Prologo: L'origine dei mali

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Shadow - Lindsey Stirling


"Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra."

(Apocalisse secondo Giovanni)

Era uno dei tanti, soliti e interminabili giorni, soporiferi e noiosi ai miei occhi e ai miei pensieri ormai focalizzati a un unico scopo.

Quel giorno, nell'abituale noia, la mia attenzione era rivolta al fuoco del camino, che crepitava pigramente nella stanza, in penombra, mentre mi crogiolavo in quella sorta di torpore a un passo dall'apatia. Quando si vive in eterno i giorni iniziano a somigliarsi sempre più gli uni agli altri e la monotonia diventa la più grande minaccia da cui doversi difendere per non rischiare di impazzire.

Mi sembrava tutto fermo, immobile, per quanto sentissi e percepissi tutto quello che strisciava e viveva in quel luogo letteralmente dimenticato da Dio. Talmente in armonia con esso da essere un tutt'uno. Ero il cuore, la mente e le ossa di quell'immenso antro oscuro e ne percepivo la disperazione che vi serpeggiava all'interno, fino in fondo a quella che chiamavano anima, sebbene non fossi sicura di possederne una.

Eppure c'era altro oltre all'incessante senso di abbandono e rammarico: c'erano speranza e libertà, ed era su questo che mi stavo concentrando, questi erano i sentimenti dai quali mi lasciavo cullare in quella specie di trance generata dalla visione delle fiamme.

Solo il fuoco portava un po' di luce in quell'ambiente avvolto dalle ombre, formandone al tempo stesso altre ben più terrificanti, proiettando immagini allungate delle poche cose presenti in quell'enorme sala di pura ardesia. Anche in uno spazio così ristretto e così apparentemente tranquillo e silenzioso, l'eterna lotta tra luce e tenebre stava avendo luogo, vedendo prevalere talvolta l'uno, talvolta l'altro, in un imperituro e ingiusto equilibrio.

Non che sentissi freddo; non ero in grado di percepirlo se non per un attimo, né tantomeno il fuoco poteva scaldarmi. Però mi piaceva: potevo stare delle ore a fissare le fiamme danzare, intrecciarsi l'una all'altra e separarsi con piccoli scoppiettii, lasciandomi cullare da quel senso di pace.

Potrebbe sembrare un cliché, ma non ci sono fiamme nel posto in cui vivo ma solo enormi e antichissime strutture in pietra rossa, grigia o nera.

A volte dimenticavo che in quel luogo non esisteva tempo, né notte, né giorno. L'eternità era così lunga, noiosa e vuota.

Per fortuna, quel pomeriggio si prospettava essere leggermente più interessante, dal momento che tre dei miei fidi demoni fecero la loro apparizione all'ombra della mia poltrona, che le fiamme del camino proiettavano fino all'ingresso della sala.

«Che diavolo è successo adesso?» domandai seccata, senza neanche staccare lo sguardo dal fuoco.

«Vostra altezza, avremmo delle notizie che potrebbero rallegrarvi la giornata» spiegò mellifluo quello che riconobbi come il demone della superbia. Non avevo bisogno di voltarmi a guardarlo per indovinare il ghigno compiaciuto dipinto sul suo volto e, con ogni probabilità, anche di gola e lussuria, i suoi fratelli.

«Salvo che non siate venuti ad annunciarmi la morte di un arcangelo o la caduta del Paradiso, dubito seriamente che da voi tre possa venir fuori qualcosa di anche solo vagamente capace di migliorare la mia giornata» osservai in tono sarcastico, rigirandomi tra le dita il calice di vino.

«Sfortunatamente, non sono così portentose le nostre notizie, altezza» mi rispose il maggiore dai capelli rossi, il demone della lussuria.

«Ma credeteci, vi faranno senz'altro piacere.» Rise il minore, colui che rappresentava l'impulso della brama insaziabile.

«Portiamo notizie del vostro mietitore» aggiunse quindi con orgoglio la lussuria. La sua voce, così come quella dei fratelli, proveniva da un punto piuttosto vicino al pavimento di marmo. Dovevano essere inginocchiati.

«Che cosa ha combinato, Low?» chiesi, iniziando ad avvertire una punta di buonumore al solo sentir pronunciare il suo nome.

«In questo momento si trova a Manhattan, mia signora: stava finendo di corrompere un Nephilim, il penultimo. Ormai erano giorni che gli stava dietro e oggi voleva distruggerlo.» illustrò la gola, sghignazzando.

«Ma da quello che ho capito si sono messi in mezzo degli angeli» aggiunse Astaroth, il castano demone della superbia che, così come i suoi fratelli, possedeva un aspetto umanoide, tradito solo dalla presenza d'un paio di corna che nascondevano in presenza degli umani.

Mi alzai dalla mia poltrona e mi diressi verso una delle grandi finestre che dava sul panorama desolato dell'Inferno.

«E allora cosa ci fate voi tre qui? Non dovreste essere con lui per... aiutare?» quello che in realtà intendevo dire era controllare.

Harrison Lowell, il mio mietitore, mio braccio armato, era un essere formidabile ma allo stesso tempo incontrollabile, furbo e doppiogiochista. Lo adoravo, ma non mi fidavo assolutamente di lui. Ero convinta che, se ne avesse avuta l'occasione, mi avrebbe uccisa senza pensarci.

«Mia signora, ha rifiutato il nostro aiuto, dicendo che aveva tutto sotto controllo.» finì Pruslas, la lussuria dai capelli rossi come il fuoco.

La cosa non mi stupiva: nonostante gli angeli fossero diventati più fastidiosi e reattivi, negli ultimi tempi, erano pur sempre mediocri e patetici ammassi di piume bianche, buoni solo a indossare svolazzanti tuniche e a prendersi cura dei loro riccioli d'oro.

La morte di un ragazzino mezzosangue angelico non era mai stata un problema per le alte sfere celesti, al punto che non se ne erano mai preoccupati. Però, dopo un'ottantina di Nephilim trapassati e circa una cinquantina cancellati, persino quegli idioti in Paradiso avevano iniziato a capire che qualcosa non quadrava, che quelle morti non avevano nulla di naturale e qualcuno di loro aveva suggerito che potessero essere stati presi di mira. Pensare che ci avevano messo solo seicento anni per arrivare a una simile conclusione, non mi stupiva per nulla che le loro forze si stessero decimando.

Più per rovinare i piani a chi li stava facendo fuori, che per il loro benessere, i mezzosangue rimasti erano stati messi sotto stretta sorveglianza, con la sola conseguenza di peggiorare le condizioni delle armate celesti, dal momento che Low non solo corrompeva e prendeva le anime dei Nephilim, ma faceva letteralmente a pezzi anche gli alati che li proteggevano, cancellandoli dall'esistenza.

Il mietitore si era ormai fatto un nome, suscitando al contempo rispetto e paura. Il mio miglior acquisto di sempre, ero stata davvero lungimirante settecento anni prima, quando avevo messo gli occhi addosso a un ragazzo che si guadagnava da vivere con la pirateria.

Diversi millenni fa, mio padre e l'onnipotente firmarono quelli che tuttora sono conosciuti come "i patti celesti", un cetriolo nel sedere che solo quell'idiota poteva accettare. Grazie a quella brillante trovata, Dio aveva perso il potere di salvare, cosa che tornava assolutamente comoda a quel despota, egoista e megalomane, mentre il sovrano dell'Inferno perdeva per sempre la capacità di togliere la vita, il supremo dono di Dio alla feccia mortale e angelica.

Lowell era perfetto, crudele, spietato, senza scrupoli e profondamente egoista. Quando fu ad un passo dalla morte feci l'unica cosa che una divinità infernale nella mia posizione avrebbe fatto: aspettai che fosse più nel mio regno che in quello dei vivi prima di fargli la mia imperdibile offerta.

O lavorare per me, come mio angelo della morte, oppure la dannazione eterna per lui e il suo prezioso e maleodorante equipaggio.

Aveva accettato, dopotutto non aveva avuto altra scelta.

Non che gliene avessi lasciata, avrebbe dovuto essere mio, a tutti i costi. Era da allora che lavorava per me e lo aveva fatto sempre egregiamente.

«Bene. Che ne dite di dare un'occhiata a quello che combina? È sempre un piacere vedere in diretta la presa di un Nephilim.» sorrisi, incamminandomi per i corridoi con i tre demoni al mio seguito, diretta alla sala del nero trono.

Presi posto su di esso, in attesa che Astaroth, Pruslas e Aamon portassero al mio cospetto le fiamme nere.

Loro furono celeri e dopo pochi attimi mi trovai di fronte un enorme braciere d'argento, con al suo interno dei resti di carbone bianco dal quale si alzavano fiamme nere e viola.

Quel fuoco danzava come se fosse vivo e poco dopo si aprì sui due lati, mostrandomi al centro una sorta di specchio. In esso vidi il mio riflesso: capelli neri come la notte, a incorniciare un viso dai lineamenti delicati, seducenti labbra rosse e carnose, grandi e profondi occhi, talmente scuri da sembrare quasi neri, un corpo esile ma con curve che inducevano a peccare.

La superficie dello specchio iniziò a tremolare e al mio riflesso si sostituì la città di Los Angeles, avvolta nel buio della notte, illuminata solo dalle luci delle insegne e dei lampioni, sotto a una fitta pioggia torrenziale.

Pochi istanti dopo, l'artefatto infernale mi mostrò un ragazzo, sulla trentina, alto, con un fisico asciutto e tonico, facilmente intuibile da come gli stava sulle spalle il soprabito nero. Avanzava lungo un vicolo, con la spada nera in mano, gocciolante di sangue. Sangue di un angelo ormai cancellato dall'esistenza.

Di fronte a lui stava un ragazzo sui diciassette, forse diciotto anni, vestito con pantaloni larghi, un cappello da baseball e giubbotto pesante, che lo guardava con un'espressione palesemente scossa.

«Chi era quello? Cosa hai fatto? Che cosa sei tu?» domandò balbettando il piccolo, senza ricevere risposta.

Doveva avere intuito le intenzioni del mietitore visto che iniziò a correre, senza che il mio angelo della morte si scomponesse, sapendo, con tutta probabilità, che quel vicolo non portava da nessuna parte.

«Meraviglioso!» commentai estasiata facendomi apparire tra le mani un altro calice di vino rosso.

Ai lati della strada, sui tetti, comparvero altri tre angeli. «Ci si rivede, mietitore!» disse uno di loro.

Low lanciò un'occhiata verso i tre appena apparsi. Si fermò, assottigliò lo sguardo e sorrise loro sfacciato e arrogante.

«Non potevate di certo mancare alla festa.» li provocò, alzando la mano destra e mostrando loro il dito medio.

«Impudente sfacciato!» fu l'inutile commento di uno dei tre candidi piumati, la rappresentante femminile del patetico gruppetto.

«Sì, decisamente impudente e sfacciato.» ripetei io con tono malizioso, mordendomi il labbro, eccitata dallo spettacolo che si preannunciava.

«Questo è l'ultimo Nephilim che corrompi e uccidi. Siamo qui per fermarti per sempre e cancellare quest'abominio dall'esistenza.» disse il primo, sfoderando una spada che splendeva di una luce bianca e immacolata.

A differenza di noi creature infernali, ogni angelo poteva richiamare la propria energia spirituale, trasformandola nell'arma che più si adattava alla sua personalità, riuscendo a volte a sviluppare un proprio stile di combattimento.

Le armi degli angeli erano di luce pura, mentre, nel nostro caso, erano dannate e maledette, con un'aura nera o rossastra, se non addirittura violacea, a seconda dell'utilizzatore. Inutile dire che quella di Low era nera come la pece, lunga e affilata, sembrava uno squarcio di tenebra nel mondo reale.

«Non ne avete avuto abbastanza?» domandò il mietitore, inarcando un sopracciglio, falsamente sorpreso. Chinò il capo sospirando teatralmente, prima di muovere appena di lato la spada dalla lama scura, sulla quale la pioggia stava facendo scivolare via il sangue. «Vi sbagliate, comunque. Questo non è l'ultimo Nephilim. Questo è il penultimo che prenderò. Me ne manca solo un altro.» spiegò, guardandoli di nuovo. «Avanti, non fatemi perdere altro tempo.»

«Sei solo il cane di quella donna! Non ti sei stancato di scodinzolare per lei, mietitore?» Il terzo, quello che non aveva ancora parlato, si lanciò in picchiata dal tetto, contro di lui, seguito rapidamente dagli altri due.

Low schivò prontamente. «Mi aspettavo più saggezza dagli angeli, onestamente.» rispose con tono sarcastico, assottigliando lo sguardo e sparendo di fronte a loro, per poi riapparire alle loro spalle. Falciò per primo quello che aveva parlato fin dall'inizio, per poi schivare prontamente l'attacco della ragazza che lo attaccava con la spada di luce angelica. «Ancora non avete imparato nulla.» osservò con voce dura.

«Sei tu a non capire, mietitore. Che cosa credete di ottenere prendendo i Nephilim?» chiese l'angelo con i lunghi capelli castano chiaro, legati in una coda, abbattendo la propria spada lucente su Low.

Lui parò facilmente, osservando il proprio nemico con un sorrisetto ironico. «Questo non dovresti chiederlo a me. Non credo che la Signora degli Inferi sarebbe felice se parlassi dei suoi piani con un angelo.» ribatté, prima di tirargli un calcio in pieno stomaco, facendolo andare a sbattere contro il muro alle sue spalle, con una forza sovrumana. Schivò, poi, l'ennesimo attacco del secondo nemico, di nuovo la ragazza.

Nel corso dei secoli aveva studiato e sviluppato i poteri che gli avevo dato, al punto da riuscire a manipolare lo spazio e il tempo che aveva attorno a sé. Una sorta di psicocinesi, con la quale poteva modificare a piacimento la realtà che lo circondava.

Ciascuna creatura celeste, sia essa beata sia dannata, aveva ricevuto un dono alla nascita, che lo avvicinava di un passo a Dio rispetto a un comune mortale.

Lui aveva il mio stesso sangue, glielo avevo donato io stessa alla sua rinascita come mietitore, e ciò gli aveva consentito di acquisire le mie stesse capacità, ma, essendo egli solo una copia, per quanto si fosse allenato e impegnato, non sarebbe mai stato al mio livello.

Riusciva a manipolare lo spazio solo entro brevi distanze, poteva muoversi con una velocità fuori dall'ordinario, sembrando che si teletrasportasse, ma a differenza mia questo era vero solo nell'arco di pochi metri. Aveva, inoltre, la capacità di evocare oggetti che fossero nelle vicinanze, spostandoli da un posto all'altro.

Per quanto riguardava la manipolazione del tempo, invece, poteva rallentarlo, ma fermarlo era una questione diversa, richiedeva più energia di quanta ne possedesse.

Ciò nonostante, le sue capacità lo rendevano nettamente superiore alla maggior parte dei soldati celesti.

Non a caso, infatti, tra lui e il suo nemico, comparve una sorta di lamiera di metallo in meno di un istante, dietro alla quale preparò il colpo. Caricò un affondo di spada e trafisse, sia quello che era diventato il suo scudo, che l'angelo dietro di esso. Per il suo avversario era sicuramente impossibile vedere e schivare quel colpo.

Come la spada nera colpì la ragazza dalle ali candide, questa sparì in un vortice di luce, cancellata anch'essa dall'esistenza.

Non ebbe neanche il tempo di compiacersi del suo operato che l'ultimo dei suoi nemici si portò alle sue spalle, fremente dalla rabbia per la dipartita degli altri due.

«Sei ancora in tempo per rinunciare ai tuoi scopi malvagi e pentirti. Il Signore è misericordioso.» disse l'angelo, cercando di nuovo di attaccare.

A quelle parole io stessa sbuffai una risata. «Misericordioso! Come no! Vallo a dire a Nephilim e angeli caduti quanto è misericordiosa la vostra divinità!»

«Perché dovrei!?» rispose infatti Low «Dio non mi avrebbe mai dato il potere che mi ha dato Kora.» puntualizzò, parando con la sua spada. «Siete solo tutti assoggettati da un falso buonismo che, in realtà, non esiste.» incalzò, quasi indignato, per poi lanciare all'angelo qualcosa in volo.

Questi però non si fece distrarre, scartò l'oggetto e si lanciò in un affondo. «Sei un'anima persa come tutte le altre e brucerai all'Inferno per il resto dell'eternità.»

«Almeno brucerò da qualche parte.» rispose lui, schivando agilmente e spostandosi a una velocità sovrumana, come se avesse per un attimo rallentato il tempo.

Questa mossa gli fece guadagnare un vantaggio sull'angelo, il quale non riuscì a seguire i suoi spostamenti. Il mietitore comparve alle spalle del suo avversario e affondò la spada nella sua schiena, proprio tra le ali candide, con un colpo rapido e deciso, facendole macchiare di sangue.

«Tu invece cessi di esistere.»

Applaudii, mentre l'ultimo pennuto spariva in un fascio di luce. «Fenomenale! Davvero impressionante!»

Il mio paladino! 

Diavolo, e che voglia mi faceva venire di lui quando parlava così.

Però, ora che ci pensavo, il suo contratto era agli sgoccioli, e questo non mi piaceva, urgeva una chiacchierata con lui.

Dovevo trovare il modo di tenerlo con me. Appena avesse preso il Nephilim, sarei comparsa da lui.

Tornai a guardare ciò che accadeva attraverso quella sorta di specchio magico infernale. Mi restituì l'immagine di Low, appena ansante, che si voltava a guardare il ragazzino terrorizzato.

Non aveva via di scampo, da quel vicolo non sarebbe mai più uscito. «No... ti prego... non voglio morire!»

La morte era solo un momento di passaggio e si comportavano sempre come fosse la fine, non capivano fosse solo il principio.

«Fidati, ci sono cose ben peggiori della morte.» rispose lui, cupo. «Il posto dove andrai potrebbe persino piacerti.» rispose freddo avvicinandosi, mentre ripuliva la spada.

Sorrisi, col fiato sospeso. Un Nephilim aveva due possibilità al momento della morte: liberare un accecante fascio di luce e ascendere al Paradiso o bruciare e discendere agli Inferi.

Sospettavo, vista la sicurezza che ostentava il mietitore, che quell'adolescente spaurito sarebbe finito presto tra le mie fila.

Infatti, le parole di Low confermarono i miei sospetti.

«Tu non hai mostrato pietà per quel ragazzino che hai picchiato a sangue e hai mandato in ospedale.» ribatté Low assottigliando lo sguardo. «Hai ascoltato i miei consigli, dopotutto, ma hai fatto ciò che volevi e ti è piaciuto vederlo a terra, indifeso e agonizzante!» raccontò, impugnando un coltello dal manico a forma di drago.

Il ragazzino impallidì davanti alla verità e alla lama che luccicava minacciosa davanti ai suoi occhi, iniziando a guardarsi intorno per valutare le vie di fuga. Ma come si poteva sfuggire a un uomo che aveva annientato da solo quattro angeli senza versare una goccia di sudore?

Low non aggiunse altro. Non era tipo che si perdeva in troppe parole. Lui agiva e non amava affatto discutere. Ormai lo sapevo, lo conoscevo fin troppo bene.

Si avvicinò rapidamente al ragazzo, trapassandolo, senza che lui riuscisse a vederlo. Evitare quella lama sarebbe stato impossibile.

L'istante dopo, il Nephilim iniziò a bruciare, gridando come un forsennato, mentre l'angelo della morte si spostava da lui di un passo, estraendo il pugnale dal suo petto.

Lo osservò con sguardo tetro e gelido venire consumato dalle fiamme, mentre una fitta pioggia si abbatteva su di loro, senza riuscire a estinguerle.

«Ragazzi» dissi ai demoni, sorridendo soddisfatta «Mostrate al nostro nuovo ospite la sua camera e dategli tutto quello che chiede. Io devo parlare con Low.» schioccai le dita, mentre l'anima dannata del ragazzo discendeva agli Inferi.

Di lui restava solo cenere bagnata dalla pioggia quando apparvi alle spalle del mietitore. Non si voltò neppure, ma ero certa che si fosse già accorto della mia presenza. Si calò sulla testa il cappuccio della felpa che portava addosso, sotto a un lungo spolverino di pelle nera.

«Ne manca solo uno.» lo sentì dire, a me o forse più a se stesso.

«Bel lavoro, mio araldo.» dissi con tono caldo e seducente. «Non temere, si stanno già occupando di lui, non sarà mai più solo e allo sbando. Perché non ci togliamo dalla pioggia? Vorrei fare due chiacchiere.»

«Perché sei qui?» domandò, passandomi accanto dirigendosi verso l'uscita della via.

Sollevai la mano per schioccare le dita e poco dopo ci trovammo al chiuso, in un locale intimo, per non dare troppo nell'occhio. I pregi di poter gestire il tempo e lo spazio a mio piacimento.

Lui mi guardò, togliendosi nuovamente il cappuccio e poggiandosi allo schienale. Aveva uno sguardo cupo, gelido e freddo. Ormai aveva ucciso talmente tanti uomini che della sua probabile bontà o umanità non era rimasto quasi più nulla.

Il mietitore era davvero un bell'uomo, con capelli e pizzetto neri come la sua anima. Occhi molto particolari, di un grigio molto intenso e acceso. Due orecchini dorati terminavano una delle particolarità del suo viso. Nonostante lo sguardo cupo e glaciale, era capace al contempo di ammaliare e mettere a disagio il suo interlocutore. Non passava certo inosservato e, se per questo, neanche io.

Ero la Dea del peccato e della tentazione, il mio corpo era fatto apposta per far cadere anche il più saldo tra gli uomini. Sentivo gli occhi dei presenti sostare insistentemente su di me, sulle mie curve e sui lineamenti delicati del mio viso, sul quale era quasi perennemente dipinta un'espressione provocante, almeno quando ero in pubblico.

Sentivo la brama delle persone che mi circondavano. In parecchi, lì, avrebbero dato l'anima per essere al posto di Low.

«Pensavo che fosse giunto il momento di condividere con te i miei piani, visto che il tuo contratto è in scadenza e stai per riacquistare la tua libertà.» spiegai, allungando la mano verso la sua, sfiorandola con le dita.

«I tuoi piani?!» Rispose lui con falso tono sorpreso. «Sono curioso.»

Si era sicuramente fatto un'idea di che cosa volessi. Non era uno sciocco e aveva una mente abbastanza brillante da arrivarci da solo. Non aveva di certo ucciso migliaia di anime senza chiedersi il perché.

«Andiamo, lo so che sei attento ai dettagli e avrai formulato qualche ipotesi a riguardo.» cercai di intrecciare le mie dita alle sue, mentre appoggiavo il viso sul palmo dell'altra mano, sfiorandomi le labbra carnose e rosse in un tentativo di seduzione. Lo guardai con desiderio, già pregustandomi il post serata, ma, come mi avvicinai a sfiorarlo, lui si ritrasse.

«Vuoi attaccare le porte del Paradiso con una fila di anime che ho contribuito a mettere tra le tue fila. Presumo che i Nephilim siano molto più potenti delle anime normali. Hai dichiarato guerra al Paradiso e ora vuoi andare a prendertelo.» ipotizzò, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo, osservando attorno a sé con fare distratto.

«Esatto! E vorrei che tu fossi al mio fianco quando questo accadrà. Non perché c'è un contratto, ma perché sarai tu stesso a volerlo.» Gli tenni gli occhi fissi addosso, talmente scuri da sembrare quasi neri.

Vidi il suo sguardo farsi più serio. L'ironia e il sarcasmo di poco prima sparirono in un lampo. «Mi hai dato un enorme potere, Kora, ma se con l'ultimo Nephilim posso riavere la mia libertà, per me e il mio equipaggio, allora è quello che farò.» rispose cupo. «Ho già visto abbastanza morte in tutti questi anni.»

L'aveva vista, era innegabile, e l'aveva soprattutto portata lui, distruggendo vite umane e angeliche incessantemente. Tuttavia quella risposta non era ciò che mi aspettavo.

«Ti sto offrendo il creato, mietitore, un posto accanto a me sul nero trono, il dominio e il controllo non solo sulla morte ma anche sulla vita.»

«Perché credi che mi possa interessare, Kora?» domandò lui, gelido, fissandomi attentamente. «Per quanto possa essere stato bravo a fare quello che ho fatto, conosci bene il mio punto di vista. Dopo settecento anni di morte, preferisco tornare con il mio equipaggio a dedicarmi alla vita.»

«Hai reso il mondo un posto migliore, lo sai anche tu. Non prendo anime innocenti.» Mi sistemai una ciocca di lunghi capelli neri dietro all'orecchio, sforzandomi di essere gentile con lui, anche se proprio non capivo quel suo tergiversare.

«Ho dovuto corrompere anime che lo erano.» replicò secco, tornando a guardarmi. «Il mondo non sarà mai un posto migliore. Ho solo permesso a te di avere un esercito per abbatterti sul Paradiso. Hai quello che vuoi. A me non interessa affatto quello che hai da offrirmi.» replicò irritato, distogliendo lo sguardo. «Ho già perso abbastanza.»

Ancora quella storia! L'unico, piccolo, insignificante dettaglio che aveva messo Low contro di me. Ancora non capivo come fosse possibile tanto rancore. Tra l'altro per una cosa di cui non avevo nessuna colpa.

«Hai puntato sul cavallo sbagliato, Low. Io ti avevo avvertito, ma tu non mi hai dato ascolto. Gli esseri immortali non dovrebbero affezionarsi agli umani. Gli umani muoiono, è così la mortalità. Tu hai voluto ignorare questa verità. Avresti dovuto scegliere qualcuna come te.» Incrociai le braccia infastidita pensando che, se avesse scelto diversamente, non avrebbe avuto problemi simili.

«Sapevo benissimo di non poter avere una famiglia. Non parliamo di scelta.» scosse il capo. «Sono immortale temporaneamente. Lo sono per salvare me stesso e soprattutto il mio equipaggio. Ne sono consapevole.» replicò stizzito per poi alzarsi. Quell'argomento era sempre una delle cose che lo metteva di cattivo umore e grazie al quale aveva mantenuto un frammento di umanità nel suo cuore di ghiaccio. «Ucciderò per te l'ultimo Nephilim e poi questa storia si chiuderà in modo definitivo.»

Mi alzai a mia volta per andargli dietro. «D'accordo. Hai ancora tempo per pensarci.» avevamo ancora tempo. «Ad ogni modo, non mi tirerò indietro, i patti sono patti, dopo l'ultimo Nephilim sarai libero.» Ovviamente non pensavo davvero quello che stavo dicendo, mi sarei inventata qualcosa. Non avrei rinunciato a lui.

«Benissimo. Allora non abbiamo più niente da dirci.» rispose risoluto, rimettendosi il cappuccio in testa. «Buona serata, Kora.»

«Ho capito, oggi sei di malumore. Peccato, avevo proprio voglia di divertirmi un po' con te.» provai di nuovo ad afferrargli la mano.

«Mi è passata la voglia.» rispose lui cupo, ritirando la mano e guardandomi astioso. «Hai i tre gemelli che possono soddisfarti. Non hai bisogno di me.»

Sbuffai. «Si può sapere che cos'hai? Da quando ti fai scrupoli per un'anima?»

«Non c'è nulla. Solo quello che ho detto.» rispose lui accigliandosi e fissandomi. Gli stavo offrendo un posto accanto a me e lo stava rifiutando. Proprio non capivo.

«Molto bene! Fai come vuoi!» sollevai la mano irritata e sparii.

Riapparvi agli Inferi, furiosa. Difficilmente lo ero e quando capitava l'Inferno intero tremava. «Ma come osa!? Rifiutare la mia generosa offerta!?»

Solitamente le mie sfuriate erano visibili, o perlomeno percepibili, fino nei punti più bassi dell'Inferno.

Ogni creatura che incontravo fuggiva terrorizzata e preoccupata. Nessuna di esse voleva incontrare il mio furore e nessuno osava contraddirmi. Solo lui lo faceva, alle volte con ironia o girando la situazione a suo vantaggio, alle volte in maniera diretta, come in quel momento.

Si era dedicato anima e corpo alla morte, uccidendo con sempre più dimestichezza i suoi obiettivi. Aveva reso liberi i suoi uomini dopo poco tempo e poi si era dedicato solo ai Nephilim. Ogni volta che uccideva, il suo cuore diventava un pezzetto sempre più nero e cupo, tanto che ero quasi certa che nulla sarebbe andato storto. Ma negli ultimi quattrocento anni, da quando aveva incontrato quella donna, che sembrava avergli fatto ritornare un briciolo di umanità, era diventato ingestibile.

Pensavo fosse solo una distrazione, invece troppo tardi notai il tempo che passava con lei, il fatto che tornasse nella sua casa sempre più frequentemente, diminuendo invece il suo impegno a cercare i mezzi angeli o i demoni che fuggivano dall'Inferno. Era tardi quando mi resi conto che quell'anima mortale cui si era avvicinato era pura, riuscendo ad accendere in lui il barlume di luce che invece io avevo cercato di spegnere con ogni mezzo.

Pensavo che con la sua naturale, sebbene anticipata, dipartita lui sarebbe tornato da me, rendendosi conto che un immortale può stare solo con un altro immortale. Non ero certo il tipo di donna che pretendeva un rapporto esclusivo, ma ero il tipo di donna assolutamente egoista e possessiva con ciò che considerava suo. Poteva divertirsi con chi gli pareva, purché alla fine tornasse da me, esattamente come facevo io.

Ma lui mi incolpava della sua morte. Come se avesse potuto fare la differenza se fosse stata o meno colpa mia! Quella donna era mortale e prima o poi la sua anima doveva essere resa, solo lui sembrava non volersene rendere conto.

Non era stata completamente colpa mia, si era semplicemente innescata una serie di eventi che alla fine avevano portato alla sua prematura scomparsa. Un'assoluta casualità, ma lui l'aveva con me da quattrocento anni per quella storia.

Era uno sciocco, pensava che restituendogli la sua mortalità le cose sarebbero cambiate, ma non sarebbe mai successo. Tornare mortale non gli avrebbe restituito quella donna. Che peccato! Così brillante, eppure così sciocco alle volte. Non si rendeva conto di cosa stava rinunciando. Non potevo permettergli di buttare via l'eternità e il potere. Se proprio doveva risiedere all'Inferno, allora meglio come Dio che come anima dannata.

Non potevo rimangiarmi il patto, ma potevo trovare una scappatoia e prendere tempo. Con il passare dei secoli mi avrebbe perdonata, e poi potevo prendere il Paradiso anche con novantanove Nephilim, non era necessario averne cento.

Mi tranquillizzai un po', riaccendendo il sorriso. «Pruslas! Astaroth! Aamon!» bisognava correre alle contromisure.

I tre demoni mi si pararono davanti sempre in ginocchio. Erano palesemente nervosi, avendo percepito la mia rabbia, e nessuno di loro tre mi guardava.

«Ho degli ordini per voi.» dissi melliflua. «Il nostro caro mietitore è a fine contratto e non desidera un rinnovo. Come ben sapete sono vincolata dai patti celesti e non posso modificare il contratto con lui. Motivo per cui vi incollerete al suo perfetto e sodo fondoschiena nella ricerca dell'ultimo Nephilim rimasto, e farete in modo di toglierlo di mezzo prima che possa farlo lui. Sono stata abbastanza chiara?» passai davanti a loro ondeggiando sinuosamente le mie curve.

«Sì, mia perfida regina, ma se lui non volesse?» mi chiese il demone dai capelli rossi e dagli intensi occhi azzurri, sollevando lo sguardo su di me.

«Da quanto mi risulta prendete ordini da me e non da lui, non ancora per lo meno. Fate in modo che non abbia a dispiacermi, sapete cosa succede quando non sono felice.»

«Non avrete da dispiacervi. Potete stare tranquilla.» Rispose Aamon, peccato di gola, alzando i brillanti occhi verdi su di me e soffermandosi impertinentemente sul mio fondo schiena.

Lo stesso fece Astaroth. «Toglieremo di mezzo il Nephilim prima che lui se ne accorga!» i suoi occhi blu mi passarono tutta in rassegna, anche se, a differenza dei fratelli, nei suoi c'era di più che mero istinto animale all'accoppiamento.

Riacquistai un po' di buonumore. «Esattamente quello che volevo sentire. Non è necessario corromperlo. Uccidetelo, cancellatelo, quello che vi pare, ma fate in modo che Low fallisca.»

Visto che avevo riacquistato il mio buonumore, tanto valeva non rovinare i piani della serata. Infatti, mi avvicinai a loro, i loro sguardi affamati avevano decisamente riacceso il mio desiderio.

«Al mietitore servirà comunque un po' di tempo per rintracciare il Nephilim, quindi non è necessario che partiate subito.» Sollevai il viso di Aamon, incontrando due occhi verdi brucianti di desiderio. «Usate qualunque mezzo per avvicinare il mezzosangue, dopotutto siete tre peccati capitali, quanto può essere difficile corrompere un ragazzino o una ragazzina con la superbia, la fame insaziabile di vita e la lussuria?» Sì, mi era tornata decisamente voglia. «Pruslas, prepara tutto per la partenza. Voi due, invece, spogliatevi e seguitemi, ho voglia di divertirmi prima che partiate.» li provocai leccandomi maliziosamente le labbra mentre lasciavo cadere l'abito e mi avviavo in camera.

Il demone della lussuria sparii dal mio cospetto con un inchino, mentre i suoi fratelli non aspettarono neanche un istante e mi seguirono, liberandosi rapidamente dei loro vestiti. Erano secoli che lo facevano e sapevano esattamente come compiacermi.

Low aveva commesso un grave errore a sfidarmi.

Io lo avevo creato, ed io potevo distruggerlo.

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