Febbraio 1670 pt. 7 *

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La camera gli stava stretta e l'aria gli era irrespirabile. Il cardinale lo guardava dall'alto della sua statura, rimanendo in piedi nonostante i ripetuti inviti a sedersi. Ottavio tese ancora la mano alla coppa e ne prese un sorso. I suoi occhi erano già persi chissà dove, annebbiati dal vino. Era la prima concessione che si prendeva, dopo essersi assicurato che non ci fosse nessun inganno o tranello. Lo zio aveva gli occhi fissi su di lui e si accarezzava il dorso della mano sinistra, si rigirava gli anelli attorno alle dita, sistemava una piega dell'ampio abito rosso.

«Ottavio» lo chiamò con tono fermo, ma il duchino sollevò a malapena lo sguardo per prestargli un poco della sua attenzione.

«Non avete preso nemmeno un goccio, zio» gli disse, permettendosi una certa confidenza, poiché erano soli.

«Non bevo vino senza ragione, e così credevo faceste anche voi» lo rimproverò.

«L'arresto mi sembra un'ottima ragione per berne – borbottò il giovane, traendo la coppa sotto il naso e respirando l'aroma che esalava – Ed è tutto ciò che mi è consentito di fare in questa prigione»

Detto questo, tracannò d'un sorso il vino. Poi appoggiò la coppa sul tavolino accanto alla sua poltroncina e si lasciò scivolare tra i braccioli di legno intagliato.

«Mi duole vedervi così» disse il cardinale, portandosi di fronte a lui. Non avrebbe mai creduto di trovarlo un giorno tanto sconfortato e disilluso.

«Vi dorrete quando mi vedrete sul patibolo» singhiozzò Ottavio. I suoi occhi già lucidi si inumidirono ulteriormente, finché una lacrima ruzzolò oltre il ciglio.

«Non ci sarà alcun patibolo per voi – ribatté Giovanni Maria, tirandosi appresso lo strascico della veste – Avete protettori potenti, più potenti di me. È necessario che ci impegniamo a raggiungere il nostro obiettivo»

«Ma loro vogliono la mia testa su un piatto d'argento. Perdonate la blasfemia, Eminenza» replicò con sarcasmo. Quindi tese la mano alla bottiglia di vino accanto alla coppa, ne controllò la misura rimanente e, dispiaciuto, si apprestò a servirsene un altro boccale. Il cardinale, rapidissimo, gli sottrasse la coppa e gli intimò di smettere. Ottavio lo guardò con ira mal celata, poi soppesò la bottiglia e, imprevedibilmente, se la portò alle labbra, vuotandola sotto gli occhi dello zio sbigottito.

Quando l'ebbe finita, la impugnò per il collo e rantolò: «Allora portatemi qui Galatea» e scagliò la bottiglia da un lato. Quella si infranse, i cocci schizzarono in tutte le direzioni, ma nessuno dei due uomini se ne spaventò.

«Guardatevi: a tanto vi riducete? A mendicare i piaceri della carne, vino, donne, in un momento in cui dovreste fare appello alle vostre migliori virtù?» lo riprese il cardinale, facendoglisi vicinissimo.

«Le mie virtù mi condurranno alla morte, zio – reagì, quasi ringhiando – Avreste dovuto convincere mio padre a lasciarmi in quel seminario!»

Il cardinale reclinò un poco il capo, atteggiandosi meno duramente: «Non fu un'idea di vostro padre; fu mia. Fui io a consigliargli di agire in questo modo, e anch'io pregai il pontefice di assecondare la sua richiesta»

Ottavio cedette alla pressione e scoppiò a piangere miseramente, nascondendo vergognoso il volto tra le mani tremanti, biascicando parole confuse. Il cardinale gli accarezzò la testa e, imbonito, lo rassicurò: «Ho agito pensando di fare il bene della nostra famiglia e anche il vostro. Non tutti coloro che vengono fatti crescere in seminario garantiscono di diventare buoni pastori, e non per mancanza di zelo o dedizione: semplicemente, la loro missione è un'altra. Non possiamo riuscire in altro che in quello per cui il Signore ci ha mandati. Non fatevene un cruccio: voi siete al mondo non per celebrare i sacri riti, ma per dirigere le sorti del ducato. Tutta la vostra persona manifesta questa vocazione, ve l'ho già detto»

«Io intendevo seguire voi» lo interruppe Ottavio, scostando un poco le mani. Era una frase che gli aveva ripetuto più volte al monastero, sempre declinata dallo zio a favore di argomenti convincenti.

«Meglio un buon laico per vocazione che un cattivo sacerdote per forza» sentenziò l'altro, accarezzandogli nuovamente i capelli.

«Non sarei stato cattivo» piagnucolò.

«Volete che vi porti vostra moglie? La farò venire, se sentite la necessità di averla accanto a voi» propose il cardinale.

Ottavio singhiozzò ancora per qualche istante, poi prese profondi respiri e infine si trattenne anche dal respirare. Si passò una mano sulla fronte, si stropicciò gli occhi, chinò il capo: «No, non fatela venire. So che si trova al sicuro»

«Ora vi riconosco, nipote mio – sospirò, dandogli una pacca sulla spalla – Fatevi animo: il processo non verrà avviato se riuscirete a parlare chiaramente a vostro fratello. Ricordate la soluzione su cui abbiamo trovato l'accordo, voi e io. Se gliela proporrete, sicuramente vi ascolterà. Garantitegli il mio sostegno, nel caso volesse assicurarsi che non intendete ingannarlo. Lasciate solo che a preparare il vostro colloquio pensi io»

Ottavio scrollò la testa con espressione sofferente e accettò, appoggiandosi allo schienale.

Il cardinale richiamò la sua attenzione e, quando l'ebbe ottenuta, gli confidò in un sussurro: «Scordatevi bottiglie come questa al vostro colloquio» 


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