Capitolo 4: L'osservatorio

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Elements - Lindsey Stirling


Gli presi la mano con un sorriso, godendomi quel contatto e quel gesto così spontaneo e ora così ricco di nuovo significato. Ero un po' intontita dall'alcol e il vederlo abbassare lo sguardo sulla mia mano e sorridermi mi fece capire che non aveva scherzato.

Iniziò a trascinarmi, letteralmente, visto quanto il vino mi avesse resa scoordinata, dopo aver afferrato giubbini e casco. Mi fece indossare il secondo e salire sulla moto dietro di lui assicurandosi che non cadessi nel farlo e che mi stringessi forte a lui. Voltò la testa verso di me, mentre dava gas, sfiorando appena il mio casco con il suo.

«Tieniti forte!» Mi disse, abbassandosi la visiera paravento.

Mi strinsi a lui sorridendo, non potendo farne assolutamente a meno e iniziando a sentirmi meno imbarazzata rispetto a poco prima. Mi sembrava tutto surreale e assurdo, come se stessi sognando. Non avrei mai pensato che uno come Luke potesse essere interessato a me, non dopo quel ballo e il suo rifiuto. Eppure una vocina lontana tentava invano di farmi notare che qualcosa mi sfuggiva, mi sembrava troppo strano così di punto in bianco. Ma in quel momento poco mi interessava, tutte le lacrime che avevo versato per i miei sentimenti non corrisposti sembravano davvero dimenticate e chiuse in un cassetto lontano dei miei ricordi.

Lanciò la moto come fosse un'estensione del suo corpo, fendendo il vento, con un controllo assoluto e perfetto, nonostante il vino, nonostante la velocità. Percorremmo tutta Los Angeles e poi iniziammo a salire, seguendo una stradina serpeggiante che terminava sopra una collinetta. Attraversammo un parco, diretti a un edificio col tetto a cupola. Non c'era praticamente nessuno, solo pochi turisti visto che iniziava a essere tardi e ci avvicinavamo all'ora di chiusura.

Luke mi fece scendere, per poi farlo a sua volta, posò i caschi e mise la moto sul cavalletto.

«L'osservatorio di Griffith Park. Ci sei mai stata?» Mi chiese, con la solita aria distaccata, iniziando ad avanzare verso l'edificio.

«No, ne ho solo sentito parlare!» dissi, affiancandomi a lui e guardandomi attorno. «L'ho sempre visto dalla città, ma non ho avuto mai tempo di venirci, o qualcuno che mi ci portasse!» aggiunsi, tornando a guardarlo. «Grazie!»

Mi diede un'occhiata laterale prima di aprirmi la porta per lasciarmi entrare.

«Il proprietario è un mio amico, non ci farà problemi se restiamo un po' di più.» S'incamminò a passo spedito, come fosse casa sua.

Mi guardai attorno, sorpresa e curiosa come non mai, sperando che quel luogo potesse aiutarmi a metabolizzare la confessione di Luke. Non ero mai stata lì dentro ed eravamo praticamente soli, tanto da sentire i miei stessi passi riecheggiare attorno a noi in un eco quasi metallico.

«Hai proprio dei buoni amici!» Constatai, voltandomi a guardarlo.

«Tu no?» Mi punzecchiò, sfoggiando un meraviglioso sorriso.

«I migliori!» Gli risposi, mentre passeggiavo al suo fianco, sorridendo a mia volta. «Vieni spesso qui?» Domandai tornando a guardarmi attorno. Volevo evitare a qualunque costo che tra noi calasse il silenzio, non volevo capisse quanto tutto ciò mi stesse turbando.

«Per un periodo sono venuto qui tutte le sere, mi aiutava a riflettere.» Avanzava con le mani in tasca, quasi a voler assecondare quella mia necessità di naturalezza. «Ma non venivo a vedere le stelle, c'è un posto che preferisco alla sala dell'osservatorio.»

«Davvero?» Domandai curiosa. «E stiamo andando lì, presumo!» Valutai, distogliendo lo sguardo.

«Sì, a meno che tu non voglia vedere le stelle.» Mi chiese, sollevando un sopracciglio.

«Voglio vedere anche quelle!» Ridacchiai. «Mi conosci! Non le ho mai viste da un planetario. Se possiamo vederle, mi farebbe ovviamente piacere!»

«Allora iniziamo da quelle.» Sorrise, facendo comparire la fossetta all'angolo della bocca che lo rendeva così affascinante e di cui mi ero innamorata anni addietro.

Sapeva quanto fossi curiosa. Avevo un'attrazione per tutto ciò che era strano o particolare. Ero capace di emozionarmi per niente e restare indifferente a cose che invece ad altri facevano effetto. Non che fossi una scavezza collo, però mi piaceva scoprire, imparare e vedere più cose nuove possibili. Ero assetata di tutto quello che la vita potesse offrire e, se ne avevo l'occasione, non mancavo di approfittarne.

Arrivammo alla sala planetaria. Sembrava un cinema, ovviamente vuota vista l'ora.

Luke mi fece accomodare, prendendo posto accanto a me. «Ci vorrà qualche minuto.»

Mi accomodai, fermandomi a guardarlo, per poi rilassarmi sulla poltrona. Non avevo più le sensazioni dell'alcol in corpo e mi stavo ormai riprendendo del tutto e la sua tranquillità e naturalezza erano davvero confortanti.

«Tu credi che gli altri sarebbero d'accordo sul fatto che siamo usciti da soli assieme?» chiesi, guardandolo.

«Hai paura che non approvino?» Sembrava così sicuro di sé.

«Pensi che approverebbero?» gli girai la domanda, inarcando un sopracciglio per poi poggiare una mano sul suo braccio. «Sul serio?» avevo la stessa gioiosa ingenuità di una bambina dinanzi a un regalo.

«È così importante avere la loro approvazione?» Per come lo aveva detto, sembrava che dal suo punto di vista fosse un dettaglio di nessuna rilevanza.

«Non cambierebbe per me, ma preferirei il loro consenso!» Dissi distogliendo lo sguardo. «Ma... di fatto dovrebbero approvare cosa? Stiamo solo uscendo assieme o questo per te è una sorta di appuntamento?» Ero decisamente confusa e in preda ad ansia e nervosismo. Dopo anni di distaccata amicizia, sembrava che adesso tutto stesse correndo troppo velocemente.

Spensero le luci e lui avvicinò la testa alla mia, mentre le poltrone si reclinavano appena e il soffitto si apriva per mostrarci la volta stellata.

«Siamo tu e io, qui, che importa che nome gli dai.» Incrociò gli occhi ai miei, prima di tornare al suo posto e alzare lo sguardo verso l'alto.

«No, hai ragione! Non ha importanza!» Dissi sorridendo seguendo il suo esempio.

M'indicò alcune stelle e alcune costellazioni, svelandomi il loro nome o raccontandomi la loro storia. Non immaginavo fosse così bravo nei racconti. Se ne stava sempre sulle sue con quell'aria di distacco, e invece aveva un dono quando parlava, un fortissimo potere evocativo che rendeva le sue parole quasi tangibili e reali, quasi come la mia musica faceva con le emozioni.

Ero praticamente incantata ad ascoltarlo. Mentre mi raccontava di ogni pianeta celeste che indicava avrei potuto continuare ad ascoltarlo per ore. Lo conoscevo da una vita, ci avevo passato assieme anni interi, ma lì, in quel momento, mi sembrava di avere accanto un altro Luke, una persona totalmente diversa.

«Non credevo sapessi così tante cose sulle stelle!» Mormorai, guardando ancora il soffitto in un misto di entusiasmo e commozione, con il cuore che mi scoppiava nel petto dall'emozione.

«Ho letto parecchio e visto tante cose.» Disse con un'alzata di spalle, come non fosse una cosa degna di nota. Poi si avvicinò un po' di più a me. «Per come la vedo io, però, non è questo il posto migliore di questa struttura, è troppo artificiale.»

«Allora andiamo a vedere il tuo posto preferito!» Ridacchiai. «Fai strada!»

Si alzò, porgendomi la mano per aiutarmi e, senza lasciarla, mi guidò fuori dalla stanza e per i corridoi.

Ci fermammo alla caffetteria, dove prese una bottiglia di liquore e un paio di bicchieri, lasciando in cambio alcuni dollari. Attraversammo tutto l'osservatorio fino a raggiungere la scala che portava al punto più alto, proprio sotto la cupola con il telescopio. Aprì una delle finestre nel soffitto e la scavalcò, per poi tendermi la mano in modo da aiutarmi a fare altrettanto.

Si parò dietro di me, per evitare che scivolassi, mentre mi faceva avanzare in direzione del punto più alto. Mi teneva per i fianchi, stabilizzandomi e guidandomi con il suo straordinario equilibrio.

Stavamo facendo qualcosa che era vietato, oltre che pericoloso. Luke, e forse Matt, erano gli unici con cui mi ero mai concessa di fare cose fuori dall'ordinario, poiché Mark non avrebbe mai approvato, troppo ligio a mantenere un comportamento adeguato. Comportamento che in quel momento non avrebbe considerato per nulla giusto, oltre che pericoloso. Ma con me c'era Luke, e se lui mi stava portando là sopra io non mi sarei di certo tirata indietro.

«Ecco! La città degli angeli.» Mormorò al mio orecchio, mentre raggiungevamo il centro della cupola.

Davanti a noi la città, con tutte le sue luci così lontane, coperta da un cielo stellato che si estendeva a perdita d'occhio.

«Wow!» mormorai con un brivido, sorridendo, stregata da quel bellissimo panorama. Poggiai le mani sulle sue, ancora sui miei fianchi, mi sembrava davvero di vivere un sogno. «Qui... è bellissimo!» sussurrai con il cuore che sentivo quasi scoppiarmi nel petto.

«Venivo sempre qui a riflettere, ogni volta che sentivo la mia fede vacillare, chiedendomi se Dio potesse sentirmi.» Era molto vicino a me, sentivo il suo corpo sfiorami la schiena e il suo respiro solleticarmi il collo.

Fece scivolare le mani dai miei fianchi per scostarsi un po' e sedersi a terra. Una gamba stesa, l'altra piegata per poggiarvi sopra il braccio che reggeva bottiglia e bicchieri. Lo sguardo rivolto alla città e al punto dove il cielo sembrava avvolgerla in un abbraccio.

Mi sembrò davvero strano sentirgli dire quelle cose, non avevo mai pensato a lui come a un ragazzo religioso.

A differenza dei miei amici io non avevo nessun interesse per la religione. Non c'era Dio, non c'era nessun demonio, semplicemente esisteva l'uomo per ciò che era, senza giusto o sbagliato, bianco o nero. Sentire parlare Luke così mi stupii alquanto. Ero abituata ai sermoni di Mark soprattutto, qualche volta Joan e Matt, ma mai Luke, al punto da convincermi che condividessimo la stessa visione in materia religiosa.

«Io non ho mai creduto che potesse sentirci!» Dissi sedendomi accanto a lui e sollevando istintivamente lo sguardo. «Sai come la penso!» Mi tirai le gambe al petto, circondandole con entrambe le braccia. «Ma qui si sta bene!»

«È da un bel pezzo che anch'io credo che non ci senta o non ci voglia sentire.» 

Mi sembrò di percepire una nota di tristezza nella sua voce, mista a rassegnazione, come se, in fondo, fosse dispiaciuto che le cose stessero così.

Mise a terra i bicchieri e stappò la bottiglia per poi riempirli. «Ma, al di là di tutto, questo resta comunque un bel posto quando si vuole restare soli.»

Mi porse uno dei bicchieri e non capii se si riferisse al restare solo con se stesso o soli nel senso di appartarsi. La seconda ipotesi riaccese un eco dell'imbarazzo che mi aveva accompagnato fino a poco prima, ma mi sforzai di allontanarlo concentrandomi sulla prima opzione e sul suo significato.

«Mi sono spesso chiesta che cosa ti rendesse così cupo, lo ammetto!» Mormorai, prendendo il bicchiere e lanciandogli un'occhiata. «Io amo il mio piccolo terrazzo, per quando voglio stare da sola a riflettere, ma questo posto è certamente meglio!»

«Era un bel pezzo che non ci venivo.» disse pensieroso, vuotando il bicchiere. Era sempre così misterioso e sulle sue, difficilmente si sbottonava con qualcuno.

«Ci venivi sempre da solo?» Domandai sorseggiando più lentamente. Non chiedevo per sapere se ci avesse portato un'altra ragazza ma per capire lui. Già il fatto che stesse parlando mi sorprendeva sempre di più e io non desideravo altro che lasciarmi accompagnare nella sua anima, che si aprisse con me e mi svelasse il mistero che era per tutti.

«Sì, è un posto in cui non sopporterei la presenza di nessuno.» Questo era più da lui.

«Sono fortunata allora!» Sussurrai, bevendo un altro sorso. In uno slancio di coraggio e incoscienza conferitomi dal vino, mi chinai verso di lui, poggiando il capo contro la sua spalla con un sospiro. «Si sta davvero bene! Hai ragione!»

Mi guardò un attimo e poi inaspettatamente mi passò un braccio intorno alle spalle e mi strinse a sé. Chiusi gli occhi, perdendomi nel suo profumo e nel calore che emanava. Non sentivo freddo accanto a lui e me ne accorsi solo in quell'istante.

«Mi sembra tutto così irreale. Davvero!» Mormorai, a occhi chiusi. Se quello era un sogno, non desideravo svegliarmi. «Non è che ho preso una botta in testa e sono in coma vero?» Domandai, alzando lo sguardo su di lui per incontrare le sue labbra tirate in un sorriso sghembo.

«Potrebbe anche essere.»

Mi voltai a guardarlo. «Dici davvero?» Domandai, per poi ridacchiare, tirandogli una manata sul petto. «Sei un idiota, lo sai?»

Rise, mentre mi afferrava la mano, tenendosela sul petto, per evitare che lo colpissi ancora. «Sai non immaginavo che avresti voluto avermi nei tuoi sogni, se fossi andata in coma. Pensavo mi considerassi un fratello.»

Dopo quanto era accaduto tra noi, avevo fatto di tutto per convincermi che fosse così. Lo avevo ripetuto numerose volte, a me stessa, ai miei amici, allo stesso Luke, per essere sicura di crederci davvero. Arrossii alle sue parole, scuotendo il capo.

«Ma che dici?! Parli tu invece che mi ritieni interessante?! Da quanto hai cambiato idea?» Borbottai, prendendo il bicchiere con la mano libera. «Credo di non averti mai visto così!» Osservai tornando a guardarlo. «Così... sorridente! Sembri felice, in un certo senso!» Non spostai la mano, né mi allontanai da lui.

«Forse non mi hai mai osservato davvero.» Commentò dandomi una breve occhiata e tralasciando la prima domanda. «Quindi, non ti dispiace tutto questo?»

«No affatto! Manca solo una cosa!» Dissi poggiando di nuovo la testa su di lui. Girai la mano verso la sua, sfiorando le sue dita con le mie, facendo ancora fatica a credere fosse tutto reale. «La musica!»

«La prossima volta porto la chitarra, magari.» rifletté pensieroso.

«E io il violino.» Mi accodai, immaginandomi già di averlo tra le mani. «Posso suonare qualcosa per te dopo?»

«Vuoi spostare le prove qui su?» Mi prese in giro sbuffando un sorriso. «Ti ascolterò volentieri.»

«Non so se gli altri sarebbero d'accordo, senza contare che muoversi qua sopra non credo sia fattibile. Sai che non sto ferma mentre suono.» Dissi alzando lo sguardo verso il cielo. «Quando prendevo lezioni da piccola, il mio insegnante mi odiava. Diceva che un musicista deve stare fermo e ridurre i movimenti al minimo, ma io non ci sono mai riuscita!»

Ero iperattiva fin da piccola, cosa che mi aveva creato problemi anche a scuola, e solo con la musica riuscivo a trovare un po' di pace.

«Stavo scherzando.» disse lui, stendendosi a osservare il cielo e tirandomi giù con lui. «È molto meglio osservarlo così, senza telescopio, solo così si può apprezzare tutta la magnificenza del creato.»

«Alle volte, tu e gli altri parlate proprio in maniera strana, sai?» Dissi accoccolandomi a lui. «Però sì... è davvero uno spettacolo meraviglioso!»

«Prova per un solo attimo a immaginare che Dio non sia solo una favola, che ci sia davvero, lì fuori da qualche parte, che tutto sia opera sua. Che cosa gli diresti?» Mi chiese lui serio, senza guardarmi, ma attirandomi a sé e cingendomi con un braccio.

Mi feci seria a quella domanda, lanciandogli un'occhiata indagatoria, per poi tornare a guardare il cielo.

«Non lo so... credo che gli chiederei quale sia il suo stesso desiderio! Cosa desiderasse quando ha creato tutto questo.» Mormorai, tornando a guardarlo. «Ma sai che non ci credo!»

«E adesso... cosa vorresti?» mi chiese ancora, scrutando il cielo.

Sorrisi. «Meglio che non te lo dica!»

«È così indicibile?» Si voltò a guardarmi, sorridendo sarcastico.

«Chissà! Tu cosa vorresti?» Domandai provocatoria, assottigliando lo sguardo e sogghignando divertita.

«Proteggerti.» Disse serio guardandomi, smontando completamente il mio tono.

Mi voltai su un fianco per guardarlo. «E da cosa?» Domandai, sforzandomi di mostrargli un sorriso, nonostante la sua serietà. «A parte che io scivoli da questo tetto e mi schianti a terra!»

«Considerato che sei iperattiva, penso che sia una delle principali cose da cui tenerti al sicuro.» Sghignazzò.

«Ma sei davvero così protettivo? Che hai fatto in tutto questo tempo? Eri nascosto a evitare che una macchina mi prendesse sotto o che mi schiantassi contro un muro perché sono disattenta?» Domandai ironica, scuotendo il capo, per poi poggiarmi sul suo petto.

Posò la mano sulla mia testa, accarezzandomela. «Ero in un angolo a osservare e bere. Cercavo di mantenermi a distanza. Volevo che vivessi la tua vita, a modo tuo, ma sarei intervenuto se una macchina avesse voluto tirarti sotto.»

Risi divertita. «E mentre dormivo che facevi? Osservavi dalla finestra della mia stanza?» domandai ironica.

Spostò lo sguardo su di me, i suoi occhi erano molto profondi e caldi. «Ora che sono sul divano, allora, ho fatto progressi. Significa che mi sto avvicinando.»

«E il prossimo passo è il mio letto?» Domandai inarcando un sopracciglio. Rendendomi conto della domanda che avevo appena fatto, affrettandomi poi a tentare di cambiare discorso. «Mi sembra che, comunque, tu ti sia avvicinato eccome.» Non ero mai stata in condizioni simili con lui o con un altro dei miei amici.

«Ti dispiace che possa starti così vicino?»

Era sempre molto sicuro di sé, ma non il genere di sicurezza che si associa alla presunzione, la sua era quel genere di sicurezza che si associa alla temerarietà, al coraggio di rischiare sapendo di poter perdere tutto, eppure pronto ad accettare qualunque conseguenza a testa alta, senza mai fare una piega.

«No! Non mi dispiace affatto averti così vicino!» ammisi alzando lo sguardo su di lui. «Ancora mi sembra tutto assurdo, l'intera settimana che hai dormito a casa mia e stasera che, beh... sembra tutto cambiato!»

«Perché pensi che sia tutto cambiato? Sono sempre stato vicino a te, per tutta la vita.» Mi strinse appena.

«Ma non mi avevi detto niente!» Risposi alzando il volto sopra il suo. «Non mi hai mai fatto capire che ti interessavo. Qualche giorno fa ridevamo e scherzavamo come due amici. Adesso dormi a casa mia e siamo sdraiati a guardare il cielo da soli su un planetario.» Spiegai, inarcando un sopracciglio. «Mi sei sempre piaciuto, ma non ho mai creduto che la cosa potesse essere reciproca!»

Tirò su un angolo della bocca, mostrando la fossetta, le sue ammiratrici a questo punto avrebbero urlato fino a sgolarsi e invece era lì, con me, a osservarmi. Mi spostò una ciocca dal viso, per poi sostare con una mano su di esso, accarezzandomi.

«Non pensavo potesse piacerti uno come me.»

«Perché no?» Domandai io sorridendogli in risposta. «Mi sembra che non ti manchi nulla!» Ridacchiai, socchiudendo gli occhi, godendomi il contatto della sua mano. «Sei proprio sicuro di voler dormire sul divano questa notte?» Domandai con uno slancio di temerarietà, lanciandogli un'occhiata. «Non fraintendermi. Voglio che tu dorma ancora scomodamente.»

«E dove vuoi che dorma?» Mi chiese con voce bassa e intensa.

«Il letto è grande!» Dissi solo, con lieve imbarazzo. «Se vuoi!»

«Se è più comodo del divano, forse dovrei accettare.» Mi sfiorò il braccio con la punta delle dita e io, non riuscendo a farne a meno, rabbrividii.

«Sicuramente è più comodo!» mormorai con voce alterata.

Iniziavo a faticare a capire cosa mi stesse attorno. Fissavo lui come se il resto stesse perdendo di tangibilità, come se non fosse più reale.

Luke mi sentì rabbrividire e dopo aver lasciato scivolare lo sguardo sulle mie labbra mi strinse di più, circondandomi con le braccia, nel tentativo di scaldarmi.

Lo circondai a mia volta con le braccia, affondando felice il volto contro il suo petto. Era bellissimo, non riuscivo a ricordare un momento simile, dove avessi provato un'emozione tanto travolgente, se non a quel ballo e mai avrei pensato che di mezzo ci sarebbe stato proprio Luke.

«Che dici, torniamo a casa?» Domandai alzando il volto verso di lui. Mi sentivo finalmente pronta ad affrontare quello che sarebbe potuto accadere.

«Sì, direi che si è fatto abbastanza tardi. È ora di andare a letto.» Mi strinse di nuovo e poi mi lasciò libera di alzarmi, per fare altrettanto.

Mi alzai, facendo attenzione a non scivolare sulla lamiera della cupola, dando un'ultima occhiata al panorama, alla città avvolta dalle luci e alle stelle che ne coprivano il cielo.

Sospirai tornando poi a guardarlo.

«Andiamo!»

Ancora una volta mi circondò i fianchi, per guidarmi ed evitarmi di scivolare e finire di sotto. Rifacemmo tutta la strada a ritroso fino alla sua moto, con cui volammo a casa mia. Parcheggiò davanti al vialetto e mi seguì fino al mio appartamento.

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