39- Veloce come il vento

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14 maggio- Sito archeologico dell'Antica Olympia

Nonostante fosse maggio, la Grecia sapeva già d'estate. Il caldo torrido, i grilli nascosti nel terreno, l'odore dell'erba tagliata: i paesaggi peloponnesiaci regalavano una serenità insolita per dei ragazzi cresciuti nel caos del capoluogo piemontese.

"Qui è dove sorgeva il tempio dedicato a Zeus. All'interno vi si trovava la gigantesca statua in oro e avorio realizzata da Fidia, una delle sette meraviglie del mondo antico, purtroppo andata perduta".

Del tempio restavano solo macerie e si poteva soltanto immaginare quanto incredibilmente bella fosse Olimpia nel suo periodo di splendore. Il parco archeologico, immerso nella flora mediterranea, ospitava i resti dell'antica città greca e la guida, una donna di mezza età originaria di Patrasso, raccontava con passione le tradizioni religiose e il processo che avevano portato all'invenzione della più importante competizione sportiva della storia dell'umanità: le Olimpiadi.

"Questo posto è stupendo" mormorò Alessia, guardandosi attorno con occhi sognanti.

"Concordo" rispose Denisa, dopo aver scattato una serie di foto con il cellulare. "Quanto vorrei tornare indietro nel tempo e visitare la città nel suo periodo di splendore".

Le altre annuirono con convinzione, ma, prima che qualcuna di loro potesse aggiungere altro, la voce della guida richiamò la loro attenzione.

"Ora seguitemi, stiamo per arrivare al punto forte della visita. E so che tutti lo state aspettando con ansia".

I ragazzi seguirono la guida, ridendo, lo scricchiolio della ghiaia sotto i loro piedi. Un filo di vento mosse le chiome rigogliose degli alberi e donò sollievo dal caldo opprimente.

"Parlava dello stadio, vero?" domandò Alessia, sognante.

Denisa scoppiò a ridere. "Penso proprio di sì, Ale".

"Non vedo l'ora, chissà com'è, sono troppo curiosa".

"Infatti" aggiunse Rebecca. "Stiamo pur sempre parlando dello stadio delle prime Olimpiadi".

"Esatto, io sono emozionatissima".

Emilia sollevò gli occhi al cielo, scettica. "Neanche fossimo sportive agoniste".

"Non fare la rompipalle" la rimbeccò Alessia. "Siamo immerse nella storia, capisci?".

La ragazza non ribatté, si limitò a scuotere il capo e guardare altrove. Un velo oscuro era calato davanti ai suoi occhi, impedendole di godere della bellezza da cui era circondata. Ogni cosa le sembrava appassita, decadente, indegna di attenzioni e stupore.

"Ragazzi" esordì la guida, voltandosi verso gli studenti. "Siete pronti?".

Dal gruppo si levarono un "Sì" convinto e delle risate e la donna fece segno con la mano di seguirla, attraverso un corridoio in mattoni.

Lo stadio in cui si erano svolte le prime Olimpiadi della storia comparve davanti ai loro occhi. L'incredibile invenzione di un popolo vissuto più di due millenni prima era lì, di fronte a loro.

"Ma è...".

"Una merda".

Le ragazze fulminarono con lo sguardo Emilia.

"Dai, raga, non guardatemi così". Il tono era serio e severo. "È una piana insignificante".

L'ampio terreno su cui si svolgevano le competizioni si estendeva sterile e bruno, circondato da collinette verdeggianti. Non vi era nessuna struttura architettonica appariscente a testimoniare l'importanza storica di quel luogo, solo polvere ed erba.

"Vi vedo un po' delusi" esclamò la guida, ridendo.

"Ma gli spalti?" domandò qualcuno, provocando un brusio di consenso.

"Non sono mai esistiti" rispose la donna, senza togliersi di dosso il sorriso sardonico. "Gli spettatori si sedevano direttamente sulle collinette che vede qua attorno. E se lo spazio vi sembra poco, ricordate che i greci erano piuttosto piccoli. Quindi ci stavano benissimo".

I ragazzi scoppiarono a ridere e lei, allargando le braccia, esclamò: "Vi lascio liberi per dieci minuti".

Gli studenti si riversarono nello stadio, mescolandosi ai turisti. Una donna tedesca corpulenta, dopo aver visto un gruppo di ragazzoni del quinto avvicinarsi spavaldi e rumorosi, prese subito in braccio il suo figlioletto.

"Non sentite la storia vibrarvi nelle vene?" domandò Alessia, estasiata.

Denisa sorrise, esplorando con lo sguardo l'arena. "Sì, è tutto così pazzesco, stiamo vedendo delle cose meravigliose. Anche se, dopo l'Ermes di Prassitele di oggi, credo non riuscirò a trovare qualcosa di più bello ed emozionante".

"Nah, sono sicura che il meglio deve ancora arrivare".

Le quattro raggiunsero i ragazzi, includendoli nella loro conversazione. Dopo alcuni minuti di discussione erudita, in cui confrontarono le opinioni riguardo il museo visitato in mattinata, l'argomento centrale divenne l'aspetto fisico degli antichi greci, e Simone si ritrovò a litigare con Alessia, che non riusciva a credere che il vero Achille fosse probabilmente molto diverso e meno attraente di Brad Pitt in Troy.

L'unico a mancare era Elia: parlava con alcuni ragazzi della quinta B e nessuno era propenso ad andare a chiamarlo e coinvolgerlo della conversazione.

Emilia, distaccatasi dal gruppo per scattare alcune fotografie, gli rivolse un'occhiata triste. Era ancora arrabbiata per ciò che aveva detto sulla nave, ma al contempo sentiva la sua mancanza. Era l'unica persona con cui aveva voglia di parlare e scherzare.

"Emilia?".

Si voltò di scatto e sollevò un sopracciglio.

Alberto Parodi, il festeggiato del diciottesimo in cui si era imbucata a marzo, le era comparso di fianco. I capelli scuri gli ricadevano disordinati sugli occhi e l'abbigliamento stravagante e colorato lo faceva sembrare fuori posto in mezzo alle rovine dell'antica Olimpia.

"Scusami". Nonostante fosse tra i ragazzi più popolari della scuola, in quel momento trasudava insicurezza da tutti i pori. "Non voglio romperti".

"Dimmi tutto" rispose la ragazza, scrutandolo da capo a piedi. Nonostante il tentativo di sembrare gentile e disponibile, la voce tradiva un forte sospetto. Emilia aveva l'innata capacità di incutere soggezione in chiunque, soprattutto negli sconosciuti.

"Volevo chiederti una cosa" disse lui, torturandosi le mani, incapace di guardarla negli occhi. "Sai per caso se io interessi a Rebecca Francesi?".

La ragazza restò spiazzata dalla domanda.

"Nel senso" si affrettò ad aggiungere Alberto "Un mesetto fa le ho scritto e ci siamo sentiti, solo che lei è un po' sfuggente e vorrei capire se valga la pena provarci. Mi piace parecchio, sono onesto".

Emilia sorrise e scosse il capo, trattenendo a fatica una risata. "Mi cogli alla sprovvista, è da un po' che non parliamo più di te".

"Oh".

"Ma non fraintendere, cioè, pensavo che fossi stato tu ad accannarla".

"Ti pare?". Il ragazzo parve quasi offeso. "O meglio, non mi dava più tanta corda, quindi ho smesso di scriverle per questo".

"Capisco" esclamò Emilia, lanciando una fugace occhiata a Rebecca. "Sicuro di non essere stato tu a fare qualche puttanata? Perché fino a un mesetto fa ero abbastanza convinta che ricambiasse l'interesse".

"No, te lo giuro, non ho fatto nulla, per questo volevo capire se dovessi gettare la spugna definitivamente o avessi ancora qualche speranza".

La ragazza annuì.

"Penso che tu possa provarci" disse, infine, con aria d'importanza. "Secondo me potresti ancora interessarle".

"Davvero?". Gli occhi marroni di Alberto brillarono di gioia.

"Però vacci piano, è molto timida e riservata".

"Certo, certo". Accennò un inchino. "Sono un vero gentleman".

"Ti conviene" sibilò la ragazza, ma un grido improvviso coprì la sua voce.

"Raga, gara di corsa!".

Un ragazzo della quinta C, poco distante da loro, sventolava una mano per aria, chiamando all'appello i compagni di scuola.

Si radunarono tutti in fondo allo stadio ed Emilia e Alberto li raggiunsero.

"Non pensavo fossi simpatica, Emilia".

"Ruffiano" pensò lei.

"Ah, sì? Come mai?".

"Boh" rispose il ragazzo, con lo sguardo fisso sui compagni. "È che hai la nomea di essere una un po' scontrosa, non sapevo come approcciarti".

Emilia non poté trattenere le risate. "Sono contenta che la gente pensi questo di me".

Parodi trasalì.

"Dai, non ti spaventare" aggiunse, rivolgendogli l'occhiolino. "Però stai buono con Rebecca, okay?".

Il ragazzo sollevò i pollici. "Sicuro. Grazie dell'aiuto, ci si becca".

"Ci si becca".

Il ragazzo si allontanò baldanzoso ed Emilia restò sola.

Avanzò a passo lento e trovò tutti i suoi amici concentrati sulla competizione, sul punto di iniziare.

"Partite al via. Ci siete tutti?".

Una ventina di ragazzi e ragazze era disposta in una fila ordinata.

Tra loro c'era Elia, con lo sguardo fisso al fondo dello stadio, come un corridore agonista.

Emilia si accorse dello sguardo insistente di Ruben sul suo amico. Non era bastata la scenata omofoba sulla nave ad eliminare i sentimenti che provava nei suoi confronti.

"Denisa, muovi il culo e vai".

La voce squillante di Alessia attirò la sua attenzione. Si voltò a guardarla e la vide tirare Denisa per un braccio.

"Ale, dai, non voglio farmi figure di merda".

Emilia le raggiunse, sforzandosi di non apparire indisposta.

"Emi, la convinci ad andare? È stra veloce".

"Infatti". Emilia annuì con convinzione. "Vai, così li stracci tutti".

"TRE".

"Emilia, non ti ci mettere anche tu, cazzo".

Alessia fece appello a tutto il proprio autocontrollo, ma fallì. "Cogliona, quando mai nella vita ti ricapiterà di partecipare a una gara di corsa nel primo stadio olimpico della storia?".

"DUE".

"Ancora con questa storia?".

"Pensa alla gloria. Pensa a quanto sarà soddisfacente battere quegli stronzi dei compagni di Rebi. E i tuoi".

"UNO".

"Dai, Den, vogliamo vedere la leonessa che è in te".

"VIA".

I ragazzi scattarono all'istante e Denisa, che era qualche metro indietro, corse come una gazzella, superando i più lenti di loro.

L'urlo di incoraggiamento delle amiche venne sentito da tutti i presenti nello stadio.

I turisti si scansarono spaventati. I venti corridori sembravano una mandria di bufali e sollevarono attorno a loro una nube di polvere e sabbia bruna.

"DE-NI-SA, DE-NI-SA, DE-NI-SA".

Nonostante lo svantaggio alla partenza, riuscì ad essere tra i primi cinque.

I capelli sciolti svolazzavano, le coprivano gli occhi, ma non se ne curò e continuò a sfrecciare.

Era incredibile come la stessa persona che fino a pochi istanti prima si vergognava a presenziare alla partenza, ora correva veloce come il vento, competitiva più di chiunque altro.

Superò tre avversari.

In testa c'era Elia.

Riuscirono a distanziare gli altri di diversi metri e, quando lo svantaggio divenne insuperabile, gli altri partecipanti decisero di arrestare la loro corsa.

La gara si trasformò in un testa a testa tra Elia e Denisa.

Anche la tifoseria urlava, ormai, solo i loro due nomi. Persino i professori si erano uniti alle grida di incoraggiamento e Baroni, lo svitato insegnante di filosofia di Emilia e Alessia, filmava la competizione con il telefono.

"SA-BA, SA-BA, SA-BA".

"DE-NI-SA, DE-NI-SA, DE-NI-SA".

L'unico in silenzio era Ruben.

Emilia lo guardò di sottecchi. Avrebbe voluto scrollarlo, dirgli di lasciar perdere quell'amore impossibile, di non sprecare tempo dietro una persona che non lo meritava. Poi guardò Federico, che si sgolava facendo il tifo per la sua fidanzata e si chiese con quale coraggio avrebbe potuto rivolgere parole così ipocrite a Ruben.

Elia rubò per un soffio il traguardo a Denisa.

Emilia scoppiò a ridere, mentre un "No" deluso usciva all'unisono dalle bocche di Alessia e Rebecca.

I due corridori si scambiarono il cinque e tornarono sudati e sporchi di polvere, come soldati di trincea.

"Ma quanto sei forte Den? E tu che non volevi neanche partecipare, cogliona che non sei altro".

Alessia, noncurante delle condizioni di Denisa, abbracciò con forza l'amica, che era sul punto di ridere, ma ormai non le era rimasto più fiato.

"Prima o poi ti uccido, Ale, sappilo".

Quando Alessia ebbe mollato la presa, Denisa venne raggiunta da Federico. Il ragazzo la sollevò da terra e le riempì la faccia di baci, facendola ridere di gusto.

Emilia osservò impietrita la scena. Le forze la abbandonarono ed ebbe l'impressione di potersi frantumare come un vaso di ceramica caduto per terra.

I suoi occhi si spostarono su Elia. Dopo aver accolto le congratulazioni dei suoi amici della quinta B, era rimasto da solo e prendeva fiato con le mani premute contro le cosce.

"Complimenti, Saba" esclamò la ragazza, spazzolandogli i capelli con una mano.

Il ragazzo tornò in posizione eretta, le mani sui fianchi e il petto in fuori.

"Chi me l'ha fatto fare" esalò ed Emilia scoppiò in una risata sincera.

"Sei arrivato primo alla gara del D'Aze allo stadio di Olimpia. Per la gloria questo ed altro".

"Ma sì". Il suo viso era in fiamme e dalle tempie colavano grosse gocce di sudore.

Restarono in silenzio per alcuni istanti. Gli altri, poco distanti, parlottavano tra loro e, di tanto in tanto, qualcuno rivolgeva delle occhiate di sottecchi nella loro direzione.

"Elia".

"Dimmi".

"Penso che tu debba delle scuse a qualcuno".

Il ragazzo sollevò gli occhi al cielo.

"Non fare lo stronzo".

Sapeva quanto fosse orgoglioso l'amico, ma non desistette.

"Siamo un gruppo meraviglioso e per colpa della tua scenata stai rovinando la gita a tutti, quindi o ti decidi a chiedere scusa a Ruben o puoi passare il resto del viaggio con quei cazzoni della quinta B".

Elia sorrise, guardando altrove. "Ti ricordo che è grazie a quei cazzoni se hai bevuto alla festa di carnevale e hai baciato Costantini".

Emilia spalancò la bocca, stizzita. Fece per girare sui tacchi, ma il ragazzo le cinse il braccio con una mano e la seguì.

Gli altri del gruppo si voltarono tutti insieme, imbarazzati.

Ci furono alcuni opprimenti istanti di silenzio, poi Elia, mandando giù rumorosamente la saliva, disse: "Scusa Rub. Sono un coglione".

Emilia non sapeva se l'amico fosse davvero pentito, ma vedere i due stringersi la mano e sorridersi a vicenda le scaldò il cuore.

"Ragazzi, su, forza".

Sentirono la voce di Raise chiamarli e si incamminarono verso l'uscita dello stadio. Il professore aveva i capelli lunghi fino alle costole e indossava una camicia di lino e un paio di sandali marroni con gli strappi, tipici dei frati e dei tedeschi in vacanza.

"Benvenuti a Gerusalemme" sussurrò Elia, indicando con il capo colui che veniva soprannominato da tutti gli studenti Gesù e, dopo alcuni istanti di silenzio, tutti gli altri scoppiarono a ridere, fino ad avere il mal di pancia.

Il professore dovette minacciare di mettere loro una nota per farli zittire.

Spazio autrice

Ciao ragazzi, grazie mille per aver letto questo capitolo e scusate per il ritardo nella pubblicazione, ma ho avuto dei giorni pienissimi. Dopo l'ultimo esame non ho avuto un secondo di respiro, ma ora sto finalmente tornando a casa dalla mia famiglia per le vacanze di Pasqua e non vedo l'ora di avere più tempo da dedicare alla storia.

La scena della gara di corsa è ispirata a una gara che alcuni miei compagni di scuola fecero in gita proprio allo stadio di Olympia hahaha. Io non sono una grande corritrice, perciò, insieme a una mia amica, mi limitai a fare la Naruto Run, sotto lo sguardo allibito di tutti i presenti. I veri corridori dell'Antica Grecia si saranno rivoltati nella tomba!

Detto questo, vi saluto, come sempre fatemi sapere la vostra opinione ed eventuali correzioni. Ah, nel caso non lo abbiate letto nell'annuncio in bacheca, il prossimo capitolo verrà pubblicato sabato e non venerdì. Dalla prossima settimana, però, dovrebbe tornare tutto alla normalità.

Un bacio❤️

Baby Rose

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