Fine dicembre 1668

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Le sembrava di aspettare da un sacco di tempo, mentre non era passata che una decina di minuti dal momento in cui le avevano detto di pazientare, che Bice sarebbe arrivata a salutarla da un momento all'altro. Non stava in sé dalla gioia e dalla curiosità: il matrimonio del giorno prima era stato sfavillante, quasi principesco, e la sua amica era raggiante, coronata di perle e cinta da una cintura di piccolissimi diamanti, dono nuziale della duchessina. La corte, che aveva appena celebrato le festività natalizie, aveva partecipato con rinnovato entusiasmo alla cerimonia. Solo la famiglia ducale era rimasta assente, con l'eccezione di Eleonora e di sua sorella Maria Teresa.

Vincenzo Monteni era un bravo ragazzo, pacato e accomodante, forse un po' più basso della media, ma non più basso di Bice, e questo a lei bastava. Avevano avuto modo di parlarsi durante il fidanzamento e, da quanto le confidava, Galatea aveva capito che, sebbene non ci fosse amore, c'era stima reciproca, rispetto e simpatia. Bice, alla fine, era sinceramente euforica all'idea di sistemarsi; e il partito non dispiaceva né a lei né ai suoi parenti. Dall'altra parte nessuno aveva avuto di che lamentarsi.

Galatea aveva asciugato qualche lacrima quando, la mattina, si era svegliata sola in quella che ora le sembrava una grande stanza vuota. Sola aveva recitato le preghiere, sola si era vestita e pettinata. E sciacquandosi il viso non aveva potuto fare a meno di notare che al suo dito mancava ancora l'anello di fidanzamento. Poi la curiosità aveva vinto le titubanze e l'aveva condotta fino alla camera nuziale. Giunta lì, una serva le aveva detto che gli sposi erano svegli e avevano già ricevuto la visita di entrambe le famiglie. E, proprio a causa della presenza di altri ospiti, in quel momento la sposa non avrebbe potuto dedicarsi a lei. Avrebbe dovuto aspettare, ma non così a lungo.

Nell'attesa, Galatea si scostò dalla porta, per evitare di essere scambiata per una spiona, e andò a sedersi su una seggiola da cui guardare il panorama fuori dalle grandi finestre del corridoio. Vedeva i giardini, dove qua e là si scopriva ancora un piccolo cumulo di neve marrognola: era nevicato qualche settimana prima, ma non era stato di troppo disturbo.

«Tea!»

Bice era sopraggiunta in punta di piedi per farle una sorpresa. E Galatea, colta alla sprovvista, era scattata in piedi e poi si era lanciata sorridente nell'abbraccio che l'altra le offriva.

«Mi sembra di non vederti da un'eternità... Ti vedo già diversa, Bice!» esclamò, schioccando un bacio sulla sua guancia paffuta.

«Non dire così. Mi fai sentire vecchia!» ribatté lei ridendo e schermendosi con la mano.

«Allora?» domandò, piena di aspettativa. Bice chinò la testa arrossendo e disse soltanto: «Sono contenta, Tea, perché lui mi vuole bene davvero e non avrei potuto sperare nulla di meglio»

Galatea batté le mani e la abbracciò di nuovo, con l'ansia, questa volta, di vedersela strappare via. Venne sopraffatta dal timore di perderla e si lasciò sfuggire uno o due singhiozzi; Bice le accarezzò dolcemente le spalle.

«Anch'io ho pianto, Tea» confidò sottovoce, come se avesse paura che qualcun altro le sentisse.

«Non voglio rimanere sola, Bice»

«Non succederà, vedrai. Abbi fiducia, Tea» continuò, mentre una lacrima le solcava la guancia.

«Sono tanto contenta per te, e guarda come te lo dimostro!» gemette, stringendola più forte. Era vero, Bice non era più la stessa, non più. Lo capiva dal modo in cui i loro corpi si toccavano, dal modo in cui lei la accarezzava, dal modo in cui bisbigliava. Tutto in lei era cambiato in una notte.

«Tea, non potresti farmi capire che mi vuoi bene se non così!» la rassicurò sorridendo. Anche i suoi occhi si volsero alle distese dei giardini, agli arbusti sempreverdi e agli steli spogli.

«Sai, pensavo di svegliarmi già a primavera. Invece è ancora inverno» disse alla fine. Galatea annuì e si scostò con discrezione, come allontanandosi da qualcosa che non si possiede più e che non si riconosce più. Il suo cuore piangeva ancora, ma i suoi occhi avevano riacquistato la scintilla della curiosità.

«Vuoi fare una passeggiata? Se tuo marito è d'accordo...» domandò e Bice scoppiò a ridere, accettando.

«Così potremo parlare più liberamente» concluse.

*

La chiacchierata le aveva lasciato qualcosa, ma Galatea non capiva bene cosa. Invidia? Sollievo? Timore? Bice parlava tranquillamente di cose di cui prima si sarebbe vergognata; ne parlava come se fossero le cose più naturali del mondo, come se fossero passati molti anni dal giorno del suo matrimonio e non una sola notte. Forse sì, forse era proprio invidia: invidia per il modo in cui Bice parlava con distacco di cose che avrebbero dovuto muovere tutta la sua persona in una piacevole armonia. O almeno, così Galatea aveva immaginato. Forse provava anche un po' di sollievo a sentire il tono pacifico della sua voce. Sembrava quasi imperturbabile, separata dalla vita, una spettatrice di teatro che applaude raramente, perché raramente ciò che vede la spinge ad esternare i sentimenti. L'entusiasmo del giorno prima era cosa lontana, un'eco che talvolta faceva capolino nel modo in cui pronunciava il nome di lui, o mentre raccontava. Il timore, invece, era tutto di Galatea, ed era tutto legato al suo essere tagliata fuori da quel racconto; lei non c'era. Bice non aveva mai accennato a lei. Galatea pensò di essere stata invisibile durante la cerimonia, il banchetto e tutto il resto: possibile che non avesse neanche una parola per lei? Solitamente era il contrario: Galatea era abituata ad affiorare in ogni discorso di Bice, così come era vero anche l'opposto, cioè che Bice era sempre protagonista dei discorsi di Galatea. Vincenzo Monteni era un intruso sorto da un luogo non ben precisato e aveva espanso la propria figura fino ad ingombrare tutto lo spazio disponibile nella mente di Bice, scalzandovi Galatea, che era stata la sua migliore amica, colei che l'aveva consolata ed esortata nell'imminenza del grande passo. Bice non aveva nulla da condividere con lei riguardo a quei momenti: raccontare era un moto egoistico e spontaneo, necessario a rivivere un'esperienza che dava piacere. E non si accorgeva di ferire i suoi sentimenti, perché troppo impegnata a coltivare i propri.

Quando si separarono, Galatea si sentì quasi liberata da una presenza fastidiosa. Si pentì subito di quella sensazione: Bice non aveva colpe per l'atteggiamento di quella mattina. Forse era ancora presto per tornare a parlare, forse era il momento di muovere un passo di lato e lasciare il giusto spazio a una giovane donna sposata. Il loro legame non si sarebbe sciolto, ma si sarebbe adattato a nuovi confini. Per la seconda volta Galatea si guardò le dita: Bice le aveva mostrato tutta orgogliosa l'anello nuziale e lei l'aveva accarezzato con un misto di ammirazione e superstizione.

"Buona giornata, madama Monteni" le aveva detto per salutarla.

"Buona giornata, madamigella" aveva ribattuto Bice.

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