Capitolo 24: Il battesimo indiano

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

The Phoenix - Lindsey Stirling


Lo seguii in silenzio, mentre attraversavamo la riserva, guardandomi attorno con curiosità.

Le feste si tenevano nello spiazzo antistante alla capanna, da cui era venuto fuori il capotribù. Al centro avevano accatastato la legna per accendere un grande fuoco e per tutti erano stati creati posti a sedere con dei semplici tronchi. Sparpagliati tutti intorno c'erano, inoltre, numerosi barili con mestoli e tazze di legno. Nell'aria era presente l'aroma di carne arrostita, che stavano insaporendo con erbe e spezie. Infine vidi dei tamburi, probabilmente fabbricati dagli stessi indiani con pelli e cuoio, posti tutt'intorno al falò.

Tutto sembrava suggerire una festa folkloristica davvero suggestiva.

«Ho già fame!» valutai sorridendo, di fronte alla carne in preparazione. «Sembra buonissima.» Portai quindi l'attenzione sui barili, osservandoli qualche istante con un sorriso sospettoso. «Ho la netta sensazione che lì dentro non ci sia solo acqua.»

«I pellerossa sono specializzati in tisane e super alcolici, assaggiare l'acqua di fuoco è quella che oserei chiamare un'esperienza mistica.» Mi guardò di lato, chiedendosi, con tutta probabilità, quale delle due categorie avrei preferito.

«Interessante. Beh, finché resto in questo mondo meglio provare tutto quanto.»

Dopotutto che cosa avevo da perdere? Sarei presto scesa all'Inferno, non aveva senso farsi scrupoli se fosse o meno il caso di bere alcolici.

«Approccio piuttosto interessante.» Low bussò alla porta del capotribù, alla quale venne ad aprire un uomo, facendoci poi accomodare.

Quella in cui ci trovavamo, ovviamente, non era la sua casa, ma il luogo dove si tenevano le riunioni tra i membri del consiglio e si prendevano le decisioni necessarie per la comunità. In quel momento c'era solo lui e quello che ci aveva aperto la porta, con ogni probabilità una specie di assistente.

«Come vi sembrano le vostre abitazioni?» ci chiese, senza alzarsi da terra, ma facendoci segno di sederci di fronte a lui.

«Ne abbiamo chiesta una sola.» rispose Low.

«Dimentico spesso che, fuori dalla riserva, le regole sociali sono un bel po' diverse.» Ci sorrise tranquillo, anche se probabilmente aveva capito che non fossi affatto sua moglie.

«Vi ringrazio per la vostra ospitalità. Questo posto è davvero un... È davvero una meraviglia della natura!» risposi, sorridendo imbarazzata ed evitando di definirlo un paradiso, lanciando un'occhiata al mio accompagnatore, prima di tornare a osservare il capo tribù.

«Gli amici del demone grigio sono ospiti graditi.» mi rispose, riportando lo sguardo sul mietitore. «Suppongo che non mi dirai perché siete qui e voglio ben sperare che la tua apprezzata presenza, stavolta, non sia legata a qualche catastrofe che sta per abbattersi su di noi.» scherzò ironico, anche se mi diede l'impressione che non lo fosse poi molto.

«Siamo solo di passaggio, resteremo qualche giorno e poi andremo via.» spiegò lui.

«Visto che ti rifai vivo ogni cinquant'anni non conto di vivere così a lungo da incontrarti di nuovo.»

«Magari la prossima volta verrò a prenderti.» gli rispose Low, con un sorrisetto che fece scoppiare a ridere il capotribù.

«Dopo tutto questo tempo sei ancora convinto di portare morte?»

«E tu, dopo tutto questo tempo, pensi ancora che non sia così?» chiese lui di rimando.

«Il corvo, la colomba, come puoi dire chi sia nel giusto e chi sbagliato, chi sia il bene e chi sia il male, non è il loro piumaggio a dare idea della loro essenza. Agli occhi dei vermi sono entrambi malvagi, ma agli occhi dei loro piccoli sono l'esatto opposto. Non è il colore delle tue ali o la scritta sulle tue mani che ti classifica, demone grigio.»

Guardai il capotribù e poi Low, scivolando con lo sguardo sulle sue dita tatuate. Avevo notato su di esse dei simboli, anche se non avevo mai capito cosa significassero. «Spesso dipende dai punti di vista.» asserii, forse più tra me e me che rivolta a loro.

«È esatto, ragazza!» esclamò il vecchio. «Dipende dal punto da cui si osserva ma anche dal modo in cui lo si fa.»

«Non sono tutti sciamani.» puntualizzò Low.

«Non serve certo esserlo per vedere cosa ci sia dentro le persone, basta essere attenti osservatori.» Tornò a me. «Per alcuni è solo più facile che per altri.» Mi sorrise.

«Lui è uno sciamano.» mi spiegò il mietitore. «Ha un dono fattogli dagli spiriti, un po' come il tuo dono celeste. È in comunione con tutto ciò che lo circonda e può vedere le nostre ali anche quando non le mostriamo.»

«In realtà posso fare molto più di questo, ma non mi piace vantarmi, mia moglie non apprezzerebbe.» scherzò con me. «Ma torniamo a noi e al motivo della vostra visita. Come avete di certo notato, la tribù ha paura di voi, sono molto diffidenti con gli estranei.»

Mi sentivo tranquilla in presenza di quell'uomo. Era decisamente un ottimo capo per la sua gente. «Ho visto che la gente ha paura.» concordai, guardando poi Low. «Ma noi non vogliamo fare nulla di male. Come ha detto lui, staremo qui solo per pochi giorni.» spiegai, seria in viso.

«Potete restare quanto volete, non abbiamo le grandi comodità a cui siete abituati voi, ma siamo molto ospitali con i nostri amici.» Mi studiava e Low glielo lasciava fare. «Perché non mi parli un po' di te, sono certo che, conoscendoti, la gente sarà molto meno diffidente.»

«Io, beh... a dire il vero, so meno di me di quanto possa sapere tu stesso. Ho scoperto da poco quello che sono.» Lanciai un'occhiata all'uomo che mi stava accanto, incerta su cosa dire, prima di tornare sul capo villaggio. «Sono nata vicino a Los Angeles. Mia madre è morta di parto e mi ha lasciato il suo violino. Sono cresciuta con quattro amici che ho scoperto essere una sorta di... guardiani, che mi dovevano proteggere, a detta loro, dal male.» raccontai, tornando a guardare Low per un istante, prima di tornare sul vecchio. «Ho perso l'uomo che amavo e ora sto cercando di ritrovarlo. Lui mi sta aiutando.» aggiunsi, indicandolo.

L'uomo mi ascoltò in silenzio, senza staccarmi gli occhi di dosso. Non fece commenti su quanto gli avevo detto, sembrava più interessato a quello che non gli stavo dicendo che al racconto.

«Ti piacerebbe suonare alla festa di stasera?» mi chiese con un'alzata di sopracciglia. «Potresti suonare insieme ai nostri musicisti, credo si divertirebbero molto, non si sente spesso uno strumento come il tuo da queste parti.» Low sorrise, evidentemente sapeva dove volesse andare a parare.

«Sì... volentieri, ma temo di combinare un disastro e peggiorare la situazione. Quando suono trasmetto i miei sentimenti e... ora sono confusi. Mi sento bene, ma non felice, sono preoccupata ed ho paura.» dissi, distogliendo lo sguardo. «Non so se sia il caso.»

«Io credo di sì, anzi, credo sarebbe interessante sentirti suonare stasera una canzone in cui esprimi le tue sensazioni su questo posto e sulla sua gente.» Insomma un modo per farsi accettare senza dire neanche una parola.

Sorrisi, annuendo. «Ci posso provare. Darò il mio meglio.» Acconsentii, un po' più leggera.

Gli avevo detto quali erano i rischi e ora che avevo il suo permesso ero molto più sollevata. Mi mancava suonare, e sapere di poterlo fare di nuovo mi aveva messo di buon umore.

«Immagino che il demone grigio ti abbia già detto che stasera si terrà una cerimonia in cui verrai "adottata" dalla tribù.» disse lui, poggiandosi le mani sulle ginocchia.

«Sì, volevo sapere in cosa consiste. Oppure si tratta di una sorpresa?» domandai, accigliandomi.

«Nessuna sorpresa.» sghignazzò lui. «Invocheremo gli spiriti intorno al fuoco, si alzeranno canti, faremo danzare le fiamme a suon di tamburo e gli spiriti ci indicheranno il nome che avrai da questo momento in poi per la tribù.» spostò gli occhi su Low per poi tornare a me. «È per questo che adesso sei qui, in modo che io possa conoscerti, così da scegliere un nome appropriato al tuo spirito. Poi, se vuoi, ti farai tatuare.» scherzò lui, o almeno speravo.

«Non ho mai fatto un tatuaggio.» valutai, osservando Low. «Fanno male?»

«Sì, fanno male.» ammise annuendo. Lui ne era pieno, e probabilmente gran parte di essi non li avevo neppure visti.

«Possiamo drogarla.» scherzò il vecchio, ricevendo un'occhiataccia da Low. «Con il marchio che ha anche il demone sul braccio, troverai sempre rifugio presso gli indiani.»

«Va bene!» Annuii accondiscendente. «Seguirò il suo esempio.» affermai decisa, anche se non pensavo che sarei mai tornata in quel posto. Se tutto fosse andato secondo i piani, nel mio futuro ci sarebbe stato solo l'Inferno.

«Preferisco bere che drogarmi, onestamente. Low mi ha detto che avete qualcosa di molto forte.» Luke lo avrebbe bevuto di certo.

«L'acqua di fuoco, manda a gambe all'aria qualunque viso pallido, solo lui fa eccezione.» Indicò il mietitore con il pollice.

«Che nome hai pensato per lei?» chiese Low.

«Ancora non so. Non mi ha raccontato niente di se stessa. Ha parlato della famiglia, degli amici, degli alcolici, ma non di se stessa.» gli rispose il vecchio capo indiano.

«Me stessa.» ripetei pensierosa. «Non so che cosa dirti di me. Non ho mai pensato a nulla di particolare. Ho vissuto la mia vita alla giornata, amando la musica e basando tutto su quella. Amo le sensazioni che trasmette e mi sento me stessa solo quando suono.» spiegai. «Non riesco a stare ferma, già adesso vorrei uscire da qui e visitare l'intero villaggio. Sono curiosa e iperattiva.» raccontai, pensando se ci fosse altro da dire.

«Non è facile, vero? Capire chi si è davvero.» mi disse comprensivo e sorridente. «Il nostro comune amico vive da quasi settecento anni e ancora non sa chi è. Il problema è che nessuno può dirtelo. Ti è stato dato un nome, io te ne darò un altro, eppure nessuno di noi potrà dirti chi sei davvero.» Era un tipo molto particolare. «Come ti chiami ragazza?»

«Hope. Si chiama Hope.» rispose Low per me.

Il vecchio si voltò a guardarlo. «Interessante, davvero molto interessante.», poi tornò su di me. «Molto bene, Hope, goditi la festa, il nostro cibo e le nostre bevande e benvenuta tra i Sioux.»

«Grazie!» risposi gentile e davvero felice delle sue parole, chinando il capo in cenno di rispetto. «Spero che la mia musica possa piacervi, è l'unica cosa che posso fare per sdebitarmi!» osservai, sorridendo, per poi guardare il mietitore.

«Solo a patto che piaccia a te, ragazza.»

Low si alzò per uscire ed io lo seguii rapidamente. «Quel bastardo sapeva che nome darti dal momento in cui sei entrata nella capanna.» mi disse, appena ci fummo allontanati un po'.

«È stato un bastardo simpatico, però!», ridacchiai al suo fianco. «Sembra che ti conosca meglio di quanto tu conosca te stesso.» aggiunsi, sghignazzando. «Avevi ragione, è particolare.»

«Accidenti se lo è.» Scosse il capo. «Andiamo a recuperare il tuo violino, ci resterà male se non suonerai.» Low era così diverso senza i vestiti costosi all'ultima moda, le auto sportive e i lussuosissimi attici peccaminosi. Adesso sembrava solo un ragazzo in jeans e felpa aperta, in vacanza tra i Sioux.

«Sembri diverso. Questo posto fa bene anche a te.» osservai, sorridendo e scuotendo il capo, mentre entravo nella casetta, dirigendomi nella mia stanza per recuperare il violino.
Lui rimase sulla porta ad osservarmi. Sentivo i suoi occhi grigi sulla schiena.

Ripresi lo strumento, aprendo poi la custodia sul tavolo e lanciando un'occhiata verso di lui. «Che c'è? Perché mi guardi?» domandai allegra, inclinando il capo di lato.

«Mi piace osservarti.» Forse era la mia esuberanza, sembrava essere attratto da tutto ciò che fosse pieno di vita.

Mi misi a ridere, scuotendo il capo. «Detta così sembra che stai guardando un raro animale in uno zoo.» risposi sarcastica, iniziando a camminare nella stanza, pizzicando le corde del violino per accordarlo, riprendendo un po' della mia solita energia. Non dovevo pensare a Luke, né a Joan, Mark e Matt, né al fatto che ero mezzo angelo, né che sarei andata all'Inferno. Nulla di tutto ciò.

«Grazie di avermi riportato il violino. È molto importante per me.» Lo ringraziai sincera, senza guardarlo.

«Lo avevo immaginato.»

Mi scrutava mentre accordavo, appoggiato allo stipite della porta della mia camera. Valutai che, tutto sommato, gli piacesse ascoltarmi suonare.

Provai qualche pezzo per sentire l'accordatura, tenendo lo sguardo su di lui, come a verificare che stessi suonando bene.

«Quindi per settecento anni hai imparato anche a far musica, per quello sei così esperto.»

«Ho imparato molte cose. La vita eterna, a lungo andare, tende ad annoiare.» Non mi stava osservando come critico stavolta, voleva solo ascoltare.

Suonavo un pezzo tranquillo, né lento né veloce, e completamente libero, senza un motivo particolare, improvvisavo lasciandomi guidare dalla pace che quel posto sapeva trasmettere.

«Non credo che mi piacerebbe vivere per sempre. Si perde il valore delle cose.»

In risposta, sbuffò una risata. «Ma tu vivrai per sempre.»

«Non c'è nessuna certezza, il nipote del capotribù potrebbe uccidermi questa sera stessa, per quanto ne so. Potrei andare all'Inferno e poi morirci.» Il sorriso iniziò a morirmi sulle labbra e cambiando il modo di suonare, che andava divenendo più cupo e freddo.

«Non credo succederà. Quel ragazzino non riuscirebbe mai a farmi fuori per potersi anche solo avvicinare a te. Sei al sicuro con me, te l'ho detto.» Lasciò la stanza per andare a sedersi sulla poltrona.

Continuai a suonare osservandolo. «Ci sono altre cose che possono succedere. Non si può prevedere nulla.» gli feci notare, alzando le spalle. «Se dovessi morire arriverei in Paradiso e mi ucciderebbero, perché lì non posso esistere.» spiegai con un sospiro. «Cadere all'Inferno... ci sarebbe Luke e solo per lui mi andrebbe bene.» Accennai un sorriso, speranzosa.

«Non ti ucciderà nessuno. L'essere più pericoloso che esista sono io, non hai niente da temere.» Incrociò le mani sulla pancia guardandomi. «Il capotribù ha ragione, pensa al posto dove sei adesso e rilassati. Non importa cosa sarà domani, vivi pensando a cosa è adesso e non sprecare neanche un attimo.»

«Non mi ucciderà nessuno, a parte te.» puntualizzai, fissandolo e continuando a suonare tranquilla. «So quello che fai. Mi è stato detto. Quando sarò corrotta mi ucciderai, mandandomi all'Inferno.» spiegai, accennando un sorriso. «Va bene così.» mi affrettai ad aggiungere.

Lui non rispose subito, limitandosi a fissarmi per un attimo, come a valutare ciò che avessi appena detto. «Hai paura?»

«L'avrei avuta se le cose fossero state diverse, ma ora è necessario che muoia. Devo trovare Luke.» Mi imposi, senza guardarlo. «Spero non faccia male!»

«Credo faccia molto male.» mi rispose lui, anche se cercava solo di essere onesto. «Ma dura poco, da quel momento sarai immortale.»

«Non è quello che mi interessa.» risposi seria, per poi smettere di suonare. «C'è qualche altra cosa che mi devi dire su di te?»

«Altra cosa?» chiese, sollevando un sopracciglio.

«Qualcosa che non mi hai detto, o su cui mi hai mentito. Voglio fidarmi di te.» spiegai, poggiando il violino sul tavolo e incrociando le braccia.

«Ci sono molte cose che non sai di me. E ci sono molte cose che non ti dirò, ma quando potrò sarò onesto nel risponderti.» Mi tenne gli occhi addosso.

«Ti ringrazio.» Sorrisi chinando il capo. «Credo che mi darò una sistemata e poi possiamo andare.»

«Certo.» Rimase dov'era, a osservarmi sparire in camera.

Faceva ancora abbastanza caldo, quindi optai per un paio di pantaloni e una maglietta. Mi legai i capelli e poi uscii di nuovo, cercando Low con lo sguardo. «Sono pronta.»

Era sovrappensiero, ma appena entrai nel piccolo salotto riportò l'attenzione su di me, squadrandomi come suo solito per poi alzarsi. «Allora possiamo andare.»

Quando tornammo allo spiazzo in cui si sarebbe tenuta la festa era ormai buio e il grande fuoco era stato acceso. C'era rumore di tamburi e chiacchiericcio, si sentiva odore di cibo arrosto, spezie e bevande.

Low si sedette su uno dei tronchi a terra, aspettando che prendessi posto accanto a lui.

Mi misi seduta, lanciandogli un'occhiata, tenendo il violino in braccio. Guardai il fuoco, gli uomini che suonavano i tamburi e la carne che veniva arrostita, con gli occhi di una bambina che vedeva tutto per la prima volta, tanto da dimenticare all'istante tutto il resto.

Gli altri indiani non ci prestavano molta attenzione, solo la ragazza che ci aveva accompagnato quella mattina ci era venuta a salutare, portandoci da bere una tisana aromatizzata con alcune erbe.

L'atmosfera, tuttavia, era molto allegra e leggera. Ad un certo punto, però, i tamburi divennero incalzanti per poi fermarsi, nello stesso momento in cui il grande fuoco scoppiò in una fiammata che fece coprire a tutti gli occhi. Fu allora che apparve il capotribù.

Mi feci più attenta, finendo di bere la mia tisana. Ero elettrizzata da tutto, dal fuoco e dal quell'atmosfera magica. Mai in vita mia avevo visto una cosa simile.

Il vecchio sciamano iniziò a parlare in quella che doveva essere la loro lingua, non capivo niente, ma la sua voce era molto suggestiva.

Low mi lanciava occhiate di tanto in tanto. Aveva un'espressione neutra, indecifrabile, eppure riuscivo a notare uno strano luccichio nei suoi occhi, mentre mi guardava, che interpretai come divertimento.

«Ha ringraziato i presenti.» mi sussurrò lui, accostandosi un po' a me. «Sia quelli vivi, sia quelli che non ci sono più. Ha ringraziato anche la foresta e gli spiriti che la proteggono. Ora li sta invocando.»

L'anziano si era voltato verso il fuoco, con cui sembrava avere una discussione molto concitata, che faceva salire l'attenzione e l'adrenalina del pubblico. Sentimenti ed emozioni che sentivo a mia volta anche se non capivo una sola parola di ciò che dicesse.

«Lo hanno fatto anche per te?» sussurrai a mia volta, lanciandogli un'occhiata.

«Sì, un paio di secoli fa. Il rituale era un po' più pittoresco ma fondamentalmente è rimasto pressoché lo stesso.» mormorò al mio orecchio, solleticandomi con il calore del suo fiato.

«Secoli fa?» domandai spaesata. «Credevo che il capo villaggio fosse umano.»

Lui vide la mia confusione, sfoggiando in risposta il solito ghigno provocatorio. «Infatti lo è. Ricevetti il battesimo indiano alla fine dell'epoca dei cacciatori d'oro del vecchio west, quando aiutai svariati clan a rifugiarsi nelle riserve, dopo aver messo punto al loro sterminio da parte dei visi pallidi. Quando il capo villaggio mi trovò riconobbe i tatuaggi che mi legavano alla tribù dei Sioux. Per questo mi diedero una mano.»

Annuii alla sua spiegazione, senza riuscire a non pensare a quanto il mietitore avesse visto del mondo rispetto a me. Aveva preso parte a tutti i più grandi eventi della storia, passando sempre in sordina ma portando cambiamenti di una tale rilevanza da aver cambiato il mondo, svariate volte ed ora era lì con me, come un qualunque ragazzo normale, a bere tisane indiane e sussurrarmi all'orecchio la traduzione del rituale di Enapay.

Tornai a guardare ciò che stava accadendo, mentre riflettevo su queste evidenze. Ero incuriosita, ma al contempo non volevo perdermi un istante di quella cerimonia.

Degli uomini a torso nudo iniziarono a saltellare uno dietro l'altro, intorno al fuoco, in una specie di danza, mentre i tamburi tornavano a scandire il ritmo. Lo sciamano continuava a cantilenare rivolto alle fiamme, quando apparve una figura, sempre a petto nudo, ma con il volto coperto da una gigantesca e alquanto grottesca maschera. Saltellava intorno agli altri, in una danza tutta sua, che al tempo stesso stonava e si armonizzava con quella degli altri.

«Quello lì è un Heyoka.» mi spiegò il mietitore. «Rappresenta la parte opposta dello sciamano e degli spiriti protettori. È la parte che porta l'equilibrio usando lo squilibrio delle forze presenti nella vita. Mette alla prova la fede dei danzatori, cerca di distrarli. In questo modo testa la loro forza spirituale. Un po' come quando si guarda una donna e si resta storditi, ha lo stesso effetto.» Mi osservò per qualche attimo prima di tornare a guardare lo spettacolo.

L'atmosfera era sempre più ricca di energia e di forza spirituale.

Ero sempre più rapita da ciò che stavo guardando, tra la danza del fuoco e quella dei ragazzi seminudi, assieme a quella incongruente dell'unico che si muoveva scostandosi dagli altri.

«Ogni cosa ha il suo equilibrio.» constatai.

La danza salì di intensità, comunicando a tutti quanto concitato fosse il momento, fino a che i tamburi non si fermarono di nuovo. I ballerini fecero lo stesso, piegandosi a terra, inginocchiati, come fossero stati privati all'improvviso di energia e vitalità. Il fuoco scoppiò ancora, quasi rispondesse alla volontà dello sciamano.

Si sollevò un grosso fumo dalle fiamme.

«Gli spiriti stanno per annunciare il tuo nome.» mi bisbigliò Low.

La nebbia bianca iniziò a prendere forma, mostrando una colomba che volteggiava, quasi danzasse appena sopra le fiamme.

Lo sciamano si voltò verso di me indicandomi con entrambe le mani, poi sollevò le braccia e disse qualcosa nella loro lingua, a me incomprensibile.

«Tackchawee Wachiwi.» ripeté il mietitore. «La colomba che danza.» Mi fissò gli occhi sul volto accennando un sorriso, mentre gli indiani urlavano e festeggiavano il mio nome.

«Tackchawee Wachiwi.» ripetei con un sorriso, voltandomi a guardarlo, chiaramente emozionata e completamente persa in quel rituale incredibile, per poi riportare l'attenzione sul capo villaggio. «Bellissimo.» esclamai, riferendomi al nome quanto a tutto il resto.

Quel momento sancì l'inizio ufficiale della festa. I pellerossa si alzarono, come guidati dall'euforia. Presero a ballare, a mangiare e a bere. Erano l'allegria e il divertimento a farla da padrona.

Molti mi si avvicinarono per congratularsi. Ero una di loro, non più una straniera, non avevano più niente da temere.

«Magari questo è il momento giusto per suonare qualcosa.» mi suggerì Low, sfoggiando il suo sorriso sarcastico.

«Hai ragione.» Mi alzai, lanciando un'occhiata al vecchio, come per avere anche il suo benestare.

Lui si avvicinò a noi. «Spero che tu stia andando a suonare quel tuo strumento, ragazza.» mi disse Enapay, assolutamente soddisfatto della riuscita della cerimonia. Era un vero uomo di spettacolo, capace di tenere davvero bene la scena.

«Certo!» Gli sorrisi grata. «Spero che apprezziate la mia musica quanto io stia apprezzando la festa e il mio nuovo nome.» Ringraziai, chinando il capo rispettosa.

Avanzai di qualche passo verso il fuoco, lievemente in imbarazzo, consapevole delle occhiate che i pellerossa mi stavano lanciando.

Presi un respiro, prima di poggiare il violino al mento e l'archetto sulle corde, chiudendo poi gli occhi ed estraniandomi da quello che mi circondava, per cercare la concentrazione iniziale.

Iniziai a suonare tranquilla, più o meno ciò che avevo iniziato in casa di fronte a Low, né lento né veloce, ma cercando di ricordare ciò che avevo sentito visitando il villaggio. Cominciai a muovermi accanto al fuoco, in una sorta di danza, sentendo il calore delle fiamme accanto a me.

Danzavo, a ritmo della mia stessa musica, sorridendo appena, aumentando man mano la velocità e il ritmo, che si fece più incalzante, assieme ai miei stessi movimenti. Mi sentivo leggera, felice e, per la prima volta da giorni, serena e in pace.

Cercai di tenere lontani i pensieri riguardanti le ultime notti: la perdita di Luke, gli angeli e i demoni e solo una nota sfuggì dal mio controllo, prima che tornassi ad allontanare nuovamente quei ricordi, concentrandomi solo su chi mi stava ascoltando e sul fuoco che danzava insieme a me. Solo in quel momento aprii gli occhi, osservandomi attorno.

Stavo trasmettendo le mie emozioni, come sempre, ma gli indiani non sembravano sconvolti, anzi, sembravano elettrizzati ed entusiasti.

Gli altri musicisti cercarono di seguirmi, lasciandosi guidare dal mio dono angelico, mentre i pellerossa volteggiavano intorno a me e al fuoco, fondendosi alla mia musica e al suo ritmo incalzante, lasciandosi guidare dalla mia energia e guidandomi a loro volta con la loro.

Low era rimasto seduto al suo posto e non aveva smesso di tenermi gli occhi incollati addosso, neanche per un attimo.

Il capotribù si era seduto accanto a lui e gli stava parlando, ma non avevo idea se lui lo stesse o meno ascoltando. La musica e i ballerini assorbivano tutta la mia attenzione. Stavo suonando dei boschi in cui ero e della natura che mi circondava, stavo suonando delle persone che mi danzavano intorno e degli stessi spiriti che sembravano festeggiare con noi la mia rinascita in quella comunità.

Era incredibile e mai mi ero sentita così connessa a quello che mi circondava. Era una sensazione nuova che diventava sempre più forte e completamente stordente, probabilmente come l'effetto stesso di una droga potentissima.

L'unica cosa che alle volte mi faceva tornare in me era l'incontrare quegli occhi grigi che mi fissavano.

Non so quanto tempo continuai a suonare, a ritmo dei tamburi e delle persone che danzavano con me, in un gioco fatto di movimenti eleganti e affascinanti.

Ero sudata, accaldata e stremata, ma felice e perfettamente connessa a tutto ciò che mi circondava.

Gli indiani mi incitavano a ballare con loro intorno al fuoco, ma iniziavo ad aver voglia di bere qualcosa per calmare un po' la sete.

Tornai verso Low ed Enapay, poggiando il violino sul tronco dell'albero, con un sorriso allegro sul volto. «Avrei bisogno di bere!» osservai, guardando poi il vecchio. «Spero vi sia piaciuto!»

«Davvero molto evocativo. A quanto pare gli spiriti hanno scelto il nome giusto per te.» Mi sorrise serafico.

«Cosa vuoi bere?» mi chiese invece Low.

«Quella cosa fortissima. Mi piacerebbe assaggiarla!» esclamai, ancora con il fiatone. Tanto, anche se mi avesse stesa, non avevo dubbi che lui mi avrebbe protetta, evitando di farmi fare cose stupide e che qualcuno potesse farmi del male, me compresa.

Sollevò un sopracciglio, cercando di valutare se lo avessi retto, ma alla fine fece spallucce, si alzò dal tronco e me lo andò a prendere. Dopotutto dovevo cedere al peccato, non diventare capo scout.

Tornò con un boccale di quella roba, acqua di fuoco l'aveva chiamata, una sorta di whisky fatto da loro ma molto speziato e molto forte. A detta del capotribù era in grado di stendere i visi pallidi in pochi sorsi.

Mi sedetti e iniziai a sorseggiarlo, lanciando un'occhiata agli indiani che festeggiavano. Tossicchiai, facendo una smorfia per il forte sapore dell'alcol e delle spezie, anche se, tutto sommato, era decisamente buono. Gustai con lentezza qualche sorso, sentendone l'altissimo grado alcolico. «È davvero forte!»

«Sì, ragazza, lo è.», rise il capo indiano. «Vi lascio godere la festa, io vado ad infastidire i vecchi lupi come me.» Si tirò su per raggiungere sua moglie.

Low mi passò un piatto con uno squisito arrosto, mentre al centro dello spiazzo gli indiani continuavano a ballare intorno al fuoco.

Mangiai e bevvi, tornando poi a danzare appena finii entrambe le cose. Sembravo una molla, tanto che non riuscivo a stare ferma, come se quella roba che avevo bevuto mi avesse dato ancora più energie.

Quando tornai verso Low ero ancora più euforica di prima e ormai l'acqua di fuoco mi era completamente entrata in circolo.

«Ti senti bene?» mi chiese lui con un mezzo sorriso. Mi aveva osservata per tutto il tempo. «Sembri stremata.»

In effetti ero un bel po' accaldata. «Lo sono!» ammisi, accoccolandomi accanto a lui senza neppure pensarci e poggiando la testa sulla sua spalla con un sospiro. «Ma sto bene! Mi gira un po' tutto.» spiegai, ridacchiando.

«Quindi immagino che per stasera basta acqua di fuoco.» Mi lasciò fare, ma senza toccarmi più del dovuto. «Ce la fai a tornare a casa?» domandò quindi, per valutare le mie condizioni.

«Ma che basta! Sono ancora sobria, solo allegra e potrei ballare ancora tutta la notte.» dissi, lanciandogli un'occhiata. «Direi che ne potrei bere ancora un po'!»

«Sei sicura?» Per essere il Dio del peccato era piuttosto noioso.

«Oh certo. Che vuoi che mi succeda? Un coma etilico?» domandai sarcastica. «Tu neppure lo hai bevuto!» osservai, squadrandolo.

«A me non fa molto effetto.» Mi passò la sua tazza. «Ma se vuoi compagnia vado a prenderne un'altra.»

«Sì! Si beve meglio in compagnia!» risposi, prendendola tra le mani e osservandolo, mentre andava a prendere di nuovo da bere, iniziando a sorseggiare.

Tornò con il suo boccale. «A cosa brindiamo?»

Feci un'espressione pensierosa alla sua domanda, sembrandomi buffa, forse per via dell'alcol. «Beh, vediamo, all'imprevedibilità!» dissi alzando la tazza verso la sua.

Le fece tintinnare tra loro e bevve. Mi chiedevo come mai non avvertissero gli effetti dell'alcol. Era triste non potersi sbronzare.

«Per caso è una cosa che hanno gli immortali quella di non poter sentire effetti di alcol o delle droghe?» domandai, bevendo e poggiandomi di nuovo a lui.

«Sì, l'immortalità porta un sacco di rogne.» Mi osservò di nuovo, sembrava quasi non riuscirne a fare a meno. «Avvertiamo gli effetti, solo che abbiamo bisogno di quantità più massicce di quelle di un mortale. Per sentirmi come ti senti tu dopo un boccale io dovrei bere tutta la botte.»

«L'immortalità e proprio noiosa!» osservai, scrutandolo e bevendo di nuovo. Mi sentivo sempre più avvolta in quella nebbia alcolica, con la testa che mi girava e i riflessi sempre più rallentati, eppure non smisi di bere.

Dopo un po' faticavo anche a seguire i discorsi e le parole, come se poco ci mancasse che mi addormentassi.

«Credo si sia fatta ora di andare a letto.» sentenziò infine, togliendomi il boccale dalle mani.

«Non è vero. Sto in piedi, te lo assicuro!» borbottai, guardando il bicchiere che si allontanava.

Lo posò sul tronco, per poi passarmi un braccio dietro la schiena ed uno sotto le ginocchia, prendendomi in braccio senza cerimonie, con la chiara intenzione di trasportarmi fino alla casa.

Non mi ribellai, anzi gli circondai il collo con le braccia poggiando la testa sulla sua spalla e stringendomi appena a lui.

Aveva un profumo particolare, ma straordinariamente piacevole e affascinante.

I rumori della festa si fecero sempre più lontani, mentre la natura tornava a circondarci con la sua musica. Quando giungemmo alla casa posò il mio violino sul tavolo e mi portò nella mia camera, senza neanche accendere la luce. Ero praticamente senza peso per lui. Era caldo e aveva un buon odore, così in contrasto con l'aria fresca della notte.

Mi strinsi a lui ancora di più, con la testa leggera, faticando a rendermi conto di cosa stesse succedendo.

Appena mi poggiò sul letto strinsi la presa sulle sue spalle, non volendolo lasciare andare. Con i sensi appannati e confusi, gli sfiorai il collo con le labbra.

Si irrigidì leggermente, ma non mi lasciò andare, né tentò di spostarsi da me.

Passai le dita tra i suoi capelli, ricordandomi quelli di Luke e a quel pensiero persi ogni concezione di chi fosse realmente l'uomo con cui ero, e di certo il buio non aiutava. Strinsi appena le dita scivolando sulla sua schiena con l'altra mano e alzando il volto verso il suo. Sentivo la voglia e il desiderio travolgermi come non avevo mai provato.

Lui se ne stava lì, fermo, probabilmente chiedendosi se fosse il caso o meno di assecondarmi. Teneva una delle sue braccia dietro la mia schiena a sorreggermi e l'altra sul letto per sorreggere se stesso.

Ma io non capivo più nulla, l'immagine di Luke si era scambiata con quella di Low e vedevo e percepivo solo chi in quel momento volessi davvero. Avevo già il respiro accelerato e le mie mani su di lui, senza riuscire a capire perché ci stesse mettendo così tanto a baciarmi e farmi sua, come doveva essere. Iniziai a fremere tra le sue braccia, mentre alzavo il capo verso il suo, cercando chiaramente di risvegliare il suo desiderio sopito, con un bacio.

Non si sottrasse al mio tentativo, lasciando che le nostre labbra si sfiorassero, che giocassero tra di loro a sfuggirsi e catturarsi per brevi momenti.

Era un gioco e più continuava, più io lo cercavo, come se non ne potessi fare a meno.

Scivolai con la mano lungo la sua schiena, senza smettere di cercarlo, provando a rendere sempre più passionale quel bacio.

Il suo fisico era assolutamente perfetto. Vederlo e toccarlo non faceva altro che alimentare le fiamme del desiderio dentro di me.

Salì con la mano fino al mio collo, aumentando l'intensità di quel bacio, mentre con l'altra mi attirava a sé, chiaramente deciso a non tentennare ancora e ad assecondarmi.

Fremetti ancora di più a quel contatto, stringendomi a lui come a voler sempre di più, come se non fossi ancora soddisfatta e non ne avessi abbastanza. Le mie dita scivolarono lungo i suoi fianchi per poi infilarsi sotto la maglietta. Volevo toccarlo, volevo amarlo ed essere sua, come era sempre stato, come doveva essere.

Anche lui mi voleva, ma c'era indecisione, troppa. Era rallentato nei movimenti, come se ci stesse riflettendo. Mi accarezzò la schiena, scendendo fino al sedere, che afferrò per spingermi contro di sé.

Portai le gambe attorno a lui, avvinghiandomi al suo corpo. Le mie mani agivano da sole, come sempre, cercando di iniziare a svestirlo rapidamente.

«Hope, sei ubriaca.», gli sentii dire in uno dei momenti di lucidità che faceva sempre più fatica a mantenere. «Non ti rendi conto di quello che stai facendo.»

«Luke...» mormorai, risalendo di nuovo con le mani sulle sue spalle.

Afferrò le mie mani, bloccandosi qualche attimo. Poi si chinò a baciarmi, continuando a tenerle ferme. Tolse gentilmente le mie gambe dalla sua vita e mi fece voltare di lato, per poi stendersi dietro di me e abbracciarmi. «Dormi, Hope. È tardi. Ne riparliamo domani.» Mi accarezzò la fronte, spostandomi delicatamente i capelli.

Non ero proprio felice, ma lui era accanto a me e tanto mi bastava. Sorrisi, convinta che l'uomo che avevo accanto fosse Luke, e non Low.

«Ti amo Luke.» sussurrai, quasi con dolcezza, godendomi quell'abbraccio come se fosse la cosa più bella che avessi.

Mi sentivo bene, mi sentivo protetta e non volevo essere da nessun'altra parte.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro