Gennaio 1669

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Galatea si girava e rigirava sotto le spesse coperte di lana. Anche nel sonno, la sensazione familiare di una presenza la infastidiva. In un primo momento cercò di ignorarla, di spingerla ad andarsene con il suo disinteresse. Eppure quella sensazione restava lì, pesante sul suo respiro, gelida sulla sua pelle. Non sapeva cosa fosse in procinto di accadere, ma sarebbe stato qualcosa di brutto.

La sgradevole sensazione, alla fine, la vinse. Galatea si mise seduta sul materasso con un solo rapido movimento. La camera era del tutto buia, le tende erano tirate e le candele tutte spente. Quando le capitava di svegliarsi in piena notte, la prima cosa che soleva fare era guardare fuori dalla finestra per intuire quanto mancasse ancora all'alba. E così fece anche quella notte, brancolando nell'oscurità finché ritrovò tra le dita lo spesso tessuto della tenda. La scostò leggermente, quanto bastava per scoprire la maniglia. Aprì la finestra e un alito freddo la investì in pieno volto, destandola completamente dal torpore del sonno. Ruotò il chiavistello degli scuri e aprì uno spiraglio per guardare fuori. La sua stanza, da quel lato, dava verso l'esterno del palazzo, verso la città oltre i cancelli. Una strada in particolare era ben visibile da quella posizione, la strada che conduceva a un'entrata secondaria, usata da fattorini e servitori e anche da chi volesse passare più inosservato. La luce non era intensa, tuttavia, pensò Galatea, era decisamente prossima l'aurora. L'occhio faticava a distinguere i contorni delle case, dei tetti e la stessa linea dell'orizzonte. Per concentrarsi su qualcosa di più puntuale, Galatea si mise ad osservare un gruppo di tre uomini ammantati che proveniva dalla città diretto a passo veloce verso l'entrata secondaria. I tre le sembravano parlare animatamente tra loro, ridere e scherzare, sebbene non le arrivasse nessun suono, tanto erano lontani. Ben presto subentrò la curiosità, e Galatea si concesse di rimanere a spiare quei tre che si avvicinavano, nella speranza di riconoscere volti noti alla luce di una piccola lanterna che uno di loro teneva avanti a sé. Già gustava il sapore del pettegolezzo, avanzando tante ipotesi sulla loro identità.

Solo dopo qualche minuto di osservazione si accorse che quei tre non erano soli sulla strada. Una figura nera era appostata poco distante, coperta da un muretto mezzo crollato. Dava l'impressione di attenderli con non buone intenzioni. I tre si avvicinavano passo dopo passo e l'altro si preparava ad uscire allo scoperto. Galatea pensò che potesse trattarsi di un ladruncolo di strada, benché l'idea non la convincesse fino in fondo. Rimase alla finestra con il fiato sospeso, la mano stretta sul collo della camicia da notte, per proteggersi dall'aria fredda. I tre uomini avanzano baldanzosi, l'altro aspettava nell'ombra. La luce era già cambiata, ma Galatea non se ne accorse. Presto sarebbero arrivati i fattorini per portare il pesce fresco, e le strade si sarebbero popolate dei mendicanti che ancora dormivano nei loro rifugi improvvisati. Ma in quel momento il mondo era abitato da cinque persone in tutto, lei compresa, e solo queste cinque persone le interessavano.

Ormai erano vicini e l'uomo scattò dal nascondiglio e si gettò contro i tre. Alzò un braccio, lo abbassò con furore, cadde a terra e insieme con lui quello dei tre che stava in mezzo. Zuffa, calci e pugni, poi anche una seconda persona si trasse da dietro il muretto e si scaraventò sul ferito. Non era armato, questo secondo personaggio, ma aveva più foga di tutti gli altri messi assieme. Il suo arrivo non portò sconvolgimenti: il feritore infieriva sulla sua vittima mentre i due rimasti in piedi, scossi e spaventati, facevano il loro meglio per allontanarlo. Il secondo assalitore era chino sul ferito, che non si muoveva più. Galatea trasalì, ma la sua voce non andò molto più in là delle sue labbra.

Alla fine i due riuscirono a immobilizzare l'uomo armato di pugnale, a sollevarlo e a gettarlo sul ciglio della strada.

"Perché non fermano anche l'altro?!" rabbrividì Galatea "Perché non lo trascinano via?!"

Lo vide, vide quel secondo uomo sollevare la testa dal petto del ferito e mondarsi la bocca con il braccio. Istintivamente si buttò all'indietro, nauseata. Si trovò a piangere a dirotto, a gemere e tremare senza sapersi porre freno. Soppresse un conato di vomito premendosi la mano contro le labbra e trattenendo il respiro.

"Ho sognato!" si disse "E' solo un sogno, solo un sogno!"

La pace silenziosa della stanza strideva conl'agitazione della sua anima. Le guance le prudevano per via delle lacrime, lemani erano fredde contro la pelle del suo viso e gli occhi ciechinell'oscurità. Passò del tempo prima che Galatea riuscisse ad accostarsi unaseconda volta alla finestra. Scostò lo scuro quel tanto sufficiente apermetterle la vista della strada: ciò che vide, dapprima, fu un piccolo gruppodi persone radunate nel punto dove si erano svolti i fatti. Leggermentediscosti si trovavano l'assalitore e due guardie del palazzo che lotrattenevano per le braccia. Nessuna traccia del secondo uomo.

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