Marzo 1670 *

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Non era una cravatta quella che gli stringeva il collo, sembrava piuttosto un cappio, ed era molto difficile, in quel momento, distogliere i pensieri dal ricordo della sua prima notte con Galatea; la prima notte d'amore, beninteso, in occasione della quale lei si era premurata di liberarlo da un'inutile costrizione dettata dalla moda. Avrebbe voluto averla con sé anche in quel frangente terribile, perché il pericolo, oltre ad angosciarlo, lo riempiva di bisogni istintivi e prepotenti: il desiderio, accresciuto dalla lunga astinenza, lo torturava. Spesso rimediava alla realtà con i sogni, svegliandosi stanco e confuso, oltre che amareggiato dall'inganno dei sensi e da un piacere che era stato tutto frutto dell'immaginazione. Se fosse stata lì...

Non doveva pensarci. Non in quel momento. Non doveva pensare a tutto ciò che gli sarebbe piaciuto fare, lecito o meno che fosse. La fantasia gli proponeva cose insolite, cose cui non aveva minimamente pensato prima di allora, e che ora bramava mettere in atto. Poi si soffermava a riflettere su Galatea e su quanto le volesse bene e la rispettasse; ciononostante, la passione cresceva insieme alla percezione del pericolo.

In quel momento, inoltre, qualsiasi distrazione doveva essere accantonata: suo fratello il duca sarebbe sopraggiunto a breve. Allora avrebbe dovuto imporre un prudente sangue freddo al proprio corpo e alla propria mente, per scegliere accuratamente le parole da dire e moderare la gestualità. Nel loro primo colloquio, interrotto dal brusco intromettersi dello zio, aveva sbagliato approccio, inimicandosi subito Antonio. Questa volta non avrebbe corso lo stesso rischio e avrebbe palesato immediatamente il piano che gli frullava in testa, anche a costo di essere messo sotto accusa e mandato ancora più velocemente al processo e al boia.

Pian piano, la calma tornò sovrana dei suoi muscoli, la mente si sgombrò di immagini impudiche e pensieri lascivi, lasciando spazio al silenzio interiore che precede la battaglia e che solo i veri guerrieri conoscono. Respirava con un ritmo più lento e più profondo del solito; rimandava a memoria un salmo, sussurrandone talvolta le parole più dense di significato. Giunse le mani all'altezza delle labbra, aprì gli occhi e fissò un punto indefinito davanti a sé. I battiti del suo cuore erano l'unico rumore che interrompeva a intervalli regolari la sua quiete. Le orecchie sembravano voler scoppiare, mentre la gola si chiudeva alla base del collo.

Antonio entrò senza bussare, com'era suo uso fare fin dalla giovinezza: d'altronde Ottavio era suo fratello, la parentela giustificava tale confidenza. E Ottavio, dopotutto, sapeva che non si sarebbe fatto annunciare per coglierlo impreparato. La sorpresa, quindi, fu tutta del duca, quando scorse il giovane prigioniero in un angolo, elegante e rilassato, alzare leggermente il capo e rivolgergli un cenno pieno di rassegnazione e saggezza. Deglutì, ingoiando con la saliva l'arroganza che, fino a un attimo prima, era risoluto a dimostrare.

«Come stai?» domandò, senza rendersi davvero conto di averlo fatto. Chiuse la porta dietro di sé e girò la chiave nella serratura finché essa non si incastrò. A quel punto Ottavio gli aveva già risposto: «Mi vedi, ecco come sto»

In effetti, Antonio convenne che c'era poco da dubitare del suo stato: era emaciato, frustrato e, appunto, rassegnato. Quelle mani giunte sul petto conferivano al duchino una certa aria di martirio, e quel suo guardarlo di tre quarti sembrava indurlo a pensare al ritratto di un morto.

«Credimi, se potessi non lo farei... Mi ci hai costretto» si scusò, come se il suo arresto non dipendesse da colui che reggeva il destino di ogni singolo abitante del ducato. Ottavio sorrise di amarezza: «Hai ragione: avrei dovuto rivelarti molto tempo fa quello che voglio rivelarti adesso. Ma ormai sarà comunque troppo tardi»

«Il nostro tempo è prezioso – lo rimproverò Antonio – Usiamolo per discutere di cose serie, e non per rimpiangere il passato»

Ottavio gli indicò una poltroncina e, senza aspettarlo, prese posto sulla propria.

«Lo zio mi ha severamente proibito di offrirti del vino, questa volta, perché teme che il nostro sangue si scaldi troppo» spiegò alzando un poco le spalle.

«Difetti di famiglia» ribatté Antonio, liquidando in fretta i convenevoli.

«Sono qui con una proposta che avrei dovuto farti tempo fa: ti confesso che, se non te ne ho parlato prima, era perché credevo che fosse possibile trovare un equilibrio a prescindere da questa possibilità. Dato il fatto, però, che così non è stato per via di certe intromissioni poco gradite, sono qui a metterti a parte di una faccenda che spero incontri il tuo favore, ma che ti prego di valutare con pazienza»

Antonio annuì, assumendo un'espressione molto interessata. Accavallò le gambe e si prese il mento fra le dita, accennandogli di continuare.

«Io non aspiro a diventare duca. Non voglio le responsabilità, gli onori, le delizie del titolo. Potrai non crederci, perché la vita di corte ti ha insegnato, giustamente, che la maggior parte delle persone aspira solo a raggiungere il maggior potere possibile. Io, però, sono cresciuto in tutt'altro ambiente con preoccupazioni del tutto diverse e non desidero assolutamente ciò che non mi appartiene. Oggi, al tuo fianco, hai un uomo che credi tuo alleato, mentre non fai che nutrire il tuo assassino: colui che ha fatto uccidere Luigi e che, presto o tardi, farà uccidere me»

Antonio fremette, chiudendo i pugni: «Ti ho già detto di non muovere accuse allo zio Ferdinando senza prove certe e inconfutabili»

Ottavio batté rapidamente le palpebre e lo corresse: «Non ho bisogno di portarti prove: quelle che potevo darti, le ho date e non mi hai creduto. Ciò che ti proporrò danneggerà inevitabilmente i miei interessi e sta' certo che nessuno lo accetterebbe se non per allontanare da sé qualcosa che non vuole. Lo zio, appena lo saprà, farà fuoco e fulmini pur di non farmi mettere in atto il piano. Questo ti proverà che il suo attaccamento è tutto per il titolo e non per te»

«Avanti allora, ti metto alla prova»

Ottavio prese un respiro più profondo dei precedenti, chiuse gli occhi e si massaggiò le palpebre.

«Tu hai un figlio, Antonio – sussurrò a fatica – Un bambino di tre anni, credo. Vive in campagna e ignora le sue origini. Sua madre, però, sa di chi sia figlio. E tu l'hai segretamente riconosciuto, ma nostro padre vi ha costretti entrambi al silenzio. Ora io intendo fare di tuo figlio il tuo erede legittimo»

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