sola, singola, espressione sbagliata, tutti gli altri le avrebbero letto in faccia quanto accaduto quella sera. E sul terrazzo del Cinema Bianchi. E sotto casa sua.

Flippo ignorò quelle parole e versò il prosecco a Federico. "Al mio compleanno è vietato non bere".

Sollevò il bicchiere ed Elia disse: "A 'sti diciotto e alla tua prima volta in questura".

I ragazzi fecero cozzare i bicchieri tra loro e sul tavolo, per poi trangugiarne il contenuto tutto d'un sorso.

"Bella, allora ci vediamo, mi raccomando divertitevi".

Filippo si allontanò e Rebecca, che aveva finto di bere, allungò il bicchiere a Emilia.

"Oh, perché a me?" rispose la ragazza, ridendo.

"Perché sei un'ubriacona, palese" la rimbeccò Elia, ricevendo uno schiaffo sul braccio.

"Antipatico".

La conversazione venne interrotta dalla musica. Mirko Rossi, un ragazzo della squadra di calcio improvvisatosi dj per quella sera, fece partire la prima canzone e i ragazzi iniziarono a saltare e cantare a squarciagola, aprendo le danze.

Emilia non riuscì a farsi trascinare in quell'euforia. Spostava il peso da un piede all'altro, giusto per dare l'illusione di star ballando ed evitare domande inopportune, ma avrebbe solo voluto uscire di lì e tornarsene a casa. La presenza di Federico era ingombrante, asfissiante, inopportuna. Sentiva i suoi occhi addosso e più si sforzava di non guardarlo più le sembrava di attirare la sua attenzione.

"Scusate, ma qui nessuno ha fame?".

Simone interruppe la sua danza sgraziata, posò le mani sui fianchi e guardò perplesso gli amici.

Emilia ritenne quella domanda un'occasione scesa dal cielo. "Ma sai che io un po' sì?".

"Perfetto". Il ragazzo la prese sotto braccio. "Ho visto un buffet di là che è la vita".

Si allontanarono ridendo, facendosi largo tra le persone.

"Guarda quanto ben di Dio che nessuno mangia". Simone si fiondò su un vassoio di paste di meliga e prese a masticarne una con la faccia corrucciata dal disappunto.

"Infatti" rispose Emilia. "Ma meglio, almeno ce n'è di più per noi".

"Giusto". Allungò il vassoio verso la ragazza. "Assaggiale, sono troppo buone".

La ragazza riempì il proprio piattino con così tante paste da rischiare che cadessero a terra. Era disposta a trascorrere tutta la notte al banchetto pur di star lontana da Federico, da Andrea, da Denisa.

"Ma tu lo sapevi che Filippo ha avuto una storia con la sorella di Ruben?".

Emilia spalancò la bocca, fingendosi interessata alle vicende di quelle persone che a malapena conosceva. "Davvero?".

"Sì, due anni fa è successo un dramma degno di un film. Praticamente, dopo quattro mesi che stavano insieme, i due si sono mollati e Ruben, vedendo che sua sorella stava male, non ha più parlato a Filippo, nonostante fossero amici da un po' di anni. Poi si è scoperto che si erano lasciati perché la sorella di Ruben aveva messo le corna a Filippo e così Ruben l'ha sgridata per bene e poi ha fatto pace con lui".

"È rimasto qualcosa anche per me?".

Federico comparve alle loro spalle ed Emilia sobbalzò.

"No, è tutto per noi" rispose Simone. "Vai via".

"Idiota". Federico afferrò una pasta di meliga e continuò ad annuire mentre la masticava. "Che si dice?".

"Le stavo raccontando di Filippo e della sorella di Ruben".

"Oddio". Federico scosse il capo, ridendo. "Avevo rimosso questa storia e non ci tenevo a ricordarmela".

"Sì, lo so, è stata così imbarazzante, ma poi...". Simone si pietrificò, come se avesse visto un fantasma, e non terminò la frase. "No, raga, non potete capire, c'è una che non sopporto, scommetto che ora viene qua".

Emilia e Federico seguirono la traiettoria del suo sguardo. Una ragazza con due lunghe trecce viola parlottava con altre persone a qualche metro da loro e, dopo pochi istanti, si voltò nella loro direzione.

"Simone Kayembe?" strillò, portando una mano alla bocca.

Simone sfoderò il più credibile dei sorrisi. "Oh, ciao Marta, non ti avevo mica vista".

"No, va beh, ma è da una vita che non ci vediamo, che fine hai fatto?".

La ragazza attaccò una serie di domande, sulla vita, sulla scuola, sulle vecchie amicizie, lasciando in disparte Federico ed Emilia, a disagio e in silenzio come due bambini in punizione.

"Raga, devo andare" mormorò Simone, funereo. "Auguratemi buona fortuna". Non fece in tempo, però, a sentire l'incoraggiamento dei due amici, che la ragazza con le trecce viola lo aveva già trascinato via.

Emilia guardò l'amico allontanarsi, finché non sparì del tutto dalla sua vista, con la drammaticità di un cane abbandonato sul ciglio della strada. Avrebbe voluto seguirlo, partecipare alla conversazione con quella presumibilmente insopportabile Marta e ascoltarla fino ad avere il mal di testa, pur di non rimanere lì da sola con Federico.

"Ne vuoi uno?".

Federico aveva pescato due gianduiotti da un'enorme boccia in vetro e teneva una mano allungata nella sua direzione.

Emilia lo afferrò, incerta, quasi fosse un boccone avvelenato, e lo aggiunse alla collezione di paste di meliga che riempiva il suo piatto. Le osservava una ad una, come se non le avesse mai viste prima. Tentava di occupare il cervello con le azioni più inutili.

"Come stai?".

Emilia fece spallucce, sforzandosi di sorridere. "Bene".

"Ok" rispose Federico, dondolando avanti e indietro, con le mani dietro la schiena. La tensione si tagliava con il coltello. "Oggi Raise ci ha consigliato di leggere un tuo articolo, sai?".

"Davvero?".

"Sì, quello sull'Iran, ci ha detto che potrebbe esserci utile per l'esame".

La ragazza sorrise. "Lo leggerai?".

"Secondo te non l'ho già fatto?".

Federico le rivolse un sorriso complice ed ella distolse lo sguardo, i battiti del cuore sempre più accelerati. Più cercava di evitarlo più si accorgeva di quanto bramasse le sue attenzioni.

"Senti, non è che mi accompagneresti fuori?". Federico tirò fuori dalla tasca dei pantaloni uno spinello e se lo rigirò tra le dita, un'espressione furba stampata in volto. Non le staccava gli occhi di dosso ed Emilia, con la gola secca e il fiato corto, rispose: "Forse è meglio di no".

"Dai, mi lasci solo soletto fuori? È tristissimo".

Emilia si morse l'interno della guancia.

Il desiderio prevalse sul buon senso.

"Va bene, dai".

Uscirono dall'edificio sgomitando tra gli altri invitati, e raggiunsero il retro della cascina; un unico lampione illuminava fiocamente una panchina in ferro dipinta di bianco, addossata al muro, e davanti ad essa il giardino veniva inghiottito dalle fauci del buio, diventando una massa informe di nero.

Non appena si sedette, Emilia rabbrividì. L'erba umida le pizzicava le caviglie e la panchina era così fredda da provocarle la pelle d'oca.

Federico parve non farci caso. Si accese la canna e distese le gambe, godendo di ogni singola boccata di fumo. La quiete regnava sovrana, tutto era immobile e ovattato. I rumori della festa erano lontani e il silenzio era rotto soltanto dal canto dei grilli nascosti nel terreno.

"Vuoi?".

Emilia scosse il capo.

"Hai mai provato?".

"No, mai".

Il ragazzo le porse lo spinello.

Emilia lo prese tra indice e medio, ridendo imbarazzata, e lo portò incerta alle labbra, aspirando. Sentì la gola in fiamme e un forte bruciore al petto. Tossì e dalla sua bocca uscì una nuvola di fumo.

Federico scoppiò a ridere.

"Che schifo" esclamò la ragazza, lasciandosi cadere contro lo schienale della panchina. "Come fai a fumare 'sta robaccia?".

"La prima volta è normale che non piaccia".

Emilia non aggiunse altro. Restò immobile a guardare il profilo di Federico, che aveva lo sguardo dritto davanti a sé. I capelli biondi, sempre in disordine, gli ricadevano sul collo, il suo pomo d'Adamo si muoveva meccanicamente in su e in giù, dalla sua bocca continuava a uscire il fumo.

Il ragazzo le allungò una mano sulla coscia, ed ella sussultò, mentre sentiva le dita affondare nella carne e una sensazione di calore farsi largo nel basso ventre.

"Ma tutta questa confidenza?" rispose, spostandogli la mano. "Solo perché sono venuta fuori con te non significa che io abbia voglia di andare oltre".

Federico ridacchiò tra i baffi. "Ah no?".

"No. Ma come al solito tu pensi di poter ottenere sempre tutto quello che vuoi con uno schiocco di dita".

Il ragazzo annuì, l'espressione arrogante di chi sa di avere in pugno una persona. Continuò a fumare e, con noncuranza, domandò: "Perché ci siamo appartati, allora?".

Emilia distolse lo sguardo, le mani strette sulle ginocchia e la schiena dritta. Il cuore batteva impazzito nella cassa toracica e l'agitazione le si stava pian piano innervando in tutto il corpo.

"Ci sono tutti, dentro".

"E che importa?".

"Che importa?" strillò Emilia, agitando le mani con fare teatrale. "Ora mi devi spiegare come fai ad essere sempre così fottutamente presuntuoso e menefreghista verso tutto. Non pensi mai agli altri? Ai nostri amici, a Den...".

Non riuscì a terminare la frase. Federico gettò lo spinello per terra e le prese il volto tra le mani, baciandola.

Fu un bacio rapido, quasi sfuggevole. Quando Federico si staccò da lei, le mani ancora attorno al suo viso, Emilia si sentì privata di qualcosa. Ne voleva ancora. Ed era in lotta con sé stessa, sballottata tra desiderio e senso di responsabilità.

"Emilia, io non riesco a pensare ad altri che te" mormorò Federico, la bocca così vicina da sentire il suo fiato addosso. "E questo è un bel problema".

Le carezzò una guancia con il pollice, gli occhi bramosi che scandagliavano ogni centimetro del suo viso.

Emilia non riuscì a rispondere. I sensi di colpa presero ad affollarle la mente, mentre il corpo fremeva, implorandola di gettarsi tra le braccia di Federico. Aveva bisogno dei suoi baci, delle sue carezze, aveva bisogno di abbracciarlo così forte da trasformare i loro corpi in un'unica matassa ingarbugliata.

"Non ti sopporto" disse, quando ebbe ritrovato l'uso della parola.

Federico sorrise e fece per allontanarsi, un leggero rossore a tingergli le guance, ma Emilia lo trattenne per un braccio.

"Però non voglio che tu smetta".

Gli circondò il collo con le braccia e lo baciò, lenta e passionale, con le gambe intrecciate alle sue, la gonna sollevata che le scopriva le cosce e i boccoli davanti al viso.

Quel bacio fece scomparire ogni cosa, come un incantesimo. Non riusciva a percepire altro che non fosse il sapore acre di erba che riempiva quella bocca, le labbra morbide, le mani che la tenevano con sicurezza per i fianchi.

Sparirono l'ansia, la consapevolezza di essere sleale e di star mettendo a rischio un'amicizia bellissima.

Non vedeva altri che lui.

Federico.

"Raga, i caramba!".

Quell'urlo distante fece loro gelare il sangue nelle vene.

Si allontanarono l'uno dall'altra di colpo, come svegliati da un sogno, i visi accaldati e il respiro corto.

"Ma cosa" mormorò Federico, scattando in piedi.

Lanciò lo spinello nel prato con un calcio e corse dentro l'edificio, Emilia alle calcagna.

La sala era nel caos. I ragazzi correvano, tentando di nascondere le bottiglie di alcolici e Mirko Rossi, il dj, aveva stoppato la musica.

"Raga, ma che succede?" esclamò Federico, una volta ritrovato il gruppo di amici.

"Arrivano gli sbirri, merda, merda, merda". Ruben camminava avanti e indietro come un pazzo.

"Hai tanta erba?".

"Certo, cazzo". Tentò di farsi aria con una mano. "Porca puttana, come faccio?".

Il suono delle sirene dei carabinieri si fece più forte.

"Vai nei campi" esclamò Emilia, indicando la porta. "Esci e corri".

Il ragazzo restò immobile, la bocca schiusa e gli occhi spalancati.

"Ne hai data ad altri?".

Ruben annuì. "Per adesso solo a Simo, ma non dove cazzo sia finito".

Il gruppo si divise e si fece largo tra le persone, che correvano e schiamazzavano, nel tentativo di trovare Simone.

Emilia uscì in giardino e lo trovò intento a fumare insieme a Marta dai capelli viola.

"Simo, dammi l'erba".

"Scusa?".

"Dammi la cazzo di erba, stanno arrivando i carabinieri".

Bastò l'ultima parola a far saltare in aria il ragazzo. Adempì in un batter d'occhio alla richiesta, mentre Marta, totalmente fuori luogo, esclamava: "I carabinieri? Che figo". Emilia non si concesse il tempo di ribatterle; si limitò a fulminarla con lo sguardo e tornò di corsa da Ruben.

"Sicuro di non averne data altra in giro?" domandò, col fiato corto.

"Sì, sì, porca troia".

Emilia gli posò le mani sulle spalle e, con solennità, esclamò: "Allora corri, corri e non guardarti indietro".

Il ragazzo annuì, scavalcò la staccionata che circondava il giardino della cascina, e scomparve nel buio della notte.

"Ragazzi, mantenete la calma, è tutto a posto". Federico era salito su una sedia e cercava di placare gli invitati nella sala. "Se i carabinieri ci trovano così capiscono subito che abbiamo qualcosa da nascondere, quindi calmi, ok?".

Le parole sortirono l'effetto sperato.

I ragazzi si immobilizzarono e aspettarono spaventati l'arrivo delle gazzelle.

Emilia richiamò l'attenzione di Federico, tirandolo per l'orlo dei pantaloni.

"Dobbiamo allontanarci, puzziamo come non so cosa" mormorò e il ragazzo annuì. Si posizionarono lontani dalla porta, mangiando quello che era rimasto nel piattino di Emilia, un'espressione innocente dipinta sui loro visi.

Due carabinieri in divisa comparvero sulla soglia.

I ragazzi li fissarono impauriti.

"Allora, giovani, che succede qui?".

Filippo si fece largo tra gli invitati. "Buonasera, agenti, è il mio compleanno".

"Auguri" rispose uno degli uomini. "Ci hanno segnalato rumori molesti provenienti da questa abitazione".

"Non mi spiego come sia possibile, siamo lontani dal centro abitato".

"La segnalazione è arrivata, avete messo della musica?".

Lo sguardo del carabiniere andò a posarsi sulle casse.

"In realtà no" mentì Filippo. "Quelle casse sono di un amico di mio padre, sono qui sempre e non le abbiamo utilizzate. Se vuole possiamo chiamarlo, così le dà conferma lui stesso".

"Ci sono stati segnalati musica ad alto volume e schiamazzi".

Federico guardò preoccupato la scena. "Spero che Fil non dica qualche stronzata".

Emilia fece correre lo sguardo dagli agenti al festeggiato. Le sembrava di vivere ventiquattr'ore su ventiquattro in un film poliziesco di serie B.

"Possiamo perlustrare il locale?".

"Certo".

I carabinieri fecero il giro della sala, ignorando le bottiglie di alcolici sul tavolo da buffet, per poi tornare da Filippo, che dovette rispondere ad alcune domande.

"Ma ha pagato la Siae?" domandò Emilia.

"Secondo me no". Federico allungò il collo. "Infatti spero non glielo chiedano, perché rischia grosso".

"Ma chi li ha chiamati? Siamo in mezzo al nulla".

Il ragazzo fece spallucce. "Probabilmente c'è qualche casa nascosta".

I carabinieri tornarono alla porta.

"Non vogliamo ricevere una seconda telefonata" sentenziò un agente, prima di lasciare l'edificio. "Buona serata".

I ragazzi restarono con il fiato sospeso finché non sentirono la gazzella lasciare il parcheggio.

"Raga, la festa è finita".

Si diffuse un brusio di dissenso e Filippo esclamò: "Mi dispiace, 'sta volta è andata bene, ma qui vicino ci abita una vecchia e se richiama sono nella merda".

Il ragazzo era sull'orlo delle lacrime e Federico lo raggiunse, lasciando Emilia da sola. Lo guardò allontanarsi con una stretta allo stomaco, chiedendosi, con delusione e fastidio, cosa sarebbe accaduto se non ci fosse stata quell'interruzione. Quel pensiero egoista alimentò i già numerosi sensi di colpa che la abitavano.

"Emilia". Denisa arrivò di corsa, sventolando il telefono. "Ho provato a chiamare Ruben, ma mi dice che è irraggiungibile". Si guardò attorno. "Federico dov'è?".

"Con Filippo" rispose Emilia, con un groppo in gola. "Come facciamo per Ruben?".

"Prova a chiamarlo anche tu".

Emilia obbedì e, nel frattempo, le ragazze vennero raggiunte dal resto del gruppo.

"Ruben è disperso" esclamò Denisa, con voce rotta. "Il telefono non prende".

"Ma è davvero scappato nei campi?" domandò Andrea, strabuzzando gli occhi.

"Sì".

Federico raggiunse gli amici. "Avete chiamato Ruben?".

"Non risponde" rispose Denisa, in preda al panico. "Emi?".

La ragazza scosse il capo. "Niente, anche a me dà irraggiungibile".

"Allora andiamo a cercarlo" intervenne Elia, rimasto in silenzio fino a quel momento. I ragazzi si voltarono incerti nella sua direzione, ed egli, spazientito, aggiunse: "Volete lasciarlo tutta la notte lì fuori? Su, forza, dividiamoci".

Dopo un primo istante di esitazione, i ragazzi accettarono la proposta con fermezza. Si divisero in gruppetti e andarono alla ricerca dell'amico, mentre gli altri invitati lasciavano la cascina e tornavano a casa.

Elia, con la torcia del telefono puntata davanti a sé ed Emilia e Andrea alle calcagna, era un fascio di nervi.

"È tutto così assurdo, comunque" esclamò Emilia, nel tentativo di sciogliere la tensione. "Che palle 'ste vecchie che chiamano per ogni minimo rumore".

"Già". La voce di Elia era più dura del solito. "Non posso credere che una vecchia e due sbirri abbiano rovinato un diciottesimo e messo a rischio la vita di Ruben Leroy".

"E non solo" avrebbe voluto rispondere Emilia. Ma decise che la scelta più saggia fosse tenere quel pensiero per sé. 


Spazio autrice

Ehilà lettrici e lettori, scusate  l'orario improponibile, ma per me è già tanto essere riuscita a pubblicare oggi hahaha. Che ne pensate di questo capitolo? Tra baci proibiti, carabinieri e spinelli la situazione appare fuori controllo.

Chissà che fine ha fatto Ruben, tra l'altro... Lo scoprirete nel prossimo capitolo!

Prima di salutarvi ci tenevo ad aggiungere che questo capitolo è dedicato a Rain_blade, una scrittrice davvero talentuosa che, dopo anni di commenti e messaggi su Wattpad, è diventata mia amica anche nella vita "reale". Mentre revisionavo il capitolo mi ha aiutata a capire quali cose volessi modificare e come strutturare alcuni passaggi, quindi se questo capitolo vi è piaciuto dovete ringraziare anche lei. Vi consiglio, tra l'altro, di andare sul suo profilo e leggere i suoi libri, non ve ne pentirete!

Un bacio🧡

Baby Rose

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