Gennaio 1669 pt. 4

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Il lutto scese sul ducato; vennero celebrati i funerali del duchino e il duca in persona si assunse la responsabilità di crescere i nipoti rimasti senza padre. La giovane vedova non aveva fatto altro che struggersi battendosi il petto per tutta la funzione, ufficiata solennemente da tutti i religiosi presenti a palazzo e presieduta dal vescovo accorso dalla sua sede.

«Bel modo di iniziare il nuovo anno» borbottò qualcuno tra la folla di cortigiani durante il corteo verso la cappella di famiglia del duca. La bara fu tumulata e ricoperta di terra prima che le campane suonassero il mezzogiorno. Tutte le udienze, tutti i consigli furono rimandati alla settimana dopo. Insieme al buio della tomba, sul ducato era calato un manto nero di lutto.

*

La piega degli avvenimenti era drasticamente scivolata nel dramma. L'orfanello, fornito di tutti i diritti necessari, venne immediatamente insignito del titolo di erede al trono, e il giovane zio, il duchino Antonio, risalì la linea di successione. Eppure le voci a palazzo si sollevarono senza pudore, deridendo già il futuro reggente. Avevano motivi tanto fondati per farlo che il duca, la cui salute era ormai compromessa dal mal francese, richiamò il figlio terzogenito dal seminario in cui attendeva di ricevere nel giro di un anno gli ordini sacri. Il loro primo colloquio fu lungo e da quel momento continuarono a incontrarsi tutti i giorni per la settimana seguente. C'era chi diceva che insieme pregavano per la salute del fratello maggiore; c'era chi invece sospettava che i due volessero disfarsi di quell'elemento così scomodo per assicurare una discendenza alla famiglia. Tutti ugualmente, però, dovevano constatare che la morte del primogenito, voluta o meno da chi gli era ostile, era stata una vera e propria catastrofe per la dinastia: qualcuno dava già per morta la famiglia e piangeva non solo il primogenito, ma tutti i fratelli che non gli erano sopravvissuti e che avrebbero saputo dare discendenza sicuramente meglio di un eunuco e di un prete.

Che poi, bisbigliavano le malelingue nei saloni, molti prelati si erano dimostrati all'altezza di arricchire le proprie dinastie meglio di tanti loro parenti laici, e non solo di onori e benefici; tuttavia, il carattere schivo e modesto del figlio terzogenito, che non si mostrava volentieri alle folle di cortigiani e preferiva passare, ammantato nella sua tonaca, per i corridoi meno frequentati, ben si adattava all'immagine di inetto che la fazione a lui avversa voleva cucirgli addosso.

Nonostante questi seminatori di zizzania, il duca continuò a convocare il figlio in privato; il duchino Antonio aveva manifestato più volte il proprio disappunto, addirittura insistendo per lettera con lo zio cardinale perché affrettasse la procedura di ordinazione del fratello. Il duca, nella sua sofferenza, rimaneva sulle proprie posizioni, fermamente convinto di non voler rivelare ad anima viva i contenuti dei suoi incontri. La duchessa, devastata dal dolore per la perdita del figlio maggiore e consapevole che il tempo del marito stava per esaurirsi, si dedicava al suo secondogenito cercando di lenire la sua frustrazione.

Le duchessine piccine, troppo giovani per comprendere il peso degli eventi che si abbattevano con tanta violenza sui loro cari, furono allontanate dal palazzo per evitare loro l'agonia del padre e la difficile ascesa del nipotino. Quanto ad Eleonora, le cui trattative matrimoniali, per via delle tragiche circostanze, si erano nuovamente arenate, ella si gettò a capofitto nell'organizzare il fidanzamento delle ultime due damigelle rimaste nubili: Tessa e Galatea. La prima godeva talmente della predilezione della duchessina che quest'ultima aveva atteso a lungo per individuare un pretendente all'altezza: infine sembrava averlo trovato nel primogenito del marchese Dosi. Le contrattazioni andarono a buon fine, le famiglie degli sposi risultarono soddisfatte e in breve tempo fu fissata la data del matrimonio. Per Galatea, Eleonora non sarebbe stata così selettiva, ma le si opposero una serie di rifiuti contro cui non poterono nulla né l'ingente dote offerta dal padre di lei né le insistenze della duchessina: nessun nobile voleva veder mescolato il proprio sangue con quello della figlia di un ricco mercante. Galatea non accoglieva certo i rifiuti con sufficienza, ma nemmeno si lasciava abbattere. Le sue doti erano riconosciute, anche se talvolta di malavoglia, da chiunque avesse avuto a che fare con lei; era perciò fiduciosa che un buon partito lo si sarebbe trovato anche in una situazione di estrema instabilità come quella.

Alla fine, un giovane nobile parve avere avuto un colpo di fulmine e si presentò di persona alla duchessina Eleonora chiedendo la mano della sua ultima protetta rimasta nubile. Si trattava di Niccolò Damiani, un cadetto di famiglia importante. Eleonora, senza pensarci due volte, entusiasta di essere infine riuscita nel suo intento, mandò a chiamare la fanciulla e, quando questa arrivò, le prese la mano destra, consegnandola a Niccolò.

«Vi ho trovato un marito, Galatea - disse, parlando dolcemente come mai prima d'allora rivolta alla damigella - Vedete che la Provvidenza non abbandona mai chi sa pazientare»

Galatea sorrise a Niccolò e lui inclinò leggermente il capo avanti.

«Conto di potervi chiamare moglie molto presto, madamigella» affermò, gonfiando il petto. E Galatea, arrossendo, gli confessò di nutrire le medesime speranze.

*

«Ho scritto personalmente ai vostri genitori - diceva in quel frangente Eleonora, guardando dritta negli occhi la sua damigella - E questa mattina mi è giunta la loro risposta. Si dispiacciono di non poter essere qui a trattare di persona del vostro matrimonio e delegano a me questo compito. Quanto a voi, messer Damiani - continuò, rivolgendosi a Niccolò che sedeva dall'altra parte del tavolo - Essendo voi maggiorenne vi rappresenterete da solo. Dunque, la somma della dote è stata fissata e voi, se non sbaglio, intendete accettarla senza discutere»

«L'accetto, infatti, Vostra Altezza» confermò lui, gettando uno sguardo a Galatea.

«Molto bene. Trovandoci in questa spiacevole congiuntura, io vi pregherei di stabilire una data la più prossima possibile, in quanto il duca, mio padre, - e la sua voce, nel parlare, vacillò - il duca non gode di buona salute. Io vorrei che prima dell'ascesa di mio nipote voi vi trovaste sposati. Temo che la mia permanenza a corte, da questo momento, sarà breve, perché conto di maritarmi io stessa entro poco tempo. Per questi motivi, vi propongo la data di mercoledì 25 febbraio. Per quel giorno, Galatea, vi prometto l'abito più fulgido che possiate immaginare: non lasciatevi spaventare dalla prossimità del giorno. Penserò a tutta l'organizzazione personalmente»

Galatea scrutò il viso di Niccolò e lo interrogò con un cenno, al che lui rispose: «Si faccia come Vostra Altezza dispone»

Galatea annuì gravemente.

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