Capitolo 25: Tentazione

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River flows in you - Lindsey Stirling


Mi ero addormentata serena, ma al risveglio mi ritrovai completamente sola, ancora vestita dalla sera precedente, con una sola coperta addosso.

Mi alzai con un mal di testa e un senso di vertigine assurdi, che mi obbligarono a lasciarmi ricadere sul letto con un lamento.

Avevo bevuto, ma ricordavo a sprazzi quello che era successo, eppure mi ero svegliata con la convinzione che Luke fosse accanto a me. Era sembrato così vero e vivido la sera prima, che per un attimo mi convinsi che lo avrei trovato lì, al mio fianco. Ma lui non c'era, non poteva esserci, il mio era stato solo un sogno dettato dal forte desiderio di rivederlo e stringerlo tra le mie braccia.

Ero sola nella mia camera della casetta indiana. Non era cambiato niente. Luke non c'era e come mia unica compagnia avevo solo il mal di testa.

Ricordavo vagamente che per la sbornia dovevo bere acqua e magari mangiare. Andai in bagno, cercando anche di ricordare cosa fosse successo e riempiendomi un bicchiere dal quale bevvi.

Il fatto che mi fossi svegliata senza Luke mi aveva messo di cattivo umore, come se mi fossi destata da un sogno, rendendomi poi conto della realtà che lui non ci c'era.

Mi ero persa a divertirmi, a suonare e godermi quella serata, ma ancora non ero caduta e le mie ali erano candide come prima.

Mi diedi una pulita veloce e poi uscii, affamata e ancora dolorante per i postumi, cercando di capire dove fosse finito Low.

Ricordavo solo che gli stavo parlando e che mi stava per riaccompagnare nella nostra abitazione provvisoria. Probabilmente era stato proprio lui a mettermi addosso la coperta.

Arrivai al centro del villaggio, dove la sera prima si era tenuta la festa. Avevano già ripulito tutto ed erano in piena attività. Non sapevo bene a chi chiedere cibo, ma per mia fortuna mi imbattei nella nipote del capotribù, se di fortuna si possa parlare, visto che lei abitava lì.

«Buongiorno.» La salutai con un largo sorriso. «Posso chiedere a te per sapere dove mangiare qualcosa e... come rendermi utile per ricambiare la vostra ospitalità?» domandai inclinando il capo di lato.

«Buongiorno a te.» era esuberante e piena di vita, quella ragazza. «Ora sei una di noi e noi siamo una comunità, condividiamo tutto. Puoi chiedere a chiunque e ti verrà dato cibo e lavoro, entrambi non mancano mai.» Rise. «Dai vieni con me.» Mi indicò casa sua. «Per stamattina puoi fare colazione da me, poi ti accompagnerò a fare il giro, così avrai qualche provvista in casa per te e tuo marito.»

«Certo... mio marito. Sia mai che crepi dalla fame!» mormorai sarcastica, alzando gli occhi al cielo. «Piuttosto, lo hai visto? Stamattina non c'era.»

Ci pensò su. «Sì, credo di averlo visto stamattina presto. Andava in quella direzione, deve essere uscito dal villaggio. Però se vai a cercarlo non allontanarti troppo, non è saggio uscire da sola dai confini della riserva.» mi ammonì Kaya, conducendomi in casa e mettendomi davanti latte, frutta e alcune focaccine.

«Lo aspetterò, non ti preoccupare.» dissi iniziando a mangiare. «Grazie per l'aiuto piuttosto. Voglio rendermi utile per ringraziarvi per tutta la vostra gentilezza.»

Non avevo intenzione di andare a vedere dove fosse Low, considerando non avessi idea di come fosse quel posto.

«Allora finisci di mangiare, poi troveremo di sicuro qualcosa di adatto a te. Cosa sai fare?» mi chiese, più per curiosità che per capire che lavoro assegnarmi.

«Beh, complicato.» dissi pensierosa. «Dipende cosa serve a voi. Ho sempre studiato musica e per il resto me la cavo. A cucinare non sono un gran che, ma so dipingere, lavorare con tutto ciò che è creativo.» riflettei.

«La creatività per gli indiani è una caratteristica essenziale. Ti troverai bene qui, Tackchawee Wachiwi.» Mi sorrise, già con la mente proiettata a tutto ciò che voleva farmi provare.

Infatti, mi parlò di intrecciare cestini, lavorare argilla e terracotta, dipingere vasi, lavorare il cuoio e la pelle, intarsiare il legno, insomma c'era tantissimo da fare in quel posto. Ovviamente, avevano la tecnologia come in qualunque parte del mondo, ma alcune cose preferivano ancora farle a mano, un po' per restare in contatto con le proprie radici e un po' perché i turisti apprezzavano non poco la manifattura indiana. Quello che producevano si vendeva bene ai visi pallidi.

E la cosa mi interessava decisamente parecchio. Era anche un ottimo modo per non pensare a quello che sarebbe successo in futuro. L'idea che sarei andata all'Inferno non era così tanto piacevole, dopotutto.

Mangiai e poi mi feci accompagnare da lei al villaggio, entusiasta di imparare tutto ciò che potevo.

Le donne mi accolsero come fossi una loro pari, facendomi passare tutta la giornata con loro a provare i più svariati lavori e a dar sfogo alla creatività. Provarono anche ad insegnarmi qualche canto indiano. 

Pranzai insieme a loro, anche perché di Low non c'era nessuna traccia, ma tutto sommato fu una bella giornata. A sera avevo imparato le basi di alcuni dei loro lavori, mi avevano dato del cibo da portare a casa per la cena e mi avevano dato appuntamento al giorno dopo.

Sistemai tutto a casa, felice di poter godere di quell'angolo di paradiso, e attesi il ritorno di Low per cenare.

Avevo messo da parte anche il cibo per la colazione, così da preparargli qualcosa anche la mattina del giorno dopo.

Mi sembrava strano, però, che non si fosse fatto vedere per tutta la giornata, e un po' la cosa mi lasciava perplessa.

Tornò che era buio, con la solita espressione imperscrutabile, dando un'occhiata alla tavola che avevo preparato con la cena, senza dire niente.

«Ti stavo aspettando.» dissi, sorridendo appena. «Hai fame?»

«Un po'.» Si sedette senza dire altro, senza chiedere dove fossi stata, né darmi spiegazioni su dove fosse stato lui. Mantenne solo quell'espressione asettica.

«Cosa hai fatto oggi pomeriggio? Non ti ho visto per tutta la giornata.» osservai, inarcando un sopracciglio, sempre gentile.

«Sono stato nella foresta.» rispose sbrigativo, versandosi da bere.

«Capisco.» dissi solo, continuando a guardarlo. Lui era sempre freddo e glaciale ma mi sembra più cupo del solito. «C'è qualche problema?»

«Nessuno.» Si sforzò di risultare tranquillo. «Passata la sbronza?»

«Sì! Ieri sera ho esagerato. Ho ricordi molto vaghi!» ammisi, bevendo. «Mi hai portato tu in casa?»

«Sì. Ti sei addormentata per strada e ti ho messa a letto.» Raccontò, iniziando a mangiare.

«Grazie. Sei stato molto gentile.» Ridacchiai, seguendo il suo esempio. «Io ho aiutato le donne del villaggio. Mi hanno insegnato un sacco di cose. È stato davvero interessante!» spiegai con enfasi.

Sembrò rilassarsi, forse perché lo avevo ringraziato, vai a capirlo!

«Spero ti abbiano dato qualche idea sul tuo peccato.» Mi sembrò di vedere quasi un sorriso.

«No, non credo. Mi è sempre piaciuto molto fare qualcosa di creativo e poi queste persone sono gentili. Onestamente non saprei che peccato potrei fare stando in questo posto.» riflettei.

«Il peccato dovrebbe essere dentro di te, non nel luogo in cui ti trovi.», mi disse lui. «Anche in un luogo simile potrebbe avvenire un omicidio o uno stupro, anche se, per la cultura indiana, lei ha il diritto di evitarlo difendendosi con un coltello da macello.» Sollevò le spalle.

«Tutti siamo colpevoli, in un modo o nell'altro.» valutai, osservandolo. «Ti è mai capitato qualcuno che non ne avesse di peccati?»

«Sì... una volta, molto tempo fa, ma non era una Nephilim.» rifletté lui, mettendo giù le posate.

«Se non dovessi riuscire a corrompermi che cosa farai? Non c'è un altro modo di andare all'Inferno?» 

Bevvi di nuovo continuando a guardarlo. Ci doveva essere un'altra alternativa, quantomeno lo speravo.

«No. Non c'è modo.», mi disse lui. «Ed essendo una Nephilim non hai speranze neanche di arrivare in Paradiso.» Si alzò da tavola. «Se riuscirai a non farti trovare dagli angeli allora resterai in vita il tempo di una vita mortale, poi cesserai di esistere.»

Era stato brutale e diretto, ma anche terribilmente onesto.

«Già... capisco.» risposi, distogliendo lo sguardo e osservando fuori dalla finestra. «E non posso fare qualcosa cercando di peccare, vero? Non posso farlo apposta.»

«No. Se ti penti di quello che fai, o non sei consapevole, allora è come se non lo avessi fatto. Le tue ali continuerebbero a restare bianche.» Si avvicinò a me. «Non ti preoccupare. C'è ancora tempo.»

«Conto su di te affinché lo possa trovare. Di certo se non me lo farai scoprire tu non ci riuscirebbe nessun'altro.» dissi, mettendo via i piatti e iniziando a ridacchiare sommessamente.

«Che c'è?» mi chiese curioso, avvicinandosi.

«Mi sembra assurdo che stiamo parlando in questo modo perché devo peccare. Tutto qui.» dissi alzando le spalle e sistemando le cose, dandogli la schiena. «Mi hanno dato un po' di roba per mangiare per fare colazione domani. Starai via tutto il giorno?» domandai, voltandomi a guardarlo, sempre sorridendo.

«Vuoi che stia con te?» chiese, avvicinandosi alle mie spalle.

«Mentirei se ti dicessi di no. Mi fa piacere la tua presenza.»

«Cercherò di tenermi libero.» Sostenne il mio sguardo per un po', con più intensità del solito. Alla fine, si voltò per andarsene in camera.

Finii di sistemare tutto e andai a darmi una ripulita dalla giornata e prepararmi per andare a letto.

Low non si fece vedere né sentire per il resto della serata.

Andai a dormire e faticai a prendere sonno. L'allegria e la pace provata durante il giorno scomparì, lasciando posto alla sensazione di tristezza che avevo per l'assenza di Luke.

Avevo tenuto la mente occupata da quel pensiero e mi ero resa conto che la presenza del mietitore mi aiutava, motivo per il quale gli avevo chiesto di restare con me il giorno successivo. Ma Luke mi mancava terribilmente e anche se mi aggrappavo alla speranza che fosse vivo, le parole di Low, così come quelle di Mark, mi suggerivano il dubbio.

Mi addormentai con fatica, salvo poi svegliarmi di soprassalto nel cuore della notte, a seguito di un boato. Fuori stava infuriando un temporale spaventoso. Mi rannicchiai tra le coperte, spaventata, guardando verso la finestra, ancora con la tachicardia per il brusco risveglio.

I temporali erano una delle cose che mi spaventava sul serio, la manifestazione della forza e dell'ira della natura, con un potere distruttivo pressoché infinito e contro il quale l'uomo poteva fare ben poco.

Sentivo i tuoni, il cui rimbombo faceva tintinnare l'acchiappasogni appeso alla finestra, mentre i lampi illuminavano la stanza, rendendola in un certo senso più spettrale. Le fortissime raffiche di vento facevano tremare i vetri e producevano lugubri e sinistri fischi passando sotto di essi.

Ci misi meno di qualche minuto prima di scendere dal letto e bussare alla camera di Low.

La porta era socchiusa e appena mi affacciai lo vidi sveglio. Se ne stava disteso a letto, rigirandosi qualcosa tra le mani, sopra il viso. Quando mi intravide dalla porta semichiusa mi rivolse un'occhiata quanto mai perplessa. Posò il piccolo oggetto sul letto e si alzò per venirmi ad accogliere, aprendo completamente la porta, con un sopracciglio sollevato.

«Scusa... non mi piacciono molto i temporali!» dissi, per poi sussultare ed impallidire lievemente all'ennesimo tuono che scosse l'intera casa.

Sospirò, spostandosi leggermente per lasciarmi passare.

Entrai in camera sua, guadandomi attorno prima di tornare ad osservare lui.
«Posso stare qui?» domandai, sorpresa dalla mia stessa richiesta.
«Sì, puoi stare qui.»

Altro lampo e a seguire un fortissimo tuono. Sembrava che la terra stesse per spaccarsi e inghiottirci da un momento all'altro. Per fortuna lui era proprio li, accanto a me.

Trasalii, questa volta avvicinandomi al letto. Era incredibile la differenza nel sentire una tale forza là al villaggio, in una piccola e fragile casetta di legno in mezzo ai boschi, rispetto ad un solido e stabile appartamento di città. Sembrava davvero la fine del mondo.

Mi sedetti sul letto alzando lo sguardo su di lui. «Sicuro che non ti do fastidio?»

«Accomodati pure.» Tornò verso il letto per sdraiarsi. Di certo lì con lui ero al sicuro, fosse anche arrivata la fine del mondo, lui mi avrebbe protetta.

Notai l'oggettino che aveva tra le mani quando ero arrivata, che adesso giaceva abbandonato sulle lenzuola bianche.

Mi sdraiai accanto a lui, osservandolo per un attimo, per poi portare l'attenzione sull'oggetto che stava guardando in precedenza.

Era una colomba in legno, intagliata a mano. Una colomba che danzava, come quella di fumo che avevamo visto la sera prima durante la cerimonia.

«L'hai fatta tu?» domandai, avvicinandomi a lui, praticamente accoccolandomici contro.

Mi sentivo meglio ad essere a contatto con lui, come se aumentasse quel senso di protezione che percepivo in sua compagnia.

«Sì. Avere le mani occupate mi aiuta a pensare.» Mi passò un braccio sotto la testa e intorno alle spalle per potermi stare più vicino durante i tuoni, stringendomi leggermente per farmi passare l'ansia.

Era terribilmente piacevole e mi rilassai, almeno fino all'ennesimo tuono che mi fece tremare di nuovo, ma meno di prima.

«Distrarsi aiuta!» osservai prendendo in mano la colomba. «Proprio una colomba?» domandai sarcastica. «A che pensavi quando eri la fuori?»

«A un bel po' di cose.» mi disse stringendomi di più. «È tua. L'ho fatta per il tuo battesimo. Puoi tenerla.»

Poggiai la mano sulla sua, tenendo la colomba nell'altra, stringendo le dita attorno ad essa. «È bellissima!» Sorrisi, sospirando molto più tranquilla.

Lui mi faceva un effetto decisamente strano. Avrei dovuto essere in pensiero per Luke, eppure la sua vicinanza sembrava rilassarmi più che mai, inoltre, mi resi conto, la sensazione di averlo vicino era decisamente familiare.

Mi chiesi se avrei potuto portarmi quell'oggetto all' Inferno, ma non mi sembrava il caso di chiedere. «Sarà un bel ricordo di te.» mormorai chiudendo gli occhi.

Non mi rispose, si limitò ad accarezzare le mie dita con le sue, facendomi rilassare e tranquillizzare sempre di più, facendomi sentire protetta. Anche il temporale sembrava più lontano. Lo sentii poggiare le labbra sulla mia fronte e piano piano lasciai che il sonno mi facesse scivolare nel suo abbraccio.

Mi risvegliai la mattina, con i raggi del sole che entravano dalla finestra, come se il temporale non ci fosse mai stato.

Sorrisi, stiracchiandomi appena.

Lui era vicino a me, addormentato, non si era mosso affatto, mi aveva tenuta tra le braccia tutta la notte.

Mi soffermai a guardare le sue fattezze e i suoi lineamenti.

Se non avessi avuto Luke per la testa, sarei finita tra le braccia del mietitore all'istante, anche se, in quel momento, mi trovavo comunque proprio tra quelle braccia.

Il sorriso mi svanii dal volto, sentendomi improvvisamente in colpa.

Mi faceva piacere e mi faceva stare indubbiamente bene, ma in quel momento mi chiesi quanto corrette fossero quelle sensazioni.

Dovevo andare da Luke e salvarlo, dovevo tornare da lui, ma Low mi faceva sempre di più uno strano effetto.

Cercai di scivolare via dal suo abbraccio, rendendomi conto di avere ancora tra le mani la piccola colomba di legno che mi aveva fatto lui.

Sentendomi muovere si svegliò, abituato ad avere il sonno leggerissimo. Non mi stupii. Chissà in quanti avevano provato ad ucciderlo nel corso di quei secoli. 

Mi puntò addosso due occhi grigi ancora appannati, dopotutto non stava percependo pericolo in quel momento.

«Sembra che il temporale sia passato.» osservò, strofinandosi un braccio sugli occhi.

«Già.» Accennai un sorriso. Maledetto lui e quei dannati occhi grigi. «Ti preparo la colazione.» Proposi mentre mi alzavo dal letto piuttosto frettolosamente.

«Vuoi una mano?» Si tirò su, portandosi un braccio dietro la testa per stiracchiarsi. Ci avevo dormito sopra tutta la notte, doveva aver perso tutta la sensibilità.

«Beh, sicuramente se mi dessi una mano saremmo più credibili come marito e moglie.» Ridacchiai, mentre mi voltavo dirigendomi verso la cucina.

Ma che cavolo stavo dicendo?

«Non saprei. La società indiana è matriarcale, qui gli uomini sono considerati degli incapaci in tutto, fuorché alcuni lavori pesanti e l'atto riproduttivo.» Si tolse la maglia per vestirsi, mettendo in mostra, oltre che un fisico pazzesco, dei tatuaggi meravigliosi su petto, spalle e schiena.

«A ... credevo che fosse... il... capo villaggio...» borbottai, voltandomi a guardare il cucinino e iniziando a prendere le cose per preparare il cibo.

Appena avevo visto quel fisico tatuato ero letteralmente andata a fuoco, e la mia voce senza dubbio aveva lasciato intendere che non ero affatto tranquilla.

Mi schiarii la voce per riuscire a terminare la frase che avevo iniziato «...credevo... fosse Enapay il capo del villaggio e non sua moglie.»

«Lui è lo sciamano ed è anche un tipo più sveglio di quanto dia a credere.» disse dalla sua camera, continuando a cambiarsi. «E sebbene prenda le decisioni per l'intero villaggio dubito seriamente che qualche decisione venga presa senza il benestare di sua moglie.» Si avvicinò alle mie spalle. «Lei fa parte del consiglio, è una donna molto saggia e con un carattere d'acciaio. Era chiaro già cinquant'anni fa che fosse adatta a lui, anche se lo fece penare parecchio.»

Sembrò non essersi accorto del mio cambiamento di voce o, se non era così, non lo diede a vedere.

«Che cosa accadde di preciso?» domandai, lanciandogli un'occhiata. Almeno adesso indossava qualcosa. «Il discorso dell'uccello di fuoco e tutto il resto. Capisco che sei tu il corvo nero, ma gli angeli non combattono con il fuoco giusto? Chi era per arrivare a ferirti?» domandai perplessa.

«Hai ragione, gli angeli non combattono con il fuoco. Solo uno lo fa, una capacità che gli ha dato Dio in persona.» Si affiancò a me per aiutarmi. «La maggior parte degli angeli sono solo dei patetici pennuti che giocano a fare i guerrieri, ma uno tra loro è davvero pericoloso. È il braccio armato di Dio, il comandante delle milizie celesti, il principe di tutti gli angeli, l'unico detentore della spada di fuoco.» Spiegò, muovendo agilmente le dita tatuate.

«In principio erano in due, lui e Lucifero. Poi Lucifero si ribellò e venne cacciato dallo stesso Michele. La spada dello sconfitto si annerì, coprendosi di fiamme nere. Anche Kora, essendo sua figlia, è in grado di evocare la spada di fuoco nero. È un dono ereditario. Anche le loro ali diventano di fiamma se il combattimento è particolarmente cruento. Non ho mai visto quelle di Kora, ma immagino che anche lei ne sia capace, come Michele.»

«Anche Luke sa combattere.» replicai, voltandomi a guardarlo. «Quindi ti sei scontrato con Michele?» domandai inarcando un sopracciglio per poi distogliere l'attenzione. «Credo che Mark e Joan lo abbiano chiamato dopo che siamo andati via. Parlavamo proprio di questo.»

«Michele è un puritano, uno di quelli che non mette mai in dubbio la parola di Dio e tende a cancellare col fuoco ciò che ritiene sbagliato.» mi guardò per qualche attimo. «È stato lui ad autorizzare la cancellazione dei Nephilim che varcavano le porte del Paradiso di cui si occupa personalmente. Gli angeli non possono cancellare altri angeli, sono le armi nere e la spada di fuoco possono farlo.» riportò l'attenzione sulla colazione, iniziando a spostare quello che avevamo preparato sulla tavola. «Mi ha dato la caccia per anni e ci siamo scontrati diverse volte. Abbiamo davvero parecchi conti in sospeso. Lui ce l'ha con me per i Nephilim e per Luke, e io bhè, ho i miei motivi. Quella volta ho davvero rischiato che mi cancellasse.»

«Poi i Sioux ti hanno salvato.» conclusi, sedendomi a tavola. «Come facciamo a scappare da Michele? Se usciamo da qui ci troverà?» domandai preoccupata.

Era assurdo che non temessi la morte per scendere all'Inferno, ma fossi terrorizzata dal pericolo di essere cancellata.

«Ci troverà anche qui, per questo dobbiamo spostarci.» Iniziò a mangiare. «Ma non temere, sono più forte di allora, lo affronterò. Per ora concentriamoci sulle tue ali.»

«Cosa possiamo fare per farmi peccare? Io non ho proprio idea.» Scossi la testa, iniziando a mangiare. «Ma hai ragione. Prima riesco a fare annerire queste ali, prima andrò all'Inferno. Vorrei evitare di trovare Michele e devo tornare da Luke!» Distolsi lo sguardo da lui, bevendo del latte.

Continuavo a ripeterlo. Ero lì per lui e Low era solo una conseguenza della situazione. Tale doveva rimanere.

«Pensa ad una cosa che consideri sbagliata, ma che vorresti tanto fare. Di solito è un buon punto di partenza.»

Lo guardai per un attimo e la prima cosa che mi venne in mente fu proprio lui. Avrebbe fatto sciogliere qualsiasi donna e l'effetto che mi faceva era abbastanza chiaro. Luke era tutto ciò che mi fermava dal saltargli addosso. Arrossì lievemente e tornai a bere.

«Ci sono tante cose che sono sbagliate», riflettei, cercando di non pensare a lui. «Si può volere una cosa e sapere che non si può averla, rubare ad esempio.»

«Non dobbiamo elencare tutti i peccati del mondo, dobbiamo trovare il tuo. Una cosa che consideri sbagliata, ma che vorresti tanto fare o avere, indipendentemente dalle conseguenze.» Bevve e osservai la sua gola muoversi. Lui sembrava del tutto ignaro dei miei fugaci e imbarazzati sguardi. «C'è tempo, qualcosa ci verrà in mente», concluse, alzandosi per togliere dalla tavola quello che aveva usato.

Poi si avvicinò alle mie spalle e si abbassò per parlarmi all'orecchio, puntellando le mani sul tavolo, per reggersi. «Magari più tardi potremmo provare con la musica, potrebbe darci qualche indizio su cosa vuoi e non osi chiedere.»

«Sì, possibile.» Annuii, ma senza guardarlo. 

Non poteva essere lui il mio peccato, non volevo tradire Luke. Però non potevo neanche considerare di non farlo. Se andare con lui era il prezzo da pagare lo avrei fatto, ma allora perché ero tanto nervosa all'idea? «Dovevo anche passare dalle donne a dare una mano, volevo chiedere un cordino di cuoio per la colomba che hai intagliato.»

«Allora vai a prepararti. Ti accompagno.» Si allontanò da me. Gli avevo chiesto di restare durante il giorno la sera precedente, e, in realtà, non credo che gli dispiacesse passare del tempo con me, anche se ovviamente, non lo dava a vedere. 

Solo che... non era come me lo aspettavo, dopo la rottura del mio sigillo non si era più avvicinato, non aveva fatto nessun tentativo di approccio ed anche dormendo insieme mi era sembrato piuttosto tranquillo e rilassato, tanto quanto lo ero stata io.

Sembrava tutt'altra persona rispetto a quella che avevo conosciuto e anche per quanto riguardava il cercare il mio peccato sembrava non avere nessuna fretta, come se sentisse la necessità anche lui di passare quei momenti assieme a me.

Al villaggio trovai un cordino con cui poter far diventare il ciondolo una collana. Me la misi subito al collo, sotto gli sguardi perplessi e curiosi delle altre donne e sotto il suo sguardo. Sembrava non voler perdere neanche un dettaglio di me o dei miei movimenti.

«Ti sta bene.» Commentò osservandolo.

«Lo porterò con me. Mi sarà d'aiuto per il viaggio.» valutai, tornando a guardarlo e accennando un sorriso. «Che avevi in mente di fare che riguardasse la musica?»

«Farti suonare liberamente e guidarti, discutendo vari argomenti. Dovrei riuscire a percepire quando tocco l'argomento giusto.» Attraverso la musica sarebbe stato molto difficile negare o nascondere qualcosa, era una sorta di test della verità e, quando si metteva d'impegno, Low era in grado di tirarmi fuori l'anima.

Il problema è che avrebbe potuto far uscire il mio desiderio per lui e onestamente non volevo affatto che se ne rendesse conto. Sospirai, distogliendo lo sguardo e annuendo con un sorriso, cercando di non fargli capire che l'idea mi creava qualche riserba.

Era per Luke. Lo stavo facendo per lui. Ormai me lo ripetevo come se fosse un mantra.

«Torniamo a casa?»

«Va bene. Lungo il tragitto magari prendiamo qualcosa per cena.» Si voltò avviandosi in direzione della casa che gli indiani avevano messo a nostra disposizione, quando sentimmo borbottii e passi in rapido avvicinamento.

«Ehi tu! Demone grigio! Dove pensi di andare?! Come ti è saltato in mente di sfasciarmi mezza foresta? Solo per portare un regalo a tua moglie per farti perdonare dopo che avete litigato!» era il capotribù che si avvicinava a noi a passo di guerra.

Low lo osservò perplesso, con un sopracciglio alzato, per poi rispondergli serafico.

«Non so di cosa tu stia parlando!»

Il capotribù era arrivato ormai dinanzi a noi e lo guardava con un cipiglio piuttosto severo.

«Sto parlando degli alberi che hai colpito e fatto a fette con la tua dannata spada e di quelli che hai lanciato sfasciandone altri!»

Il mietitore non fece una piega e non raccolse la provocazione.

«Se non lo avessi notato stanotte c'è stato un temporale spaventoso.»

Ma lo sciamano non sembrava intenzionato a bersi le scuse di Low.

«Non dare la colpa al temporale! Ti ho visto appoggiato a quell'albero con l'aria da cane bastonato che intagliavi il legno!» Poi si voltò verso di me, cambiando completamente tono e riaccendendo il sorriso «A proposito com'è venuta? L'hai almeno perdonato o la mia foresta è stata distrutta invano?»

Osservai la scena allibita, inarcando perplessa un sopracciglio e ascoltando il loro discorso. Alla sua domanda, poi, lo guardai per un attimo incerta e a bocca aperta, per poi annuire, accennando un sorriso nervoso e imbarazzato, mostrando, infine, la colomba intagliata.

«Sì... tutto a posto. La tua foresta non è stata distrutta invano.» risposi, lanciando un'occhiata perplessa a Low, il quale aveva assottigliato in maniera piuttosto pericolosa lo sguardo, mentre il vecchietto mi sorrideva sornione.

«Oh bhè, mi fa piacere allora, bisogna sempre riappacificarsi prima di andare a letto. È questo il segreto di un rapporto duraturo.» Mi fece l'occhiolino e mi diede di gomito mentre Low girava i tacchi e se ne andava, palesemente per evitare di mandare all'altro mondo l'arzillo nonnetto indiano che gli gridò dietro. «Guarda che a differenza di quello che hai fatto alla mia foresta, io ti sto facendo un favore.» Il cui unico risultato fu solo quello di irritarlo ulteriormente, qualora fosse stato possibile.

Seguii Low, divertita e al contempo palesemente curiosa di quanto successo, giocando appena con il piccolo ciondolo di legno. Lo seguii fino dentro casa, chiudendo la porta alle mie spalle. «Quindi... vuoi che suoni qualcosa?»

«No!» Era di umore nero e tirò dritto in camera sua senza però chiudere completamente la porta, non lo faceva mai, lasciava sempre uno spiraglio per me.

Mi affiancai alla sua stanza, lanciandogli un'occhiata. «Vuoi che ti lasci stare?» Non volevo certo incorrere nella sua ira ma non mi piaceva neppure averlo come una furia in casa.

Espirò rumorosamente, cercando di calmarsi. «No. Solo non penso di riuscire a capire quale sia il tuo peccato questa sera.» si passò le mani tra i capelli. «Ho anche dimenticato la cena, dannazione! Quel maledetto vecchio!» Incrociò le braccia, espirando di nuovo. «Resta qui. Vado a prendere da mangiare.»

Ormai era di nuovo padrone di sé ed era tornato a guardarmi con il solo sguardo glaciale, doveva aver deciso che non valesse la pena cancellare l'intero villaggio solo perché lo avessero preso in giro. Certo che ci voleva un bel coraggio a prendersi gioco del mietitore in quel modo. Ancora più sorprendente che non li avesse davvero uccisi.

«Ti aspetto qui allora!» dissi annuendo, osservandolo con un'espressione divertita.

Mi diede un'occhiata scuotendo poi il capo ed uscendo di nuovo. Non era a suo agio con queste cose, era evidente.

Non riuscì a fare a meno di chiedermi da quanto tempo fosse solo. Gestire le relazioni umane non era il suo forte quando non si trattava di corrompere qualcuno.

Era diffidente e riservato in maniera esagerata, anche se ero certa che il capo villaggio lo conoscesse abbastanza bene da capire fin dove spingersi. Ma la vera domanda era cosa diavolo aveva fatto e perché?

Aveva distrutto la foresta e poi si era messo a intagliare il mio ciondolo? Non capivo il motivo. Era comunque un gesto gentile che non mi sembrava avesse nulla a che fare con il corrompermi.

Quel tipo era un mistero.

Dopo una mezz'oretta circa tornò con la cena e sembrava decisamente più tranquillo e rilassato.

«Stai meglio?» domandai, mentre guardavo che cosa aveva portato.

«Adesso sì.» sorrise, ma qualcosa mi diceva che non dipendesse dal cibo né dalla pace interiore. «Hai fame?»

«Non sarai andato a prendere la vita di Enapay, spero!» osservai, sedendomi al tavolo e incrociando le braccia su di esso.

«È ancora vivo.» ammise, continuando a sfoggiare quel sorriso sarcastico. «Ma dovrebbe imparare a non scherzare con il fuoco e a farsi gli affari suoi.»

«Ti stava solo prendendo in giro. Si vede che tiene a te! Ammetto che però ha suscitato la mia curiosità.» Risposi sarcastica assottigliando lo sguardo.

Sollevò le sopracciglia nella mia direzione passandomi il piatto con carne arrosto e verdure ed io iniziai a mangiare osservandolo attentamente.

«Credevo fossi in giro per assicurarti che non arrivasse nessuno. Non che stessi distruggendo foreste intere. Poi mi hai intagliato questa.» dissi, prendendo la colomba tra le dita. «Stai cercando di corrompermi, ma non vedo il nesso tra le cose. In che modo questo potrebbe essere utile?»

«Se volevo corromperti con un ciondolo avrei preso un diamante, non un pezzetto di legno.» Mangiò senza guardarmi. «Il perché ho distrutto la foresta sono solo affari miei.»

«Un diamante mi sarebbe piaciuto di meno di questo ciondolo.» dissi rigirandolo tra le dita. «Lo hai fatto tu, riguarda me e lo hai fatto pensando a me. Ha molto più valore di una pietra dura, brillante, fredda e tagliente. Questo invece è una parte di te.», gli dissi tornando a guardarlo, per poi alzare gli occhi al cielo. «Non credo che possa annerirmi le ali con il dio denaro. I miei valori sono altri.»

«Buono a sapersi.», mi disse, ingollando un'altra cucchiaiata e tenendo lo sguardo basso sul piatto. «Quindi non serve più prendere un'auto sportiva.»

«No, anche se mi piace la velocità e l'adrenalina.» riflettei. «Era uno dei motivi grazie ai quali andavo d'accordo con Matt. Assurdo che ora stia con un demone.»

«Pregiudizi sui demoni?» mi chiese, sollevando appena lo sguardo su di me.

«Bhè, hanno cercato di uccidermi. Non dovrei averne?» domandai accigliandomi.

«Non posso darti torto. I demoni sono degli idioti.» Mi diede ragione, tornando al suo piatto. «Però anche io potrei ucciderti. Consideri anche me allo stesso modo?»

«Tu non puoi. Tu dovrai uccidermi.» risposi solo, senza guardarlo. «Non so come considerarti. Con te sto bene, nell'assurdo mi sento al sicuro anche se so che mi dovrai fare del male.»

«Dipende da che prospettiva vedi la cosa.» Finì di mangiare e riportò lo sguardo su di me. «Ma hai ragione, con me sei al sicuro.»

«Se Luke non fosse all'Inferno non starei con te, né cercherei di farmi corrompere. È la situazione che lo richiede. Probabilmente avrei paura di te, avrei paura che tu mi uccida.» Spiegai senza guardarlo.

«Luke non è all'Inferno.» mi disse lui continuando a guardarmi.

«Smettila!» gli risposi cambiando tono di voce. «L'ho visto entrare e non l'ho visto uscire. Può essere solo la.» Iniziavo a sentire una morsa al petto.

«Credi ciò che vuoi, la cosa non mi riguarda.» Si alzò da tavola posando i piatti.

«Appunto. Né a me i tuoi motivi per aiutarmi.» risposi alzandomi. «Buonanotte Low!»

Non mi rispose. Se ne restò lì, di spalle, a sistemare, con il capo leggermente abbassato.

Entrai in camera, lasciando socchiusa la porta. Mi sentivo arrabbiata e con un peso al petto. Non accettavo il fatto che Luke fosse morto e il fatto che Low me lo avesse ribadito aveva fatto tornare addosso tutta la paura che fosse davvero scomparso, e quell'idea mi faceva completamente perdere la testa.

Mi buttai sul letto con uno sbuffo, guardando verso la finestra con tristezza.

Lui non venne a disturbarmi, aveva afferrato che volessi starmene da sola. Quel vecchio era un veggente, alla fine avevamo litigato sul serio.

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