Capitolo 47: La proposta

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Mi svegliai qualche tempo più tardi. Il fuoco si era spento e la casa iniziava a farsi più fredda. Lei era un po' più raggomitolata, per quanto le condizioni della sua schiena glielo consentissero, e aveva l'espressione corrucciata di chi stesse facendo brutti sogni.

Riaccesi il fuoco e attesi qualche istante prima di tornare da lei con una coperta che le adagiai addosso, facendo attenzione a non toccarle le ferite. Avevo la voglia di stendermi accanto a lei, ma non sapevo come avrebbe potuto reagire svegliandosi e trovandomi a letto al suo fianco, eppure quell'espressione spaventata mi diceva avesse bisogno di me, di sapere che fossi lì con lei a proteggerla. Sospirai, stendendomici vicino, decisamente più comodo che sul divano, portandole una mano sul capo e spostandole i capelli puliti dietro l'orecchio.

Si rilassò appena sentì la mia vicinanza, come se anche nei sogni fossi andato a salvarla. Divenne subito più serena e accennò appena un sorriso, provando a raggomitolarsi di più contro di me anche se non le riusciva molto bene; la schiena doveva farle molto male.

Sospirai ancora, sentendo il desiderio di abbracciarla, anche se sapevo non fosse possibile viste le sue ferite. Ci avrebbero messo almeno una settimana per poterle permettere di muoversi senza troppi dolori. Una sola settimana e poi me ne sarei dovuto andare, anche se non volevo. Quel luogo che aveva vissuto tanta crudeltà aveva lei, una piccola fonte di luce tremolante, ma talmente forte da non farmi più voler andare via, una luce che mi attraeva con tutte le sue forze e che stava provando in ogni modo a tenermi lì. Eravamo troppo diversi, talmente diversi e opposti da non riuscire a fare a meno di attrarci, di cercarci e desiderarci, eravamo quasi un bisogno l'uno per l'altra; eravamo consapevolezza stessa che luce e ombra hanno bisogno dell'altro per poter esistere.

Ho pensato spesso che se non me ne fossi andato, se fossi rimasto al suo fianco, forse la sua luce non si sarebbe spenta, perché le mie tenebre l'avrebbero schermata e protetta dal male del mondo umano e di quello celeste. Contava su di me per essere tenuta al sicuro e quando aveva avuto bisogno io non ero stato lì a salvarla. Tra tutti i miei peccati quello è l'unico che non sono mai riuscito a perdonarmi. In quel momento, però, non sapevo cosa sarebbe accaduto, in quel momento c'era solo lei, bella, luminosa e delicata vicino a me, impegnata senza neanche accorgersene a rendermi un uomo migliore.

Dormimmo tranquilli fino al mattino e al risveglio lei non mi scacciò via urlando, ma mi sorrise con un sospiro, contenta che avessi scacciato via i demoni anche dai suoi sogni.

Rimasi in silenzio, godendomi quel momento di intimità. Se qualcuno fosse entrato e ci avesse visti così di certo avrebbe pensato fosse un'imperdonabile indecenza, dal momento che a quell'epoca era impensabile che una donna non sposata dormisse con un uomo. Eppure da quel letto non avevo nessuna intenzione di alzarmi e anche questo per me rappresentava una novità, non ero mai stato così desideroso di restare al fianco di una donna, con cui tra l'altro non avevo avuto rapporti carnali. Le accarezzai i capelli, senza pensarci.

Ancora adesso, alle volte, mi sembra di sentirli tra le dita in un doloroso ricordo.

Forse avevo vissuto abbastanza da non curarmi delle conseguenze, o forse era la consapevolezza che nessuno avrebbe fatto irruzione nella dimora di un messo inquisitore del vaticano, che aveva appena bruciato un inquisitore, senza bussare, fatto sta che per la prima volta dopo duecento anni mi sentivo bene e non avevo nessuna intenzione di farmi rovinare il momento da paranoie del 1600. Se andava bene a lei, allora andava bene anche a me.

Sara assecondò il movimento della mia mano come se la mia fosse una sorta di benedizione oltre che una carezza.

«Appena ti sei avvicinato i demoni sono scomparsi, li hai scacciati di nuovo.» Credeva mi temessero per la mia luce, non immaginava certo che fossi il peggiore tra loro.

«Li ho tenuti lontani volentieri» mormorai tenendo gli occhi chiusi. «Con il tempo spariranno. Quando ti sarai ripresa se ne andranno via da soli» spiegai a voce bassa per non disturbare la quiete di quel luogo.

Non volevo lasciarle la speranza che sarei rimasto con lei a lungo, per quanto sentissi dentro di me già il desiderio di farlo. La situazione era come quella nell'avere una forte necessità, una dose di droga, per esempio, e ne senti la fortissima dipendenza di averla per sentirti bene. Questo per me era Sara.

Lei è stata per me l'unico appiglio, l'unica che mi abbia permesso di credere di avere ancora un briciolo di umanità, la speranza di poter essere qualcosa oltre che il mietitore, un essere migliore di chi prende solo la vita degli altri corrompendola nel peggior modo possibile.

Rimasi sdraiato con lei a lungo, ormai con il fuoco che si era già spento da un pezzo e a fatica mi decisi a rialzarmi.

«Devo cambiarti le bende e preparare qualcosa da mangiare» le disse tornando a cercare i suoi occhi.

Annuì, pronta alla tortura a cui dovevo necessariamente sottoporla. «Va bene, fai quel che devi.»

Le bagnai le bende con acqua calda, così da ammorbidire le croste e togliere il lino con più facilità, dopodiché rimisi sulle ferite l'impacco di erbe, iniziando a spiegarle di che si trattava e come poterle usare al meglio. Le raccontavo ogni cosa che facevo e come, sia per distrarla dal dolore sia perché vedevo in lei una sincera curiosità e brama di conoscenza, molto poco comune per la sua epoca.

Sara, infatti, mi ascoltava rapita e incantata, al punto da dimenticare quasi il dolore che sentiva. Mi faceva domande, dando sfogo alla sua curiosità senza il timore che potesse essere confusa per un sego del male. Non dubito che se avesse avuto più tempo sarebbe potuta diventare un'ottima guaritrice.

«Quando starai meglio andremo a farci un giro nel bosco, ti mostrerò le piante che sono utili e avviseremo il reverendo del tuo interesse per la medicina. Una donna guaritrice non è vista bene di solito, ma credo che se parlassi in tua vece potrebbe essere diverso» spiegai lanciandole un'occhiata.

«Mi piacerebbe molto.» Sorrise con maggiore convinzione del solito perché quello che le avevo appena detto significava che non sarei partito subito dopo la sua guarigione.

«In una settimana dovresti stare già molto meglio» osservai pensieroso mentre sistemavo il fuoco e preparavo un'altra zuppa.

«Ti ringrazio. Senza di te non ce l'avrei fatta.» Provava per me una profonda gratitudine, nonché grande rispetto, stima e affetto. Mi ero preso cura di lei in quel periodo, ma si sarebbe presa cura di me da quel momento in poi. «Raccontami dei posti in cui sei stato» mi chiese osservandomi alle prese con la colazione.

Le raccontai dei vari luoghi in cui ero stato negli anni, senza andare troppo nel dettaglio e parlandone con sufficienza. «Tu invece, prima di incontrarmi cosa facevi?»

Fece finta di riflettere per cercare di risultare misteriosa, ma consapevole che la sua storia non fosse minimamente interessante, soprattutto se confrontata con la mia.

«Dunque, fammi pensare... Ho aiutato mia madre quando sono nati mio fratello e mia sorella e l'ho assistita durante la sua malattia. Aiutavo il reverendo in chiesa come potevo, facevo commissioni per lui, gli portavo da mangiare o lo assistevo con i poveri e gli ammalati. Aiutavo mia madre a gestire la casa e mio padre con il suo lavoro; sai sono brava a far crescere le piante, magari, quando starò meglio potrei piantare un piccolo orticello, così nella zuppa potremmo metterci verdure fresche.»

Non ricordo di aver mangiato più nessuna zuppa buona come quella che preparava lei con le verdure di casa nostra. Era solo una ragazza cresciuta in un piccolo villaggio, non aveva visto niente del mondo e non conosceva niente della vita, ma la sua mente era abbastanza aperta da consentirle di essere curiosa e voler apprendere.

Sorrisi nel sentirla parlare, mi piaceva tanto ascoltare la sua ingenuità e gioia di vivere che sarei rimasto ore a sentirla. Era semplice quanto incredibilmente forte e bellissima.

«Molte piante utili si possono coltivare. Ognuna di esse ha delle caratteristiche che possono risultare interessanti, ma bisogna conoscerle le bene. Come le persone possono sembrare buone, ma in base all'uso possono risultare mortali» spiegai calmo.

«E tu mi insegnerai?» Era talmente entusiasta che, se non fosse stata impossibilitata dalla schiena ad alzarsi, non dubito affatto che mi avrebbe afferrato per il braccio trascinandomi per il paese e il bosco a raccattare erbe da piantare.

«Finché posso ti insegnerò, ma avrai molto da imparare, soprattutto se non sai leggere.» All'epoca davo per scontato che non sarei rimasto abbastanza con lei da poterlo fare.

«No, non so leggere. Ascolto le sacre scritture dal reverendo.» Credo che non sapesse proprio dell'esistenza di libri che non parlavano delle sciocchezze si cosa avesse fatto Dio.

«Ci sono parecchi libri che parlano delle piante officinali e dei rimedi medici» dissi pensieroso. «Potrei portarteli, se ripassassi di qui un giorno.»

«Oh... si... mi farebbe piacere se tu ripassassi.» Era sempre così, ogni volta; la mia partenza la rattristava e passava il tempo ad aspettare il mio ritorno, sperando di vedermi riapparire.

«Non posso assicurarti che passerò presto. Ho molte cose da fare» le dissi osservandola per poi finire di preparare da mangiare, mettendo tutto sul tavolo. «Riesci ad alzarti?»

Distolse lo sguardo per un attimo stringendo le labbra. «Se dico di no resterai?»

«Non posso restare. Non sono l'uomo che credi» mormorai senza guardarla «Non posso restare con te.»

«Capisco.» Sorrise lo stesso, un sorriso più spento stavolta, senza tuttavia trovare il coraggio di guardarmi. «Forse è meglio se mi aiuti, se mi sforzo troppo le ferite finiranno con il riaprirsi.»

Tornai ad avvicinarmi a lei, cupo in volto, mentre le lasciavo passare un braccio attorno al mio collo per poi aiutarla a mettersi in piedi.

«Ti ringrazio. Ora non mi resta che guarire.» Mi sorrise per poi staccarsi da me e trascinarsi verso il tavolo.

«Già!» risposi sentendo la frustrazione avvolgermi.

All'epoca ero bloccato, credendo che lei mi vedesse per ciò che in realtà non fossi e che in realtà non mi avrebbe mai potuto accettarmi, rendendomi conto di aver paura di quella che sarebbe stata la sua reazione. Qualsiasi essere umano che avesse visto le mie ali e il mio potere sarebbe impazzito come era successo a Parris e ovviamente credevo che per lei sarebbe stato lo stesso. Le ali nere sarebbero state un chiaro indizio di chi fossi e io non volevo rovinare la sua luce. Sapevo benissimo che una volta curata ci avrei messo poco ad averla. Ero quanto più lei potesse desiderare e sarebbe bastato poco, eppure non me la sentivo affatto. Non con lei.

Rimasi cupo per tutto il pranzo, senza parlare o rivolgerle la parola. Terminammo il pasto e poi la aiutai a rimettersi distesa. «Ti conviene riposare.»
Lei mi obbedì come sempre, mostrando cieca fiducia nelle mie parole e decisioni.

Quella settimana passò piuttosto in fretta, forse anche troppo. Il reverendo venne a trovarla praticamente tutti i giorni, dando il merito della sua rapida ripresa e del suo aspetto fresco e meraviglioso al fatto che il demonio fosse stato scacciato dalla giovane e dalla città, rinunciando alle sue pretese su di lei. Ogni giorno ci portava da mangiare cercando di includere qualcosa che desse energia alla ragazza, come un uovo o una gallina per il brodo. La famiglia di lei non era molto benestante e non sempre mangiava a sufficienza, di solito era il reverendo a occuparsi di lei come un secondo padre, considerandola un'anima buona.

Dopo quei sette giorni Sara stava molto meglio: riusciva ad alzarsi da sola e le ferite si erano chiuse, sebbene non completamente rimarginate e i lividi iniziavano a sbiadire; la febbre non le era più tornata e iniziava ad assumere un bellissimo colorito rosato. Aveva ancora bisogno di cure, per almeno un'altra settimana, ma forse potevano cavarsela anche i suoi genitori.

Il rapporto tra di noi si era fatto ancora più stretto, ogni giorno che passava ero un po' più legato a lei e riuscivo sempre con maggiore difficoltà a fare a meno della sua compagnia, della sua dolcezza e della sua curiosità. Imparava in fretta e le stavo insegnando tutto il possibile prima di andare via.

Anche quel pomeriggio il reverendo era passato a trovarla. «Stai migliorando giorno dopo giorno, piccola mia, credo che tra pochi giorni tu possa senza ombra di dubbio tornare dalla tua famiglia. Sarebbe sconveniente se tu continuassi ad approfittare della generosità di sua eccellenza.»

La ragazza cercava di sforzarsi nel fingere allegria pur sapendo di non avere scelta e la cosa la rattristava visibilmente ai miei occhi. «È vero... devo tornare a casa... saranno preoccupati...»

«Ancora qualche giorno e non avrai più bisogno delle mie cure» valutai mentre lanciavo un'occhiata al reverendo. «La ragazza ha un'innata capacità nell'utilizzo delle piante, potrebbe diventare un'ottima guaritrice se le insegnassi» ipotizzai, osservandolo sempre freddamente. «Senza contare che voi non avete medici capaci. A Salem servirebbe, ma non vorrei che, visto il suo passato, la gente possa vedere male questa sua attitudine, anche se sarei io stesso a istruirla. Che ne pensate?»

«Beh, se la istruirete voi e farete in modo che la gente lo sappia, credo che non ci saranno problemi» rifletté.

Annuii, voltandomi a guardare Sara «A te sta bene? Mi fermerò un po' di più per insegnarti le cose basilari e soprattutto a leggere, così che tu possa poi perfezionare le tue conoscenze.»

Sara sembrò entusiasta a questa notizia. «Ne sarei felice.»

Ero stata una sola settimana in sua compagnia, ma mi era bastata per decidere che volessi passare altro tempo con lei. Dopotutto Kora era occupata con Parris e probabilmente lo sarebbe stata per parecchio tempo. Non si sarebbe accorta di nulla, anche se fossi rimasto per un intero mese, oltretutto, di solito non le interessava cosa facessi sulla terra e con chi mi divertissi.

«Bene, allora così è deciso. Nel frattempo, bambina, parlerò con la madre badessa del convento, sono certo di riuscire a persuaderla a farti prendere i voti.»

«I voti?» chiese lei.

«Certo, visto il tuo vissuto e la situazione economica della tua famiglia sarebbe la soluzione migliore.»

«Credete sia così difficile trovare un marito per lei?» domandai sedendomi. «È comunque graziosa e chiaramente devota. Se poi diventerà una guaritrice sarà un punto focale per la comunità di Salem, di pretendenti ne avrebbe eccome. Quello che le è successo deve restare solo un ricordo, non è giusto che le rovini la vita in questo modo.»

«Eccellenza, la sua famiglia non è molto benestante e già prima di tutta questa dolorosa vicenda non avrebbe potuto aspirare a un matrimonio molto vantaggioso. Se ci aggiungete che è stata accusata di stregoneria e di essere la concubina del demonio, che sia stata umiliata con una flagellazione sulla pubblica piazza che le lascerà per sempre la schiena deturpata... beh i pochi pretendenti che si ritroverebbe, semmai ce ne fossero, non sarebbero certo uomini che si vorrebbe avere come marito. Credetemi, la soluzione migliore per lei sarebbe il convento, anzi, potreste sfruttare la vostra influenza per convincere quelle pie donne che il demonio ormai l'ha abbandonata» mi chiese, pensando di fare il bene della ragazza.

Sospirai lanciandole un'occhiata e riflettendo sulla situazione, l'aspettava una vita di rinunce, solitudine, punizioni e maltrattamenti e la colpa di tutto ciò era solo mia e di quello che le avevo fatto per raggiungere i miei scopi.

«Vedrò cosa posso fare. Intanto mi occuperò di lei io stesso» dissi tornando a guardarlo.

«Vi ringrazio, eccellenza» rispose l'uomo. «Ora devo andare a dire messa, ma tornerò domani per leggerti qualche passo della Bibbia e recitare con te le preghiere, bambina.» Si estratte dalla tasca un rosario. «Quasi me ne dimenticavo,» lo mise tra le mani di Sara «è la croce con cui sua eccellenza ha dimostrato la tua innocenza, penso sia meglio che la tenga tu.»

La ragazza guardò il rosario e poi il reverendo, commossa. «Grazie, padre.» Si strofinò gli occhi con il braccio per non piangere al ricordo di quel giorno, del dolore e della paura.

Sara affidò a me quello stesso crocifisso un po' di tempo dopo dandomelo ogni volta che partivo, in modo che mi aiutasse a ricordare la strada di casa e così fece anche l'ultima volta che la vidi.

«Eccellenza, prendetevi cura di lei. Ha già sofferto tanto per la sua giovane vita» mi disse il reverendo congedandosi e lasciando Sara seduta sul letto con gli occhi lucidi.

«Che cosa ti prende?» domandai con tono gentile, incrociando le braccia al petto. «Resterò qui ancora per un po', credevo potesse farti piacere.» Alle volte faticavo davvero a capirla.

«Sì, sono solo felice.» Si stringeva al petto quel rosario come fosse la cosa più importante al mondo per lei, era il simbolo della sua salvezza e della purezza della sua anima. Si asciugò gli occhi e si alzò dal letto. «Lascia che ti aiuti con la cena oggi.»

«Sì, ormai ti sei ripresa quasi del tutto» osservai guardandola. «Se non è un problema vorrei uscire un attimo, ho delle cose da fare» dissi avvicinandomi a lei. «Pensi di riuscire a stare da sola per un po'?» domandai con lieve sarcasmo.

«Sì, penso di potermela cavare.» Mi sorrise incoraggiante. «Le mie condizioni grazie a te non sono più così critiche.»

«Tornerò tra meno di un'ora» le promisi prendendole una ciocca di capelli tra le dita. «Farò in fretta» assicurai rialzando lo sguardo su di lei.

«Promettimi che tornerai» puntò gli occhi nei miei, sfidando tutto ciò che la morale e l'educazione dell'epoca le proibivano di fare.

«Certamente» dissi affilando il sorriso per poi lasciarle un bacio sulla fronte.

Chiuse gli occhi con un sospiro, godendosi quel lieve contatto e quella casta forma di affetto, per poi osservarmi uscire.

Era difficile capire cosa provassi in quel momento. Sara era per me una salvezza, qualcuno di cui prendermi cura e grazie alla quale ero tornato a sentirmi umano e soprattutto vivo. Mi era mancato terribilmente e solo in quel momento mi resi conto di quanto mi mancasse una vita normale.

Le parole del reverendo mi avevano fatto riflettere su cosa fare. Mi era bastata una settimana per capire che mi ero legato a Sara e che lei si era chiaramente legata a me e, anche se me ne fossi andato, non sarei riuscito a togliermi il desiderio di rivederla e restare con lei.

Per quanto non conoscesse nulla di questo mondo e vivesse a pieno la sua vita con felicità, a discapito di ciò che riservasse il destino, avrebbe sofferto troppo nelle fila del clero. Permettere che fosse rinchiusa in convento sarebbe stato come ucciderla una seconda volta. Non sarebbe mai riuscita ad essere sé stessa, ad esprimere tutta la sua luce e ad avere ciò che meritava.

Potevo sposarla io.

Non mi avrebbe detto di no per nessuna ragione e a me sarebbe andato più che bene. Considerando che fossi immortale mi sarebbe sembrato solo un breve episodio della mia vita prima di tornare a fare quello che avevo sempre fatto e che comunque avrei continuato a fare per evitare che Kora avesse da ridire sulle mie scelte.

La nera Signora, in effetti, era un'altra delle questioni da affrontare. Un conto era chi mi portavo a letto per una folle notte di passione, ma sposarmi con una ragazza giovane e piena di luce come Sara l'avrebbe fatta letteralmente infuriare e sapevo che non le sarebbe di certo andata bene. Se anche avessi deciso di sposarla dovevo mettere al sicuro Salem da angeli e demoni. A questo pensai mentre camminavo per il bosco, ormai al buio, totalmente perso nei miei pensieri.

Non ero forte come lo sono ora, ma la mia magia lo era già abbastanza e avevo accumulato già una bella dose di conoscenza. Potevo schermare quel luogo, renderlo inaccessibile a qualunque creatura non umana che non fossi io e nasconderlo agli occhi del mondo degli eterni. Potevo costruire un piccolo paradiso per me e Sara in cui godere della sua luce. Mi sembrava tutto così semplice, così ovvio, così naturale che mi misi all'opera quel pomeriggio stesso. Che l'avessi sposata o meno, Kora non avrebbe mai messo le sue grinfie su di lei, o almeno così credevo. Non potevo immaginare che gli eventi potessero essere gestiti e manipolati liberamente, non nel modo in cui successe, senza che avessi la possibilità di reagire o oppormi.

Ci misi più di un'ora a iniziare quello che sarebbe poi diventato un rituale di protezione perenne, anche se probabilmente mi sarebbe servita almeno qualche settimana prima che il cerchio fosse del tutto finito e attivo, ma avevo tutto il tempo per poterlo fare.

Quando tornai da Sara era già notte fonda e di un'ora che avevo chiesto ne erano passate quasi tre. Bussai, per poi entrare in casa, preparandomi a scusarmi per il mio ritardo.

La tavola era imbandita visto che aveva cucinato per me. Doveva essersi stancata molto, perché si era addormentata vicino alla tavola, appoggiando la testa sulle braccia. Non aveva cenato, mi stava aspettando.

Mi avvicinai a lei, accarezzandole la testa e sedendomi a tavola. «Sara?» mormorai cercando di non essere troppo brusco come al solito.

Lei si svegliò piano, sorridendomi e stropicciandosi gli occhi. «Sei tornato.» Era felice, nonostante non avessi fatto per lei niente di straordinario, ma sembrava che la mia sola vicinanza potesse avere un effetto benefico. «La cena si sarà freddata, ma non preoccuparti, ci metterò un attimo a riscaldarla.»

Si alzò per spingere il pentolone della zuppa sul fuoco. Si era legata in una coda alta i capelli, fermandoli con un piccolo fermaglio che le aveva portato il reverendo da parte di sua madre e che era appartenuto a sua sorella.

«Faccio io, non ti preoccupare» le dissi alzandomi per andare al camino per riscaldare il cibo. «Dobbiamo parlare, Sara. Ci sono alcune cose che vorrei chiederti.»

«Certo.» Mi diede un'occhiata un po' preoccupata dalla mia richiesta così tanto seria. «Cosa vuoi chiedermi?»

«Voglio sapere che cosa farai quando sarò andato via da qui» dissi mentre facevo riscaldare il tutto, senza guardarla. «Ti sconsiglio di prendere i voti, non sei una donna che vivrebbe bene là dentro. Gli uomini e le donne sanno essere crudeli e molti di essi, i peggiori come Parris, si nascondono nelle fila della chiesa» spiegai tornando a guardarla. «Per come sei, vivresti una vita mediocre e triste, perderesti la tua luce.»

«Cosa dovrei fare allora?» era semplicemente curiosa del mio punto di vista. Avrebbe comunque fatto quello che le avesse ordinato suo padre, sperando di non avere una vita troppo infernale, dopotutto lei era una sua proprietà e sapeva di non avere nessuna scelta.

«Se diventassi un medico potresti guadagnare qualcosa. Nel momento in cui le persone qui capissero che tu puoi aiutarle e salvarle non proverebbero più pietà o orrore per te» le spiegai io inclinando il capo di lato. «Io posso aiutarti a guadagnare la loro fiducia, ma immagino che se ti dovessero dire di prendere i voti lo faresti. L'alternativa e che tu ti sposi, ma, come ha detto il reverendo, gli uomini che avresti non sarebbero di certo persone con cui tu staresti bene» dissi rialzando lo sguardo su di lei e portando il cibo in tavola. «Mi chiedo invece cosa vorresti tu nella tua vita. Quale è il tuo desiderio? Come vorresti vivere?»

«Io... credo che vorrei solo essere felice e avere la possibilità di rendere felici gli altri» rispose brevemente. «Ma non so se sono questi i piani che Dio ha in serbo per me. Di sicuro ha un progetto o non ti avrebbe mandato a salvarmi la vita, ma non saprei dirti quale» spiegò prendendo posto a tavola. «Ma qualunque esso sia farò del mio meglio per meritare la seconda occasione che mi è stata data.» Aspettò che assaggiassi per vedere la mia reazione e se fossi soddisfatto o meno dei suoi sforzi in cucina.

Assaggiai e apprezzai palesemente ciò che stavo mangiando. Accennai un sorriso soddisfatto lanciandole un'occhiata per poi continuare a mangiare. «Vedi, c'è qualcosa che sai fare meglio di quanto lo possa fare io.» Ridacchiai sarcastico continuando a guardarla. «A ogni modo, non vorresti qualcuno al tuo fianco?» domandai inarcando un sopracciglio. «Per un attimo non pensare a quello che vuole Dio per te, pensa solo a quello che vuoi tu.»

«Ti riferisci a un marito?» mi chiese curiosa. «Sì, mi piacerebbe, se potessi decidere egoisticamente, senza pensare a nient'altro, a tutti gli obblighi e i doveri come figlia, come cristiana, come membro della comunità... sì, mi piacerebbe. Però mi piacerebbe sposarmi con un brav'uomo, qualcuno che riesca a volermi bene e tenermi al sicuro, qualcuno che si prenda cura di me e che mi consenta di prendermi cura di lui, ma queste sono solo fantasie, Low, so qual è il mio posto.»

«E se potessi dar credito alle tue fantasie, c'è qualcuno che vorresti al tuo fianco? Qualcuno in particolare che si prenda cura di te e di cui vuoi prenderti cura tu?» domandai sempre in tono basso senza staccare lo sguardo da lei.

Lei distolse lo sguardo e arrossì. «Io... non credo che questa conversazione possa essere di alcuna utilità.» Cercava di non guardarmi. «Perché mi fai queste domande?»

«Perché sì, e vorrei che mi rispondessi» insistetti irremovibile. «Se ci fosse la possibilità di sposarti, chi vorresti al tuo fianco?»

La stavo mettendo fortemente a disagio ed era arrossita fino alla punta delle orecchie. «Ecco io... vorrei prendermi cura di te e... vorrei che tu continuassi a prenderti cura di me.» Strinse gli occhi e abbassò lo sguardo aspettandosi una mia reazione furiosa per la blasfemia che aveva anche solo osato pronunciare. Era stata punita ogni volta che aveva parlato per sè stessa, arrivando anche a rischiare il rogo. Tuttavia era adorabile così imbarazzata. «Mi dispiace» aggiunse in fretta. «Ti prego, perdonami.»

«Di cosa dovrei perdonarti? Hai solo detto la verità rispondendo a una mia domanda» dissi con un tono più caldo e molto più rilassato. «Ma tu, piccola ragazzina, non sai nulla di me, non sono l'uomo che tu credi. Pensi che io sia buono, ma non lo sono affatto, ho ucciso centinaia di persone, anzi, molte più di quante tu possa immaginare. Non importa il perché l'ho fatto, non ascenderò mai in Paradiso» spiegai poggiando i gomiti sul tavolo. «Tu sei l'unica che è riuscita a vedere del bene in me.»

Sollevò timorosa lo sguardo, più per le sue parole che per le mie. «Mi hai salvata e curata. Non importa cosa credi di aver fatto fino a ora e perché, solo un uomo buono farebbe quello che tu hai fatto per me.»

«Sono più egoista di quanto tu creda. Stare con me sarebbe solo una sofferenza. Dovrei stare via interi mesi, forse persino degli anni e non potrei starti vicino. Potrei stare con te pochissimo tempo e in quel tempo che ti sto lontano ucciderei altre persone» spiegai sospirando. «Se sapessi la verità non mi vorresti mai.»

Sara abbassò lo sguardo, credeva fossero tutti motivi per cui non volessi restare con lei e anche l'idea che la lasciassi sola per anni non le piaceva affatto. Inoltre non si sentiva all'altezza di stare accanto a me, credeva che un uomo come lo ero io, con la mia posizione, potesse avere molto meglio di lei.

«Ascolta, ti insegnerò quello che so in questo mese e prima di andare via ti mostrerò davvero chi sono» dissi tirando un lungo sospiro poggiandomi alla sedia. «Se mi vorrai ancora ti sposerò.»

Sollevò lo sguardo su di me come se non avesse capito. «Non puoi... io non ti merito» mi rispose, come se il mio fosse un semplice gesto di pietà nei suoi riguardi.

Sbuffai una risata. «Perché? Credi che mi importi di una cicatrice? O della povertà?» Scossi il capo. «Non hanno nessuna importanza per me. Sono anni che sono solo, anni che non sentivo più nulla e che vivevo nelle tenebre. Tu sei una fonte di luce e io di quella luce ho terribilmente bisogno. Sei l'unica cosa che mi dà pace nonostante tutto ciò che ho fatto» spiegai con un sospiro. «Non sei tu il problema, egoisticamente ti voglio perché sto bene, perché sento il bisogno di averti accanto a me» dissi per poi scuotere il capo. «Non ho mai parlato così con nessuno, tu sei diversa da tutti gli altri.»

Cercava di razionalizzare le mie parole. «Tu vuoi stare con me... hai paura che io non accetti ciò che sei e ciò che hai fatto?»

Chinai il capo, restando in silenzio. «Nessuno di voi lo accetterebbe mai» ribattei con un sospiro. «Sono un mostro Sara, sotto alcuni punti di vista sono peggio del tuo aguzzino.»

Si alzò avvicinandosi a me. «Non è vero.» Poggiò la mano sulla mia. «Quell'uomo ha ucciso decine di ragazze innocenti dopo averle seviziate e torturate, ha fatto passare loro l'inferno prima di dar loro una morte orribile. È lui il solo mostro, non tu che lo hai fermato. Se non fossi intervenuto sarei stata anche io una sua vittima, così come altre povere anime sventurate dopo di me.» Si abbassò per avere il suo viso all'altezza del mio. «Non devi mai pensare di essere un mostro, Low. Ti dispiace per quello che hai fatto perché sei umano, hai un'anima e una coscienza e vorresti evitare morte e sofferenza, ma non potevi fare niente di diverso, se tu non lo avessi fermato questa città avrebbe conosciuto solo più morte e dolore.» Mi accarezzò il viso fissando gli occhi nei miei. «Non sei affatto il mostro che credi.»

Chiusi gli occhi al suo tocco, era terribilmente bello da perdermici completamente. Ricordo ancora quanto abbia sognato e desiderato di sentire ancora quelle dita sottili sulla mia pelle a sfiorarmi e accarezzarmi.

Alzai le mani afferrandole i polsi e tornando a guardarla. «Se anche avessi un'anima sarebbe nera. Ho fatto delle cose orribili, ho corrotto centinaia di persone e le ho mandate all'Inferno per me stesso.» Scossi il capo con un sospiro. «Non sono l'uomo che crede in Dio come fingo di essere. Dio non ha piani, non mi ha mandato lui da te. Sono qui perché l'ho voluto io, per porre fine a questa stupida inquisizione» dissi distogliendo lo sguardo. «Non avrò torturato e seviziato innocenti, ma ho comunque fatto delle cose orribili.»

Sbuffò un sorriso. «Forse non te lo ha detto Dio, ma non è un caso che tu sia arrivato a Salem proprio adesso, nè è un caso che tu abbia scelto di aiutarci.» Non mi staccava gli occhi di dosso. «Non importa chi tu sia stato, quello che hai fatto qui è stata una cosa buona e se non ti piace l'uomo che sei allora renditi migliore, ma non arrenderti, perché la luce dentro di te non si è spenta, io la vedo, Salem intera l'ha vista.»

«Sono quello che sono, se quella luce che tu dici di vedere esiste è solo grazie alla tua» risposi tornando a guardarla. «Ma so che, quando saprai la verità, non mi guarderai più con la stessa espressione di affetto che hai ora» mormorai portandole una mano al viso.

Scosse la testa assecondando il mio tocco. «Ma io la vedo già la tua vera natura, non mi serve vedere altro.»

«Vedi la cosa sbagliata» dissi passandole le dita tra i capelli lasciando che il fermaglio si allentasse e lasciasse sfuggire alcune ciocche castane. «Davvero non puoi neanche immaginare la verità»

«Perché hai così paura di poter essere un brav'uomo? Sei talmente abituato a stare tra i demoni che hai iniziato anche tu a vederti come loro» osservò la bella e dolce Sara. Ero il suo eroe, si è sempre rifiutata di considerare l'idea che fossi malvagio, che fossi un mostro. Era l'unica cosa su cui non mi ha mai dato ascolto.

«Perché non lo sono, Sara, non lo sono mai stato e mai lo sarò» affermai sicuro, poggiando il capo accanto al suo e chiudendo gli occhi con un sospiro. «Va bene così adesso, lasciamo stare il discorso» mormorai restando in quella posizione. Volevo sentire il suo profumo e averla accanto a me, non mi serviva altro in quel momento.

Lei fece una cosa che proprio non mi aspettavo in quel momento, mi strinse forte. «Non permetterò che tu ti convinca di essere un demonio. Se me lo consentirai passerò il resto della mia vita a convincerti che ti stai sbagliando» disse tutto d'un fiato e morendo d'imbarazzo, aggrappata a me.

Sospirai alle sue parole stringendo la mano dietro la sua nuca e portandole un braccio a cingerla per la vita con delicatezza, appena sotto le cicatrici.

Era già più di quanto due persone non sposate potessero fare e io da quell'abbraccio non avrei mai voluto andarmene. Nello stesso istante capii che non avrei mai avuto il coraggio di dirle chi fossi o di mostrarmi come l'angelo della morte, almeno fu ciò che pensai quell'istante prima di spostare il mio volto al lato del suo, iniziando a darle un bacio sulla mascella, spostandomi poi lentamente sulla sua guancia con le labbra.

Si irrigidì, come presa dal panico. Era sconveniente, per la moralità di quell'epoca stava facendo qualcosa di molto sbagliato, sebbene dubitavo seriamente che le ragazze della sua età si fossero limitate solo a guardare negli occhi i propri coetanei, anche se ufficialmente andassero dicendo così.

Dopotutto non ero di certo un bravo e lei, per quanto rigida, non si era ritratta né mi aveva fermato. Continuai, lentamente, a spostarmi verso le sue labbra stringendola appena a me con maggiore decisione, pur senza farle male, fino al momento in cui le nostre labbra non si incontrarono per la prima volta.

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