33- Dentro la sua testa

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8 maggio

"Eccomi". Denisa raggiunse con una corsetta Alessia ed Emilia, lo zaino che penzolava da una spalla e i capelli raccolti in una coda. Le ragazze la attendevano all'uscita da scuola, nell'affollata via Parini, dove il chiacchiericcio allegro degli studenti si mescolava allo strombazzare di una macchina, che tentava di farsi largo nella ressa.

"Come state?" esclamò la ragazza, con un sorrisone. "Vi siete riprese da sabato?".

Emilia sentì un brivido attraversarle la spina dorsale. Ogni minuto della sua vita era scandito da una lotta feroce fra gioia e senso di colpa, in cui nessuna delle due emozioni riusciva a vincere sull'altra, lasciandola in uno stato di ansia e confusione. Il bacio con Federico era impresso nella sua mente con la nitidezza di un film e più si crogiolava in quel ricordo, più sentiva che il legame con Denisa si assottigliava. Era lì, di fronte a lei, con i suoi modi gentili e la sua straordinaria bellezza, ma le sembrava lontana anni luce.

"Io sto bene" rispose Alessia, ignara e serena. "Ieri avevo un po' di nausea, ma per fortuna non ho vomitato".

Denisa scoppiò a ridere. "Abbiamo fatto schifo, Ale, eravamo ubriache marce".

Emilia aveva in bocca il sapore amaro della bile. Aveva baciato Federico nello stesso luogo in cui era presente anche Denisa, sotto il suo naso, approfittando della sua incapacità di accorgersi di ciò che le capitava attorno. Si sentiva viscida, la pelle intrisa di bava appiccicosa.

"Però l'importante è aver ritrovato Ruben" esclamò Denisa. "Menomale che c'eri tu, Emi".

"No, io non c'entro niente". Si sforzò di sorridere e apparire serena. "Il merito è di Elia, che ha un istinto pazzesco. Lo ha trovato nascosto dietro un cespuglio e Ruben, quando l'ha visto, si è messo a urlare come un pazzo pensando che fosse uno dei carabinieri. Ho perso dieci anni di vita in quel momento".

"Sto male". Denisa rideva così forte da avere le lacrime agli occhi. "Che storia assurda, me la ricorderò per tutta la vita".

Alessia dondolava sul posto, con gli occhi persi nel vuoto e trasognati. Un sorrisetto spontaneo le si dipinse sul viso, come se di fronte a lei ci fosse una bellissima immagine che solo lei poteva vedere.

"Cos'è 'sta faccia?" domandò Denisa, sardonica.

"Niente". Alessia arrossì e si passò nervosamente una mano tra i capelli. "Ma la smetti di provare sempre a leggermi nella mente?".

"Solo quando mi dirai tutto quello che ti passa lì dentro".

Alessia rise, dandole un leggero spintone. "E va bene, Elia con questa storia ha preso tipo dieci punti. Contenta ora?".

"Chi l'avrebbe mai detto, guarda".

"Va beh". Alessia si sistemò meglio lo zaino sulle spalle e indicò con un cenno del capo la strada. "Io direi che è il caso di andare, che dite?".

Le ragazze si avviarono, avanzando lentamente nella folla. Alessia e Denisa erano davanti, intente a battibeccare su Elia, mentre Emilia camminava dietro di loro, con il passo pesante di un carcerato che porta ai piedi delle zavorre. Sentiva a malapena i discorsi delle due amiche, ma non se ne curò.

"Merda" esclamò tutto d'un tratto, arrestando il passo.

Le ragazze si voltarono, guardandola confuse.

"Che c'è?".

"Ho dimenticato il vocabolario di greco in classe".

Alessia scosse il capo e Denisa le fece un gesto eloquente la mano. "Oddio, vai a prenderlo subito. Quel GI ne ha già viste troppe".

"Certo". La ragazza annuì. "Voi non aspettatemi, è già tardi".

Rientrò a scuola di gran carriera, in senso contrario rispetto a tutti gli altri studenti, e salì di corsa le scale fino al corridoio della sua aula, con il fiatone all'ultimo gradino.

Tirò un sospiro di sollievo quando vide il vocabolario sotto la sedia.

"Emilia".

La ragazza cacciò un urlo e si voltò di scatto.

"Scusa, non volevo spaventarti" esclamò Ruben, ridendo.

"Ma vaffanculo".

La ragazza strinse il dizionario contro il petto e non si mosse dalla propria posizione. "Che c'è?".

"Niente". Il ragazzo si appoggiò allo stipite della porta, a braccia conserte. "Scendevo le scale e ti ho vista".

"Non passi mai dal mio corridoio all'uscita".

Ruben sbuffò. "Sei insopportabile, te l'hanno mai detto?".

"Va beh". Emilia si avviò alla porta, snervata. "Se sei venuto solo per insultarmi, ciao".

Fece per uscire, ma Ruben la afferrò per il polso.

"Non è vero, devo chiederti una cosa".

Emilia sentì lo stomaco attorcigliarsi.

"E se ha visto me e Federico alla festa?".

"Al diciottesimo di quei tre della squadra di calcio mi hai detto che Elia è etero, giusto?".

La ragazza trasse un respiro di sollievo. "Sì, perché?".

"Ecco, sei proprio sicura sicura di questa cosa?".

Emilia fece spallucce. "Mah, direi di sì, penso che se fosse gay me lo avrebbe detto".

Ruben arricciò il naso, poco convinto.

"Ti sei proprio fissato con Elia, eh?".

Emilia scoppiò a ridere, ma il ragazzo scosse il capo.

"Guarda che sono serio".

La ragazza non disse nulla. Restò immobile, la fronte corrugata e il vocabolario stretto contro il petto.

"Alla festa di Filippo era strano, io ci stavo palesemente provando e a lui non sembrava che la cosa desse fastidio".

"Ruben, solo perché è venuto a recuperarti nei boschi non significa che tu gli piaccia, siamo venuti tutti a cercarti e lui ha solo avuto la fortuna di trovarti".

"Sì, ovvio". Il ragazzo sbuffò e distolse lo sguardo, la schiena abbandonata contro lo stipite. "Ma non è solo per quello, in generale ieri era troppo strano".

Emilia abbozzò un sorriso. "Non so cosa dirti, ripeto, a me è sempre parso etero, anzi, a volte fa delle sparate omofobe che non ti dico".

Lesse la delusione nello sguardo di Ruben e si pentì subito di quelle parole.

"Ma anche su di me?".

"No, no" mentì Emilia. "Però pensa tipo che il pride sia inutile, cose così".

"Certo". Ruben rise sprezzante. "Quando puoi stare mano nella mano con la tua ragazza senza che nessuno ti insulti o ti pesti, quando i tuoi genitori ti accettano per quello che sei, quando i prof non ti guardano male, ovvio che pensi che il pride sia inutile".

"Mi dispiace".

"Non fa niente, mica è colpa tua se il tuo amico è omofobo, no?". Il ragazzo si sforzò di sorridere ed Emilia sentì un nodo stringersi attorno allo stomaco.

Nessuno dei due aggiunse altro e il silenzio si fece denso di rammarico.

"Va beh, grazie, Emilia".

La ragazza sorrise.

"Salutami le ragazze".

Il ragazzo si allontanò ed Emilia lo guardò finché non scomparve all'imbocco delle scale.

"Sono una cretina" pensò, avviandosi verso l'uscita a passo incerto. Il vocabolario pesava più di quanto avrebbe dovuto ed ebbe la sensazione che volesse trascinarla sul pavimento.

Come aveva potuto rivelare le affermazioni omofobe di Elia a Ruben?

Come aveva potuto ferirlo in quel modo?

Come poteva Elia rifiutarsi di accettare un orientamento sessuale diverso dall'eterosessualità?

Un brusio interruppe il suo flusso di pensieri.

Socchiuse gli occhi, come se quel gesto potesse aiutarla a sentire meglio, e le parve di riconoscere la voce di Rebecca.

Seguì le voci, come un segugio alla ricerca della preda, e dovette portare una mano alla bocca per trattenere un singulto.

Rebecca era in un'aula, con il professor Bocchio.

Stavano parlando, lui seduto sulla cattedra, lei con le natiche appoggiate al banco in prima fila.

Una sensazione sgradevole si fece largo nello stomaco di Emilia.

"È solo un'alunna che parla con un insegnante".

Le tornò in mente lo sguardo che Bocchio le aveva rivolto alla serata artistica del liceo, la sensazione di disagio che quegli occhi indagatori e maliziosi le avevano provocato. Le risuonarono, stridule, le parole della ragazza dai lineamenti volpini, con la quale aveva rischiato di fare a botte. E quelle di Andrea, seduto di fronte a lei in cucina, una pila di crepe a dividerli.

"Chiedile perché se la fa con il prof Bocchio".

"Insinuano che faccia cose con Bocchio. Hai capito che intendo".

Le lacrime le appannarono la vista, le bagnarono le guance e il collo.

Si allontanò di corsa, precipitandosi giù dalle scale, rischiando di inciampare.

Brutti pensieri le affollavano la mente e, per quanto lottasse per cacciarli, restavano lì, si ramificavano, proiettando visioni che mai avrebbe voluto vedere.

Quando uscì da scuola, non si curò di notare se ci fossero ancora Alessia e Denisa.

Iniziò a correre, senza guardare dove stesse andando.

Ma ciò da cui scappava era dentro la sua testa.


Spazio autrice

Leggere il vecchio spazio autrice, quello di due anni fa, mi ha rattristata e resa felice allo stesso tempo. Avevo aggiornato dopo tantissimo tempo e mi scusavo con i lettori per non riuscire più a mantenere la costanza di prima. Stava iniziando il periodo buio e piano piano la forza di scrivere questa storia andava scemando.

Però scrissi questa frase: "Nonostante ciò, spero che l'affetto che provate per Emilia e la sua gang non svanisca. Spero di trovarvi qui, a ridere, a piangere, quello che volete. Spero solo di trovarvi qui".

E ad oggi, dopo due anni, voi siete davvero qui. Non potete immaginare quanto mi renda grata tutto ciò. Pensare che ci siano delle persone che non solo non hanno perso interesse per la mia storia nonostante sia passato tanto tempo, ma che l'abbiano riletta tutta da capo, è un'emozione incredibile. Non so davvero cosa aggiungere se non GRAZIE, grazie a ognuno di voi, perché siete uno dei motivi che mi ha portato a non abbandonare definitivamente questa storia.

Un bacio gigante, vi voglio bene❤️

Baby Rose

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