Febbraio 1670 pt. 5 **

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Antonio percorreva la stanza da un angolo all'altro, passandogli davanti a passo spedito, mugugnando parole incomprensibili. Era tanto adirato da essere quasi irriconoscibile e questo era un evento raro, essendo il suo temperamento già di per sé incostante. Ottavio sedeva su una seggiola, solo in mezzo alla camera, incerto se intervenire o lasciare piuttosto che fosse il fratello a intavolare la discussione. D'altronde era stato lui a convocarlo, senza concedere il riposo che gli aveva in un primo tempo pregato di concedergli dopo il lungo viaggio. La tensione, unita ai disagi della carrozza e delle strade sconnesse, gli lasciavano ben poche parti del corpo che non fossero doloranti. Anche per questo sedeva in un momento come quello, in cui avrebbe voluto stare ben ritto a testimoniare la propria buona fede; invece si sentiva ingobbito, esausto e sfinito. Antonio non faceva quasi caso a quei piccoli segnali di fastidio che di tanto in tanto si lasciava sfuggire di proposito. Si guardò attorno: lo studio era vuoto da che anche l'ultimo servo era uscito dopo aver versato del vino rosso in due bicchieri di cristallo abbandonati da una parte, su un mobiletto accostato al muro. Se non fosse stato per i passi pesanti del duca, Ottavio avrebbe potuto credere che il tempo si fosse fermato. Riportò l'attenzione sul fratello, sperando con questo di spingerlo a parlare, ma invano. Antonio sbuffava come un toro; gli sarebbe parso addirittura minaccioso, se non l'avesse conosciuto bene: sapeva infatti che quello non era altro che un atteggiamento dettato dall'incapacità di affrontare una situazione incresciosa e, a tratti, imbarazzante.

A un tratto lo udì borbottare in preda alla collera. Stava per domandare di più, ma la prudenza fermò la sua lingua e lo mise al riparo da una reazione imprevedibile. Poi, vedendo che la cosa andava per le lunghe, si schiarì la voce e disse: «Antonio?»

«Non parlare, sta' zitto!» sbottò il duca, tagliando l'aria con la mano. Ottavio sollevò un poco le sopracciglia e lo guardò con aria di sfida, tacendo come gli veniva ordinato.

«Cosa ti ha detto lui?!» aggiunse un attimo dopo, voltandosi di scatto nella direzione del fratello minore.

«Di chi parli?» replicò secco.

«Del cardinale, ovvio! Voglio sapere cosa ti ha raccontato»

Ottavio si strinse nelle spalle: «Mi dice quello che mi dici tu, solo con parole diverse e, mi pare, più schiette»

Antonio avvampò: «Ingigantisce cose dette per scherzo e nulla di più! Ma avresti potuto dirlo subito che qualche bugia sarebbe bastata a farti tornare, e ti avremmo accontentato»

«Parli al plurale perché fai le veci del principe?» indagò, incrociando le dita in grembo.

«Parlo al plurale perché sono il duca! - strillò - E dovresti smetterla di prenderti gioco di me: prima sfuggi alle mie guardie uccidendo il loro capitano, poi ti rintani con la tua mercantina in un monastero di dubbia moralità, poi piombi qui e pretendi di essere il benvenuto!»

Ottavio aveva ascoltato con crescente livore le accuse che gli venivano mosse, trattenendo la lingua per evitare di scatenare un putiferio. Quando Antonio ebbe finito l'arringa, subito obiettò: «Per prima cosa, io non ho ucciso nessuno; casomai ero io la vittima designata di quel giorno e di questo sei tu a dovermi rendere conto. Per il resto...»

Il duca si impettì, pieno di sdegno, e non gli lasciò terminare la difesa: «Tu osi accusare me di fratricidio? Davvero credi che io possa attentare alla tua vita?»

«Se tu credi che io possa rappresentare un pericolo per te, non vedo perché io non possa credere lo stesso di te»

Antonio ammutolì, incrociò le mani dietro la schiena e lo guardò torvo per qualche secondo.

«In ogni caso, viste le accuse, dovrò lasciare che ti intentino un processo. Se sei innocente, potrai provarlo. No?» insinuò. Ottavio sentì il sangue diventare ghiaccio nelle vene e scosse istintivamente la testa: «Non potrò discolparmi! Eravamo soli in quel momento. L'unica che potrebbe scagionarmi è...»

«La mercantina. Ebbene, facciamola venire! Le manderemo una carrozza» rise Antonio, spavaldo.

«No! - si oppose - Non sarebbe al sicuro qui»

Il duca fece un'espressione di disinteresse e si avvicinò a lui, ancora seduto sulla poltroncina.

«Lasciami indovinare: hai paura che lo zio te la rubi dal letto, vero?»

Ottavio si alzò a propria volta di scatto, fissando intensamente il fratello negli occhi, ma quello non parve affatto impressionato.

«Magari, anzi, temi che sia lei a scappare da te, preferendoti lui»

«Smettila, Antonio, o potrei dimenticarmi che sei il duca!» minacciò.

Il duca balzò in avanti, prese il fratello per il colletto della camicia e, in uno scoppio d'ira, approfittando della sorpresa, lo scaraventò di lato sul pavimento. Ottavio rovinò a terra, trascinando nella caduta un mobiletto di legno pregiato e tutti i soprammobili di vetro e porcellana che c'erano sopra. Il trambusto fu tale che due guardie rimaste a presidio della stanza irruppero dentro con le spade sguainate.

«Restate ai vostri posti - le ammonì il duca - Vi chiamerò io, se necessario»

Antonio era reso forte dalla pratica abituale della caccia e il suo temperamento tendeva all'aggressività, se posto sotto tensione. Ottavio, mentre si rialzava dolorante, si ripromise di non attizzare più quell'animo permaloso, ma di ricorrere piuttosto alla persuasione dolce. Solo in un secondo momento si accorse di un taglio apertosi sul labbro inferiore, che sanguinava abbastanza copiosamente. La sua camicia e il giustacuore erano già macchiati in modo irrimediabile.

«Tu sei impazzito» bisbigliò il duchino, rialzandosi dolorante.

«Niente affatto: ho solo la conferma di ciò che temevo. Tu non avresti scrupoli a farmi del male» incalzò il duca.

«Sei stato tu a provocarmi!» si giustificò mostrando le mani aperte.

Antonio grugnì di rabbia e si gettò di nuovo su di lui, ma questa volta Ottavio si scostò abbastanza in fretta da sottrarsi alla sua presa. Il duca tentò di cambiare direzione e incespicò sul mobiletto caduto; fu costretto a indietreggiare e suo fratello poté portarsi a una distanza più sicura.

«Lo zio aveva ragione. Ha sempre ragione» mormorò astioso.

«Ma ti dice solo ciò che vuole lui» obiettò l'altro, asciugandosi il sangue che gli era colato sul mento.

Antonio, quasi volesse imitarlo, si strofinò il polso sulle labbra e deglutì.

«Torna a sederti» gli ordinò. Ottavio lanciò un'occhiata alle due poltroncine alla propria sinistra e scosse il capo: «Preferisco rimanere in piedi»

Il duca fece una faccia scocciata, ma non insistette.

«Perché sostieni che io debba smettere di confidare nello zio Ferdinando?»

Ottavio si prese il tempo di due respiri profondi e rispose: «Ha cercato di avvelenarmi con delle bacche di belladonna a luglio. Quello che si credeva un colpo di calore, in realtà era effetto del veleno»

Antonio si morse le dita e poi si grattò la guancia: «È una tua supposizione o hai qualcosa di concreto?»

«Ho visto le bacche e un reverendo monaco me ne ha spiegate tutte le caratteristiche. Saprei rispondere all'interrogatorio di uno speziale»

«Lo zio mi direbbe che ti sei informato in vista del mio assassinio. Forse dovrei far perquisire i tuoi bagagli...» insinuò il duca, ma Ottavio non diede mostra di tentennamenti. Ci fu una breve pausa, in cui i due fratelli si guardarono intensamente negli occhi. Si somigliavano più di quanto volessero, avevano entrambi il viso lungo della loro madre e i tratti del loro padre e del nonno.

«Li farò perquisire» sentenziò Antonio. Il duchino annuì senza aggiungere altro.

«Quando non avrai trovato niente, mi ascolterai riguardo allo zio?» disse poco dopo in un sussurro. Il duca corrugò la fronte e alzò le spalle, sistemandosi un polsino.

«C'è da chiarire la morte del capitano della tua scorta, prima»

«Non c'è tempo per un'indagine ufficiale. Ho urgenza che tu mi ascolti subito; altrimenti non ascoltarmi affatto» minacciò Ottavio, dando di nuovo una piega velenosa alle proprie parole. Antonio lo guardò ombroso, irrigidendo la mascella: «Bada a quello che dici, perché potrebbe avverarsi. D'altronde, i morti non parlano»

«Sbagli: ti parlerei molto meglio da morto che da vivo, credo. Allora non avresti più nulla da temere da me e sentiresti più acuto il grido della mia innocenza»

La porta si socchiuse con un cigolio. I fratelli volsero lo sguardo ad essa e distinsero un'ombra al di là dell'uscio.

«Chi è là?» strillò Antonio con un gesto imperioso.

«Uno che si interessa delle vostre discussioni - rispose una voce, mentre la porta si spalancava - E che si professa e confessa impiccione»

Ottavio deglutì al vedere lo zio Ferdinando e quegli occhi gelidi puntati contro di sé. Antonio, invece, trasse un respiro, tornando a scrutare il fratello con aria di superiorità e sdegno.

Ferdinando allora mosse un passo e disse pungente: «Vostra Altezza usa bene la sua eloquenza. Ma non siete né un avvocato né un sacerdote, quindi lasciate che siano altri a sfoggiare il frutto dei loro studi»

Il duchino si morse il labbro, dimentico del taglio causato dalla caduta. Gemette di dolore e il sangue riprese a colargli sul mento.

«Voi sanguinate - osservò il principe, traendo un fazzoletto dalla manica - Prendete, vi prego»

Lo rifiutò, mondandosi con il dorso della mano. Quindi ribatté: «Non dovreste interessarvi di una questione privata. Lasciateci, Eccellenza»

Ferdinando ammiccò e sorrise, rimettendo il fazzoletto al suo posto: «Vedete, un omicidio e una congiura sono argomenti da trattarsi con cautela e riguardano tanto voi quanto me, nelle vesti di consigliere di Sua Grazia il duca»

Ottavio si riservò di non rispondere; non in quel momento, dato che ignorava ancora molte, troppe cose. Strinse i denti e i pugni, dedicando allo zio uno sguardo cattivo, quindi si diresse a passo spedito verso la porta e uscì, dopo che Antonio ebbe ordinato alle guardie di lasciarlo andare libero.

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