Marzo 1670 pt.2 **

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Antonio sbiancò tutto d'un colpo, stringendo i braccioli della poltroncina.

«Come fai a saperlo con tanta certezza? Conosci le mie condizioni, quindi ora dimmi se ti stai prendendo gioco di me o se stai parlando per metafore» bofonchiò con la voce improvvisamente strozzata.

«Non sto mentendo e lo sai bene quanto me – rispose Ottavio, ma il suo tono era debole e un po' acuto – Me l'ha detto lo zio Giovanni, a cui l'ha detto nostro padre mentre viveva. E gli disse che, se non fosse stato per il tuo incidente, te l'avrebbe anche fatta sposare con i dovuti modi, ma la tua condizione ti impedisce qualsiasi legame coniugale»

«Lei era sufficientemente nobile per essere accettata quale mia sposa – lo interruppe – Ma quel maledetto cavallo ha dovuto cadermi addosso!»

La furia, tratto tipico del carattere del duca, colorava di rosso le sue guance nonostante la cipria. Ottavio distolse gli occhi per risparmiarsi di vedere il fratello così scosso, ma dovette sostenerne la vista per riprendere a parlargli: «Lo zio perorerà la tua causa: riconoscerai ufficialmente tuo figlio e lo farai educare per ciò che è. Io non sarei più il tuo erede diretto e la tua discendenza siederà sullo scranno dei nostri antenati»

Antonio respirava forte con gli occhi sbarrati e fissi, gli occhi di un matto. Ma la proposta si faceva strada nella sua mente e vi metteva radici come un'edera infestante. Presto, molto presto, cominciò a intravedere le diverse opportunità e a ricordare l'affetto che aveva nutrito, negli anni giovanili, per colei che era diventata madre di suo figlio lontano da lui e che, per tacere, aveva accettato di vivere distante dai luoghi vivaci in cui era cresciuta.

«Si tratterà comunque di un bastardo – obiettò puntando un dito contro Ottavio – Nessuno lo accetterà come mio successore»

«Io lo farò» affermò il duchino guardandolo intensamente, sfidando quell'indice che lo incriminava. Antonio ritrasse la mano e ristette: «Lo zio Giovanni è sicuro di poter fare qualcosa?»

«Farà certamente tutto il possibile e mi ha esortato a ben sperare: il tuo primo riconoscimento risale a pochi giorni dopo la nascita del bambino, quando ancora non si immaginava cosa sarebbe successo dopo...» spiegò, affievolendo via via la voce.

Il duca rimase perplesso, era chiaro che qualcosa non lo convinceva fino in fondo: «E se fosse un piano per inimicarmi l'imperatore e farmi deporre?» insinuò con ferocia nel momento stesso in cui l'ipotesi si presentò alla sua mente.

Ottavio allargò le braccia e rimase per un attimo senza parole, senza rassicurazioni, poi si risolvette a tentare il tutto per tutto: «Non accadrà, ma se dovesse, io non accetterò di succederti. Qualora non bastasse, sono pronto a morire per dimostrarti la mia onestà»

Lo guardò fisso negli occhi per tutta la durata del suo giuramento e lo vide farsi esitante sempre di più. Alla fine il duca lo pregò di non spingersi a tanto: «Lo zio Giovanni non permetterebbe mai che ti accadesse qualcosa di male» osservò. Dopodiché riprese a massaggiarsi il mento con aria corrucciata, mordendosi il labbro.

«Come si chiama?» domandò Ottavio.

«Corrado – rispose Antonio, sovrappensiero – Come nostro padre»

«Come suo nonno...» lo corresse sorridendo.

Il viso del fratello maggiore si rabbuiò di nuovo. Chino, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, il duca sembrava compiere uno sforzo sovrumano per soppesare vantaggi e svantaggi della nuova prospettiva. Di tanto in tanto gettava un'occhiata al fratello minore, ma subito distoglieva lo sguardo per concentrarsi sul ragionamento logico, che non era esattamente la sua dote migliore. Infine: «Cosa mi suggerisci di fare? – domandò, appoggiandosi allo schienale, e poi aggiunse – So di non essere astuto come te, perciò...»

Ottavio ammiccò e rispose: «Comportati come vorrebbe lo zio Ferdinando: non deve sospettare del nostro piano. Bada solo di non farmi correre troppi rischi... Comprendi, vero?» e concludendo si sfiorò la gola in un gesto scaramantico.

«Certo! Comincerò col revocare l'arresto; non credo che susciterà dissenso, visto che in ogni caso non si passa facilmente inosservati a corte. Se lo zio avrà da ridire, gli spiegherò che mi hai giurato di non fuggire – lo rassicurò Antonio; e scherzò – La tua testa, adesso, mi serve attaccata a tutto il resto del corpo. Almeno finché la possibilità di questa legittimazione sarà valida»

«Capisco – ribatté un po' più pallido – Lo zio Giovanni fingerà di partire per Vienna a supplicare la pietà dell'imperatore, ma in realtà vi andrà per convincerlo ad accettare tuo figlio come erede. Da lì, a seconda di come si metteranno le cose, scriverà a Roma. I suoi argomenti dovranno essere convincenti, ma nutro una grande fiducia in lui»

Antonio si mise più comodo e storse la bocca mentre rifletteva su qualcosa che non doveva convincerlo fino in fondo. Poi: «Ammetterai, però, che non basta la fiducia nello zio ad assicurarci che questa follia inaudita venga accolta... Potrebbe creare un precedente non indifferente»

«Lo so, ma è tutto ciò che riesco a escogitare per tagliare fuori lo zio Ferdinando, o, almeno, per smascherarlo» convenne Ottavio, grattandosi la nuca.

«Scriverò a Sofia dicendole di ritirarsi in un luogo appartato e sicuro; le manderò un piccolo contingente a farle da scorta. Se penso a quanto tempo è passato dall'ultima volta che l'ho vista... maledetto cavallo!» imprecò il duca battendo il pugno sul bracciolo. Ottavio sospirò, volgendo lo sguardo alla finestra. Antonio lo vide e commentò: «Adesso capisci quanto sia penoso vivere come me dopo che si è amata una donna?»

Il duchino chiuse gli occhi con un secondo sospiro e rabbrividì: «Posso sopportare questa pena; ma costa fatica, soprattutto quando si teme di non rivederla mai più...»

Antonio sorrise scontato: «Nulla mi vieta di aiutarti. Con un po' di fortuna, lo zio non se ne accorgerà»

Il fratello maggiore, a propria volta, si immerse di nuovo nei ricordi e solo dopo una buona pausa di silenzio si mise più ritto sulla poltroncina e intrecciò le dita sulla pancia.

«E dunque l'hai amata, alla fine, la tua mercantina...». Questa volta non c'era intenzione di beffa nelle sue parole e Ottavio non volle sentirsi offeso, limitandosi a rispondere un sì pieno di malinconia.

«Se hai preso dal lato buono della famiglia, come me, non dovrebbe essere rimasta dispiaciuta dall'esperienza» scherzò Antonio, rilassandosi.

Anche il duchino sorrise: «Non si è mai lamentata – ammise, scrollando le spalle, ma proseguì subito – Non diventare impertinente, ora»

«Non voglio esserlo, mi piace solo parlare di queste cose. Se non ti va...» ribatté fregandosi le mani.

Ottavio lo guardò con complicità e confessò: «Prima stavano tutti ben attenti a parlare con me di "queste cose", ma ora sembra che tutti ne vogliano fare dei gran discorsi»

«Sei un perfetto uomo del secolo, ora: abituati a certe confidenze maschili»

Il sorriso del duchino si spense in fretta e i suoi occhi si fecero più tristi.

«Non parliamo di lei, non in questo modo, non ora...» sussurrò, piegandosi in avanti. Il duca lo guardò con partecipazione e sospirò: «Ti prometto che la rivedrai, Ottavio... Nel frattempo, se vuoi, posso proporti qualche fanciulla di mia conoscenza, una di quelle affidabili, che non ti rifiuterebbe...»

Ottavio respirò intensamente: «Nessuna è Galatea»

«Certo che no – insistette l'altro – Ma ci sono esigenze che gli uomini hanno e le donne non capiscono...»

Ottavio insistette nel distogliere la mente da quell'obiezione così naturale. Chiuse gli occhi e se la vide davanti, bella e giovane e vergine, avrebbe voluto stringerla forte e sentire le loro carni una contro l'altra, respirare il suo profumo inebriante e baciarle ogni lembo di pelle. Fremette e si alzò in piedi di scatto, le dita immerse nei capelli: «Tea!» gemette sottovoce. E Antonio pensò che stesse per impazzire.    

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