37- Ma chi c'ha voglia di tornare a casa

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13 maggio- Porto di Ancona

"Ma no, raga, la nostra stanza è lontanissima dalla vostra".

Ruben incrociò le braccia sul petto e si lasciò cadere contro la parete con aria esausta.

Il corridoio della nave su cui si affacciavano le cabine era stretto e angusto. In quello spazio asfissiante, dove ogni suono era assorbito dalle pareti rosse e dalla moquette dello stesso colore, ogni minimo rumore sembrava sacrilego.

Denisa, appoggiata allo stipite della porta, fece spallucce. "Scambiatevi con qualcuno di una stanza vicina, che ti devo dire".

Federico scrutò l'interno della cabina delle ragazze, occupata da due letti a castello e una specchiera. L'unica fonte di luce proveniva dal piccolo oblò, oltre il quale, come querce secolari, si innalzavano le gru del porto.

Alessia, intenta a legarsi i capelli in due trecce, bofonchiò un saluto, l'elastico in bocca a impastarle la voce. Rebecca, seduta su uno dei letti in alto, si limitò a sorridere, per poi distogliere subito lo sguardo.

"Non ne avete persa una per la via?" domandò Federico, continuando a frugare con lo sguardo nella stanza.

"Emilia è in bagno" rispose Alessia, senza distogliere lo sguardo dal proprio riflesso nello specchio. "È da venti minuti che sta cagando".

"Bugia".

L'urlo di Emilia, chiusa in bagno, fece ridere tutti.

"Tranquilla, non c'è fretta" esclamò Ruben, affacciandosi a sua volta nella cabina e aggrappandosi al braccio di Federico.

"Bastardi".

La porta della stanza che affiancava quella delle ragazze si aprì e sbucò Andrea.

"Bella raga" esclamò, salutando Simone e Ruben con una stretta di mano. "Voi dove avete la stanza?".

"Hai presente Fanculandia?" intervenne Ruben. "Ecco, da quelle parti".

"Va beh, dai, il traghetto non è tanto grande".

Simone scoppiò a ridere. "Tu scherzi, ma ci abbiamo messo almeno mezz'ora a trovarvi".

Federico non prese parte alla conversazione. Dopo aver salutato Andrea con un "Ciao" appena accennato, si era limitato a osservare la scena in disparte, indugiando di tanto in tanto con lo sguardo sul ragazzo. Andrea aveva tagliato i capelli e, senza la sua solita chioma spettinata, sembrava avere qualche anno in più.

"Eccomi".

Emilia uscì dal bagno trafelata e tutti applaudirono.

"Il premio per la cagata più lunga della storia va a" esordì Ruben, facendo arrossire la ragazza fino alla punta delle orecchie. "Emilia!".

"Sei uno stronzo, cazzo" esclamò lei di rimando "Prova a tu a vivere con la Sindrome del Colon irritabile". Allungò un braccio per colpirlo, ma lui riuscì a ritrarsi, e si ritrovò così incastrata tra Federico e Denisa, ai lati della porta.

Si dileguò imbarazzata e subito corse vicino ad Andrea, che le cinse le spalle con un braccio.

Percepì lo sguardo di Federico su di sé, ma lo ignorò, accoccolandosi sul petto del ragazzo.

"Rega, ma che è, un festino?".

Elia sbucò dalla stessa stanza di Andrea e si appoggiò allo stipite della porta con noncuranza. Indossava solo i jeans, teneva le braccia incrociate sul petto, mettendo così in risalto i bicipiti, e un ciuffo ribelle gli ricadeva sugli occhi.

Ruben deglutì rumorosamente. Si passò una mano tra i capelli e si sistemò la maglia, tentando invano di guardare tutti tranne che lui.

"No, ma fa' pure come se fossi a casa tua" esclamò Andrea, con finta stizza.

"Lo so che sono troppo bello".

"Oh, cavolo, hai smascherato la mia bisessualità repressa".

Denisa scoppiò a ridere. "Emilia dovrebbe preoccuparsi?".

La ragazza ebbe un sussulto. Finse una risata e rivolse un'occhiata di sfuggita a Federico, che non ricambiò.

Aveva lo sguardo fisso davanti a sé, perso nel vuoto.

"Salve".

Sulla porta, accanto a Denisa, apparve Alessia, con una maglia della NASA e i lunghi capelli castani raccolti in due trecce francesi attaccate alla testa.

Indugiò con lo sguardo su Elia ed Emilia sorrise.

Sia Ruben sia Alessia non avevano occhi che per lui.

"Se il signorino si decide a vestirsi possiamo andare a vedere la partenza" esclamò Andrea, indicando con il pollice il soffitto.

Elia alzò le mani in segno di resa.

"Vado vado".

Quando il gruppo fu al completo, si diressero sulla terrazza a poppa, da cui altri studenti e passeggeri erano affacciati, in attesa che il traghetto lasciasse gli ormeggi.

I ragazzi si precipitarono contro la ringhiera, ma Emilia non li seguì.

Rallentò il passo, incapace di unirsi a quella corsa sfrenata.

La mattina era partita di casa senza nemmeno salutare suo padre. La nonna di Alessia era passata sotto casa sua alle cinque, ma Emilia era scesa in strada mezz'ora prima, anticipando la sveglia. Non aveva voglia di parlare con lui, non dopo la scenata della sera precedente, eppure in quel momento, mentre il motore della nave iniziava a rombare, sentì lo stomaco attorcigliarsi su sé stesso. Avevano litigato tante volte, ma quella era la prima in cui partiva per una settimana senza prima fare pace.

"Oi?".

Elia si voltò e indicò il resto del gruppo con un cenno del capo.

La ragazza non disse nulla. Sospirò, lo sguardo fisso su Elia e gli angoli della bocca appena sollevati.

"Tutto bene?" insisté lui, già consapevole della risposta.

Emilia scosse il capo e lo sguardo si fece più cupo.

"Per niente".

Il ragazzo aggrottò la fronte. "Che hai?".

"Mio padre e mia zia fanno gli isterici" rispose lei. "E, porca troia, proprio ieri dovevano fare una delle loro scenate".

Elia restò alcuni istanti in silenzio, fissando una delle sedie in plastica sparse sul terrazzo.

"Ma cos'è successo?".

"Dai, ragazzi, venite".

La voce di Simone li raggiunse ed Emilia provò così tanto fastidio nel sentirla che serrò i pugni, affondando le unghie nella carne.

"Un attimo" esclamò Elia. "Allora?".

"Non lo so, in realtà, ho solo sentito che ieri sera litigavano al telefono, ma mio padre non mi ha spiegato".

"Figuriamoci".

Lo sguardo di Emilia andò a posarsi sul gruppo di amici. "Perché sono capitata nella famiglia più stronza del Mondo?".

"C'è sempre di peggio, se può consolarti".

La ragazza non rispose.

"Ma perché non chiami tua zia? Magari lei ti dice che è successo".

Emilia annuì, con lo sguardo perso nel vuoto e tanti pensieri in testa che con quella nave e quella gita avevano poco a che fare.

"Dentro non c'è nessuno, vai un attimo a chiami". Elia indicò con lo sguardo il bar che si affacciava sulla terrazza.

Emilia indugiò alcuni istanti, stringendo con forza il telefono tra le mani.

"Vieni con me?".

Elia annuì ed Emilia, rassicurata dalla sua presenza, entrò nel bar e prese posto al primo tavolino libero che trovò.

Attese alcuni istanti prima di premere il tasto di avvio della chiamata. La scritta Zia Carolina non le era mai sembrata così spaventosa come in quel momento.

"Pronto?".

La ragazza si pietrificò. Una parte di lei aveva sperato che il telefono continuasse a squillare a vuoto.

"Ciao zia".

"Tesoro, ciao, come stai?".

"Bene". Deglutì. "Sono in gita".

"Veramente? Ma che bello e dove sei?".

"Ad Ancona, sul traghetto per la Grecia".

La donna si lasciò andare ad un'esclamazione di stupore. "Che meraviglia! Ma sai che un po' ti invidio? La Grecia è stupenda, quando ci sono andata in viaggio di nozze ne sono rimasta incantata".

Aspettò che la zia terminasse l'elogio del Peloponneso in silenzio, disegnando cerchi immaginari sul tavolo del bar.

"E quali tappe fate?".

La ragazza trasse un profondo respiro. "Senti, zia, in realtà ti ho chiamato per chiederti un'altra cosa".

"Ah, e cosa?".

Emilia riconobbe il finto stupore nella sua voce.

"Ecco, ieri ho sentito che litigavi al telefono con papà".

Cadde il silenzio.

Emilia guardò Elia, in cerca di un sostegno, e il ragazzo sorrise.

"Sì, ma era una sciocchezza, tranquilla".

"Zia, mi dici cos'è successo?".

Avvertì il respiro della donna farsi pesante.

"Zia?".

"Gli ho chiesto se volessi venire una settimana giù in Basilicata, quest'estate".

La ragazza schiuse la bocca.

"In Basilicata?" mormorò.

"Sì, ma non ti preoccupare, organizziamo poi un'altra volta, tanto lo sai che casa nostra è sempre aperta".

"E papà ha detto di no?".

"Sì, tesoro, ma non dirgli niente, eh, per favore. Organizziamo un'altra volta, va bene?".

Emilia non disse nulla. Guardò il mare, fuori dalla finestra.

"Mica ci sei rimasta male?" domandò la zia.

"No, no".

"Tanto poi qualcosa la facciamo, non ti preoccupare".

"Ora devo andare" mormorò la ragazza, incapace di sostenere per altro tempo quella conversazione. "Ciao zia, dai un bacio a tutti quanti e a Tommasino soprattutto".

Buttò giù la chiamata senza attendere i saluti.

Elia si sporse nella sua direzione, i gomiti puntellati sul tavolo, attendendo che Emilia dicesse qualcosa, ma la ragazza restò in silenzio.

"Allora?".

"Eh, allora" rispose amareggiata. "Mio padre è uno stronzo".

Incrociò le dita, come se stesse pregando, e vi appoggiò il mento.

"Non vuole farmi andare in Basilicata a casa dei miei parenti materni" aggiunse, lo sguardo che correva frenetico da destra a sinistra.

Elia sollevò le sopracciglia, perplesso. "Magari ha paura a mandarti da sola, che ne so".

"Non capisci proprio un cazzo, Elia".

Il ragazzo assunse un'espressione offesa, ma, prima che potesse ribattere, Emilia batté una mano sul tavolo.

"Sono anni che mio padre non mi fa vedere mia zia, ok? Sono anni che non vedo nessuno della famiglia di mamma perché mio padre non vuole e questa è l'ennesima volta che mi impedisce di fare qualcosa per il suo insulso egoismo. E la cosa più assurda è che è incapace di darmi delle spiegazioni per tutto ciò".

Trattenne a fatica le lacrime, che lottavano per sgorgare e colarle lungo le guance.

Tra i due cadde il silenzio. A riempire il vuoto, il rombo della nave, che fece tremare il tavolo.

"Emilia". Il ragazzo si sporse in avanti, fissandola negli occhi. "Io non so che dirti, se vuoi possiamo chiuderci in cabina a piangere pensando ai genitori del cazzo che ci sono capitati, però non è una grande idea, non pensi? Sei su un traghetto diretto in Grecia, con i tuoi migliori amici e il tuo ragazzo, stai per fare la gita che tutti quelli che mettono piede in quella merda del Daze attendono dalla prima superiore e vuoi sul serio rovinarti tutto questo? Non hai potere sulle scelte sbagliate di tuo padre, ma su come vivere la tua vita sì".

Emilia annuì poco convinta e il ragazzo le pizzicò le guance tra indice e pollice.

"Allora?".

La ragazza sorrise, per la prima volta dall'inizio di quel viaggio.

"Beh, mi sa che un po' di ragione forse ce l'hai".

Si alzò, seguita a ruota da Elia, e insieme si diressero verso il resto del gruppo.

Tra i mille pensieri confusi che affollavano la sua mente, l'unico discorso che pareva avere un senso era quello di Elia.

Si unirono agli amici, già affacciati alla ringhiera. I loro abiti e i loro capelli erano in balia del vento, l'aria salmastra riempiva i polmoni e il rombo della nave annullava ogni altro suono. Davanti a loro, Ancona, con i suoi edifici arroccati, imbruniti dalla salsedine. Appariva come una fotografia antica, ingiallita dal tempo, immobile sotto il cielo terso tinto di arancione.

Sopra le loro teste sventolava la bandiera della Grecia. Erano in viaggio verso una Terra sognata per anni, di cui avevano imparato la lingua, le tradizioni, la cultura, la storia, l'arte e in cui avevano finalmente l'opportunità di mettere piede.

"Non vi sentite come Ulisse?" esclamò Ruben, gli occhi socchiusi per il vento e il sorriso ampio e contagioso.

"Speriamo di non tornare a casa tra sette anni" rispose Denisa, ridendo.

"Ma chi c'ha voglia di tornare a casa".

Il ragazzo salì su una delle sbarre della ringhiera, i colori scuri dei suoi vestiti a contrasto con il cielo limpido e caldo del tramonto. Spalancò le braccia e si lasciò andare a un urlo liberatorio, che mi mescolò al fragore del motore e dell'acqua sotto di loro.

La scia bianca e spumosa lasciata dal traghetto parve unirsi a quell'urlo, a quella gioia che aveva impossessato il corpo di Ruben, o forse tristezza, esorcizzata con violenza.

Emilia lo imitò. Restò aggrappata con le mani alle sbarre, per paura di cadere, e scoppiò in una risata liberatoria.

Sorrise ai suoi amici, che, uno dopo l'altro, salirono sulla sbarra, imitando quel gesto sconsiderato.

Sorrise a Elia, che, come incantato, guardò prima lei poi Ruben, che si ergeva a occhi chiusi, occupando tutto lo spazio con le braccia e la sua aura potente, come il Cristo di Rio.

Un pensiero comune serpeggiava tra quegli adolescenti dalle vite complicate e le teste piene di pensieri.

"Ma chi c'ha voglia di tornare a casa".


Spazio autrice

Ciao ragazzi, scusatemi tantissimo per l'attesa, ma questa settimana è stata pienissima, ho dato un esame e ne avrò altri due nei prossimi giorni, quindi non so più che pesci pigliare hahaha. Non vedo l'ora che arrivi Pasqua per riposarmi un po', dedicarmi a tempo pieno alla storia e, soprattutto, tornare a casetta, dato che non torno da due mesi e mi manca.

Sono troppo contenta che finalmente possiate leggere anche voi la parte della gita, sarà molto lunga perché succedono un sacco di cose e si sviluppano alcune questioni importanti, ma spero che possa intrattenervi. Tra l'altro, alcuni episodi sono ispirati a eventi reali della gita in Grecia che feci in quinta superiore: fu un dramma totale e ci ripenso sempre con un misto di cringe e affetto hahaha. Anche le foto che metterò a inizio capitolo saranno prese per lo più dalla mia galleria. Feci degli scatti stupendi durante quel viaggio, quindi penso sia carino condividerli con voi.

E niente, detto questo vi saluto, auguro una buonanotte a tutti quelli che come me sono ancora svegli e un buongiorno a chi leggerà questo capitolo di mattina haha. Ci risentiamo venerdì❤️

Baby Rose

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