Febbraio 1669 pt. 2

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Il gelo pungeva le carni e non c'era riparo dall'infierire dei venti. Galatea, sopraffatta dal freddo, rimaneva da giorni chiusa nella propria stanza, seduta davanti al camino. Si permetteva di uscire solo per accompagnare la duchessina nelle sue passeggiate per i saloni. Quando, in giorni come quello, la duchessina non la richiedeva, Galatea si vestiva volentieri con abiti più ordinari e si concedeva la lettura di qualche poemetto o la recita di un rosario. Non si nascondeva la tensione che aleggiava nel palazzo ormai da giorni. Le notizie sulla salute del duca non lasciavano sperare nemmeno un minimo miglioramento; il continuo andirivieni dei medici al suo capezzale aveva già spinto più di un cortigiano a scommettere vergognosamente sui giorni di vita rimasti al sovrano in agonia. La duchessa riempiva di singhiozzi i suoi appartamenti, consolandosi solo alla vista di Antonio, che andava a trovarla regolarmente. Nei momenti in cui si trovava sola, dicevano le sue dame di compagnia, la povera donna farneticava, si disperava e invocava la Madonna affinché salvasse la sua famiglia dalla rovina. Eleonora, l'unica figlia rimasta a palazzo, evitava di vederla e riduceva gli incontri allo stretto indispensabile, perché le condizioni della madre non facevano altro che mortificare la sua anima già travagliata dal lutto per il fratello e dalla frustrazione per le mancate nozze, nonché per la morte annunciata del padre.

Galatea rivolgeva tutti questi pensieri nella mente e fremeva all'idea che un giorno qualsiasi avrebbe potuto mutare profondamente la vita della corte intera. Non sapeva cosa aspettarsi dalle forze opposte che covavano reciproca vendetta tra quelle mura abbellite da marmi e da ori stuccati. Ricordava con malinconia i tempi dell'infanzia, in cui sembrava che nulla potesse minimamente incrinare la sua felicità.

«Sembri un po' tesa - disse la vocina di Fortuna a un certo punto - Eppure non dovresti esserlo. Gli eventi che maturano qui non hanno motivo di abbattersi su una damigella come te»

Fortuna era seduta sul letto e la guardava. Galatea non ricambiò lo sguardo, si alzò e cominciò a camminare dando a vedere di non prestarle attenzione.

«Forse ti faccio un favore se ti ricordo che sei fidanzata: presto avrai la possibilità di andartene da qui!» aggiunse la figura, strizzando un occhio. A queste parole Galatea ebbe un fremito di stizza e si voltò a guardarla: «Non penserai di alleggerirmi il carico con questa osservazione, vero?»

Fortuna fece una smorfia, perché non le piaceva essere trattata male; si rilassò subito dopo, giungendo le mani nel grembo e guardandola dolcemente.

«Credevo che fossi felice di sposare il Damiani»

Galatea arrestò il passo. C'era una poltroncina lì accanto e ci si sedette di peso.

«Smettila di prendermi in giro!» bofonchiò, mentre si passava una mano sulla fronte.

«Ti dirò: credevo davvero che quel gentiluomo ti piacesse. Invece mi rendo conto che per tutto questo tempo non hai fatto altro che pensare al tuo Paolo e a rimproverarti il rifiuto di quella notte» sorrise Fortuna, protendendosi verso di lei.

Galatea cercò di non far caso alle sue parole: Fortuna, con le sue insinuazioni, aveva centrato il problema. Per quanto si sforzasse di proiettarsi nella sua vita futura, moglie fedele e devota di un nobile, Galatea continuava a tornare con la memoria ai baci fugaci scambiati con Paolo e a quell'aria di trasgressione che l'aveva già condotta a un passo dal matrimonio.

«Sono stata una stupida - sussurrò - Se avessi mantenuto la promessa fatta a Paolo oggi non sarei qui a preoccuparmi di questioni dinastiche che non mi competono...»

«Potresti non gradire ciò che ti dirò - la interruppe Fortuna, come se non avesse aspettato altro - Ben presto non solo ti interesseranno da vicino; ne sarai parte integrante»

Galatea non l'aveva più guardata: ora però il suo sguardo, prima fisso davanti a sé, roteò fulmineo sulla fanciulla bionda. Il suo respiro si spezzò, le sue mani si strinsero una nell'altra.

«Cosa stai dicendo?» bisbigliò tra i denti, pietrificata.

«Cosa ti spaventa?» chiese Fortuna, sogghignando.

«Quello che dici non ha senso. Ecco cosa dico! Come potrei essere parte integrante di una disputa dinastica?!»

Fortuna chinò il capo e la guardò dal sotto in su: «Tu hai capito benissimo, perché non sei una ragazza stupida»

«Quello che penso non può avvenire» ribatté gelida.

«Sbagli: può avvenire ad una condizione» replicò Fortuna alzando l'indice destro.

«Quella condizione non può verificarsi» controbatté testardamente.

«E se ti dicessi che il papa ne è già stato informato e sta dando il suo benestare?»

«Direi che è una bugia! Che vuoi spaventarmi e farmi stare in pena!»

«Sai che non posso mentire» confessò Fortuna candidamente.

«Ma sarò condannata... Come potrebbero approvare un matrimonio nella sua... condizione»

«Avrà bisogno del tuo aiuto - affermò Fortuna, saltandole di fronte con un solo balzo - Sarai la sua prima consigliera»

Galatea, di fronte all'espressione entusiasta dell'altra, esitò ancora a rispondere. Volse il viso da una parte, asciugò una lacrima.

«Quale aiuto potrebbe dare una figlia di mercante a un figlio di duca?»

Fortuna, senza rispondere, svanì avvolgendosi nel mantello. Nella mente di Galatea risuonò per un attimo la sua risata, che via via si spense, confondendosi con i battiti impazziti del suo cuore.

Non erano passati che pochi minuti, quando alcuni colpi alla porta annunciarono una visita inaspettata. Galatea si sistemò alla meglio, spinse i capelli sciolti dietro le spalle e si alzò, cercando di dissimulare le emozioni.

«Vi prego, entrate» rispose gentilmente.

La maniglia si abbassò e uno spiraglio di luce si aprì sul pavimento. La sua camera era rimasta fiocamente illuminata per via delle pesanti tende costantemente tirate. Solo il caminetto acceso mandava bagliori per la stanza; fuori invece il corridoio era rischiarato da numerosi candelieri disposti a distanza regolare e gli specchi presenti riverberavano la luce tutt'attorno. Perciò, per un istante, Galatea si sentì accecare: quando riaprì gli occhi, davanti a sé trovò un giovane alto, slanciato e vestito di una tonaca nera lunga fino ai piedi. Questi chiuse velocemente la porta dietro di sé e abbozzò un inchino di cortesia. Galatea, stupefatta, si inchinò allo stesso modo, ma con più grazia. Il figlio del duca aveva capelli scuri e folti, ad eccezione della zona tonsurata, e un paio di profondi occhi castani, labbra nella norma e la barba rasata con cura.

«Sono lusingato di vedervi e mi scuso per il disturbo di un visitatore inatteso» disse. La sua voce, fresca di giovinezza, contrastava con l'austerità della sua veste.

«Per me è solo un onore, Vostra Altezza» ribatté Galatea, ripetendo una riverenza. Nel farlo, si soffermò a pensare all'inadeguatezza del proprio abito, un abito ordinario e per di più rattoppato in diversi punti.

«Lasciate da parte le formalità - la corresse bonariamente - Desidero semplicemente conversare un po' con voi con la massima sincerità»

«Voi mi onorate ancora di più, Altezza» rispose, indicandogli la poltroncina davanti al caminetto su cui era rimasta seduta fino all'arrivo di Fortuna. Lui ringraziò della gentilezza e si accomodò solo quando Galatea ebbe preso posto sulla poltroncina di fronte. Il duchino, quindi, si sedette e si diede una veloce occhiata tutt'attorno.

«Ho saputo del vostro fidanzamento con il giovane Damiani...» cominciò, sembrando un poco imbarazzato dall'argomento.

Galatea, sentendosi pervadere da brividi che non avevano a che fare con il freddo, annuì a stento: «E' proprio così, Altezza»

Ottavio accolse la risposta senza scomporsi e riprese: «Questo fidanzamento è di vostro gradimento? - poi, notando che la domanda non era chiara, riformulò - Intendo dire: il vostro fidanzato e la sua famiglia incontrano i vostri interessi e quelli dei vostri genitori?»

«Sua Altezza la duchessina Eleonora si è prodigata in mio favore per trovarmi un buon partito ed io ho accettato per gratitudine verso la sua benevolenza»

Ottavio sorrise amaramente a quelle parole: «Mia sorella deve avervi convinto che sia un buon partito quando effettivamente di buono ha solo il nome; e nient'altro»

Galatea, punta sul vivo da quell'osservazione e messa in guardia da ciò che già sapeva, decise di difendere spassionatamente il fidanzato, benché non avesse di lui un gran concetto. Una vocina, all'orecchio, le rivolgeva parole pungenti: «Pensano di ingannarti, pensano che sei abbastanza stupida da non capire quali sono i loro piani. Ma come osa lui venire qui e pretendere di dubitare del tuo onesto fidanzamento?» Era Discordia, che, ancora piccola come un chicco di sale, tuttavia si gonfiava di risentimento.

«Come potete insinuare queste cose del mio fidanzato?» domandò Galatea, trattenendo l'impeto che Discordia le ispirava.

«Non sono insinuazioni - la contraddisse Ottavio, parlandole scontato - Damiani è un cadetto, condannato a procurarsi di che vivere sul campo di battaglia come condottiero. Quando ha udito di sfuggita il vostro nome e la dote promessa da vostro padre, ha pensato bene di corteggiarvi per ottenere la vostra mano e in questo modo risparmiarsi la fatica del lavoro. Trovate che sia un comportamento dignitoso?»

Galatea, lì per lì, non seppe rispondere. Discordia le dettò le parole adatte: «Cos'è capace di inventarsi questo pretino da seminario! Vuole fare l'ambasciatore del fratello, ma gli riesce di più d'essere un inquisitore. Cattiva razza, la sua»

Parole dure, e Galatea ne risparmiò il peso al duchino; la sua espressione, però, dovette esprimere chiaramente quali fossero i suoi pensieri, e Ottavio non era persona tanto sciocca da non accorgersene.

«Vi prego di non prendere le mie spiegazioni come offesa a voi e alla vostra dignità - si affrettò a dire - Anzi, vi chiedo umilmente perdono per aver ferito la vostra fiducia»

«Fallita una strategia, ecco che ne adotta un'altra!» sibilò Discordia, che ormai aveva raggiunto le dimensioni di uno scoiattolo e restava appollaiata sulla sua spalla.

Galatea, più accorta di quanto non fosse Discordia, decise di ribaltare le parole del duchino contro di lui: «Siete venuto qui per parlare del mio fidanzamento? - domandò, ammorbidendo la voce - Se è così, lasciatemi chiedere che cosa, di preciso, vi interessi della faccenda»

Ottavio si trovò a propria volta con le spalle al muro; Galatea sorrise sarcastica vedendolo in difficoltà.

«Ne avete il diritto, madamigella - ammise dopo un istante di riflessione - E avete ragione a pretendere di conoscere la verità. La verità è in realtà molto semplice: il vostro fidanzamento è già stato sciolto e io sono qui per informarvene ufficialmente»

Detto questo, estrasse da una tasca una lettera ripiegata che le consegnò con volto serissimo. Galatea spiegò il foglio e lesse rapidamente: era Niccolò Damiani a scrivere. Scriveva che scioglieva il fidanzamento che lo legava a lei in cambio di un'ingente somma ricevuta nientemeno che dal duchino Ottavio, il quale si riservava il compito di consegnare quella confessione alla damigella.

«Cosa significa?» balbettò, sollevando infine gli occhi dalla lettera. Fino a quel momento aveva creduto di essere in una posizione sicura proprio in forza di quel fidanzamento. Ora scopriva che quel suo fidanzato l'aveva ceduta a un altro uomo in cambio di denaro, come fosse una schiava o un oggetto e non una donna libera, sotto la protezione della figlia del duca.

«Significa che siete libera di sposare un altro; tuttavia non sono qui per costringervi, bensì per spiegarvi cosa sta accadendo attorno a noi»

Discordia raggiunse rapidamente le dimensioni di un gatto mentre le gridava all'orecchio con quella sua voce stridula: «Ribellati, Galatea! Vuole convincerti con la sua retorica da seminario! Ti ritroverai sposata a un mezz'uomo senza nemmeno accorgertene!»

Galatea scosse la testa, confusa. Discordia si aggrappò all'orecchio per non scivolare giù, e il duchino si sporse verso di lei.

«Galatea - le disse con tono molto dolce - So che la proposta vi sembrerà incredibile, ma...»

«Non acconsentirò a nessun matrimonio - lo interruppe, aizzata dagli artigli di Discordia - So che siete qui per conto di vostro fratello. E io vi dico di no!»

Ottavio ristette, come un bambino scoperto con le mani nella scatola dei biscotti. Galatea respirò a pieni polmoni, gustandosi quell'espressione di stupore amaro che il duchino le mostrava. Si sentì quasi un'eroina dei poemi cavallereschi che amava: ribelle, sì, ribelle come diceva Discordia. Per una volta aveva fatto bene a darle ascolto. Avrebbe dimostrato a quella banda di uomini presuntuosi che non si trattano con tanta facilità le donne come lei, anche se hanno solo diciotto anni.

«In verità... - riprese timidamente Ottavio - Io intendevo chiedervi in moglie... per me»

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