Luglio 1669

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Dopo la prima notte insieme, Ottavio aveva preso a trascorrere con lei solo una o due notti alla settimana, non di più. E l'aveva fatto più per salvare le apparenze che per un qualche attaccamento sponsale. O almeno questo credeva Galatea che, con l'andare dei giorni, si trovava via via più fiaccata dalla nuova condizione. Dopo la morte del vecchio duca, suo marito non era più venuto nella sua camera e la situazione si protraeva ormai da un mese abbondante; le malelingue avevano ripreso a ricamarci su. Galatea aveva sperato in un primo tempo che i toni confidenziali della prima notte avrebbero inaugurato un clima più sereno tra loro, tenendo conto del fatto che avrebbero dovuto passare insieme il resto della loro vita. Invece Ottavio viveva le sue giornate lontano da lei, tra la folla dei cortigiani che fino a poco prima aveva ignorato sistematicamente. Aveva cambiato volto insieme con l'abito e, smessa la tonaca del seminario, aveva indossato i panni dell'uomo di corte, che frequenta persone sempre diverse e trova per ognuna il fianco in cui fare breccia. La sua intelligenza lo metteva in grado di confrontarsi con gli interlocutori senza temere mai di essere colto in fallo; adduceva argomenti convincenti benché contraddittori e talvolta era in grado di comportarsi da vero sofista, adattandosi alle circostanze e ai discorsi con la disinvoltura di una biscia che si allunga tra le rocce. Non sembrava avere tempo e forse non aveva nemmeno voglia di confrontarsi con Galatea: non cercava i suoi consigli, non cercava il suo appoggio. Forse riteneva, come tutti, che fosse semplicemente la figlia del mercante, sveglia ma sveglia come può esserlo un cane da caccia, ossia per razza e non per personale propensione. Ed era questo che soprattutto infastidiva la sua giovane moglie e la allontanava giorno per giorno da lui. Di tanto in tanto pensava che doveva già gioire del fatto che la trattasse con un rispetto di facciata: le dava la mano senza ritrarsi, le parlava con il tono del marito innamorato e non le faceva mai mancare la propria presenza nei momenti necessari. Ma non le sembrava che facesse niente di più, che non cercasse nient'altro oltre alla sua figura di moglie.

Aveva ricevuto il libriccino da parte di sua madre: era un manualetto stampato in fretta e furia e rilegato alla bell'e meglio, intitolato Le doti della buona sposa. Si trattava di una raccolta di novelle di diversi autori, tutte incentrate sul matrimonio, diverse per trame e toni, dal moralistico al parodico: aveva letto solo le prime due o tre pagine e tratto già la conclusione che un libro del genere le fosse totalmente indifferente. Probabilmente sua madre era stata ingannata dal titolo e gliel'aveva mandato senza preoccuparsi di controllarne il contenuto.

Ottavio la raggiunse senza preavviso la sera di un mercoledì e si coricò subito accanto a lei senza dilungarsi troppo in parole. Galatea, d'altronde, non cercava la conversazione e, auguratagli una scostante buona notte, si accinse a spegnere la candela.

«Com'è il libriccino?» domandò lui inaspettatamente. Lei rimase con la mano sospesa a poche spanne dalla fiammella e non trovò subito le parole per confessare che in realtà si trattava di un regalo tutt'altro che utile.

«Novelle... E non tutte oneste, in verità» ammise alla fine, senza osare guardarlo.

Ottavio rise di una risata sincera, benché sommessa, e accomodò le lenzuola sul petto: «Vostra madre deve aver pensato di farci un favore... Di insegnarci qualche cosa che né voi né io conosciamo» commentò. La luce fioca non permise a Galatea di vedere se fosse arrossito, ma la sua voce tradiva un certo imbarazzo mascherato da spavalderia.

«Ricordate che ero fidanzata fino a poco tempo fa: mi hanno spiegato cosa sarebbe accaduto...» lo rimproverò, sporgendosi per la seconda volta verso la candela.

«E voi non crediate che già da diacono io ignorassi certi aspetti della vita coniugale» ribatté placidamente, con sguardo di sfida.

«Non l'ho mai creduto, infatti» rispose, ricambiando l'occhiata.

«Tuttavia c'è ancora tempo prima di leggere quel libro... Non trovate?» aggiunse lui in un soffio, trattenendola dal terzo tentativo di spegnere la candela.

Galatea si volse un'ultima volta e lesse in fondo alle sue pupille la titubanza di un bambino. La stessa titubanza che probabilmente Ottavio scorgeva in quel medesimo istante nei suoi occhi grigi. Decise di non spegnere la candela, quella notte.

*

"Costei è mia moglie"... "E' mia"... "Mia"... "Moglie".

Galatea si volse e accanto a sé vide Paolo Zuffini: non era cambiato nel corso degli anni, aveva la stessa aria sbarazzina, gli stessi capelli mossi, lunghi sulle spalle, e quel principio di barba sulle guance. Le sembrava un ragazzino, ma il suo cuore tornò a battere forte come la sera del matrimonio. La fissava, aspettando di sentire la formula che li avrebbe sposati.

"Ma io sono la moglie del duchino, ora" si scusò, stringendosi nelle spalle.

Volse il viso dall'altra parte: Ottavio, con la sua espressione malinconica, la guardava interrogativo.

"Ma cosa dici? Ti ho sposata prima io!" obiettava Paolo.

"Lei ti ha rifiutato" osservò scontato Ottavio, cingendola tra le braccia "A me non ha detto di no"

Galatea cercò di liberarsi, ma quando provò ad afferrare le mani di Ottavio si accorse che queste erano diventate due pesanti lucchetti, e che le sue braccia si erano mutate in catene di grossi anelli arrugginiti. I suoi piedi, poi, si trovarono invischiati in una melma informe. Più tentava di svincolarsi e di scappare, più le sabbie mobili sotto di lei la risucchiavano, e il peso delle catene la condannava inesorabilmente.

Alzò gli occhi nella direzione di Paolo, ma non lo vide più. Le sabbie avevano già inghiottito le sue gambe e il bacino e cominciavano in quel momento a premerle attorno alla vita. Boccheggiava, annaspando con le braccia finché, a un tratto, il suo braccio destro rimase aggrovigliato in una matassa di edera che prese a risalire fino alla spalla.

«Galatea!»

Spalancò gli occhi e d'istinto si trasse lontano da quella voce che la chiamava. Si accucciò sull'orlo del materasso, ritraendo le gambe contro la pancia. Ottavio le aveva lasciato libero il polso, ma la sua espressione era più sbalordita che contrariata, come si sarebbe aspettata. Era notte fonda, dopotutto. La candela era per buona parte consumata, ma continuava testardamente a bruciare.

«Vi chiedo perdono, Altezza» farfugliò. Era la prima cosa che le era passata per la testa e lì per lì non si rese conto della stupidità delle sue parole. Prima di tutto, Ottavio aveva già chiarito che preferiva non essere apostrofato con nessun titolo regale da lei, sua moglie; in secondo luogo, il suo tono era stato così affranto da risultare del tutto inopportuno. E fu questo a far sorridere Ottavio.

«Un incubo, immagino... Ora capite perché dormo così male...»

Galatea, ormai sveglia, lo guardò meglio, per sincerarsi che fosse stato lui a parlare. Non aveva nulla di malinconico, nulla che lo facesse somigliare alla sua personificazione nel sogno. Sorrideva davvero, sorrideva divertito. E a divertirlo era stata lei, con il suo buffo chiedere scusa.

«Vi ho svegliato?» domandò, sedendosi.

«Temo di sì» disse ancora, senza perdere il suo sorriso. Si distese nuovamente, accomodandosi sui cuscini. Poi la guardò di nuovo e domandò a propria volta: «Avete spesso gli incubi?»

«No, no davvero! – ammise Galatea con un sospiro – E' la prima volta»

«Allora è colpa mia – constatò il duchino – Sono io che devo chiedervi perdono...»

«Figuratevi...»

Lo sguardo di Ottavio si addolcì. Galatea non seppe resistere a quello sguardo e, vinta, ricambiò con un abbozzo di sorriso e una leggera alzata di spalle.

«Pensavo... – cominciò il duchino, soffermandosi sulla scelta delle parole più adatte – Se non la ritenete una mancanza di rispetto... Potremmo darci del tu? Ovviamente solo nelle occasioni private come questa... Sempre se voi gradite...»

«Cominciate voi» lo sfidò, non senza una punta di autocompiacimento.

«Come vuoi. Ecco fatto, ora tocca a te» le sorrise beffardo.

Galatea rise e ribatté: «Non vale! Mi aspettavo qualcosa di più... da te»

Il cuore le batteva forte. Il duchino si associò alla sua risata e non riuscì a rimanere sdraiato. Si sedette di nuovo, a gambe incrociate.

«Posso chiederti un altro azzardo? – incalzò – Chiamami Ottavio»

«E tu chiamami Tea»

«Raccontami qualcosa di te, Tea... – sussurrò con gli occhi che brillavano – Tanto ho capito che per stanotte non dormiremo più»

Galatea annuì e si prese un attimo di tempo: «Non saprei... Cosa vorresti sapere?»

«Hai fratelli?»

«Sì, un fratello, Francesco, e una sorella, Teodora; ma sono io la maggiore»

«E quali sono i tuoi passatempi preferiti?»

«Di certo non quelli che vorrebbe madonna Dorina!» esclamò.

«Da quello che raccontano di quella donna non dev'essere affatto la persona migliore con cui avere a che fare» commentò Ottavio.

«Assolutamente no – confermò lei – Soprattutto se non si è tra le sue preferite...»

«Quindi, dicevi?»

«Mi piace ballare, soprattutto quei balli vivaci come le gagliarde. E suono piuttosto bene il violino, mentre madonna Dorina avrebbe volentieri fatto di me una cantante. Ma la mia voce non ne ha voluto sapere... E poi mi piace leggere»

«Non mi sembrano passatempi disdicevoli...»

«Ma non sono quelli della duchessina Eleonora»

«Ah, mia sorella – sbuffò – Ha un caratterino non facile...»

Galatea tornò seria, come risvegliatasi d'improvviso da un bel sogno. D'un tratto le vennero in mente i sospetti e si sentì quasi raggirata. Tuttavia, pensò, o il duchino era dotato di grandi doti istrioniche, oppure quell'ultimo accenno alla sorella lo aveva gettato nuovamente nella malinconia. Decise così di assecondarlo: nel caso in cui la stesse ingannando, sarebbe stata in allerta; nel caso in cui, invece, Ottavio avesse bisogno di una confidente per riversare all'esterno un peso che lo affliggeva, sarebbe stata lì.

«Ti è mancata la tua famiglia mentre eri lontano?» domandò a propria volta, sperando di non suonare invadente. Ottavio distolse gli occhi da lei, scrollando le spalle.

«All'inizio è stato difficile, dato che ero solo un bambino. Mi mancavano i miei fratelli, i giochi, i vizi... e la mia balia. Non mia madre, non mio padre: loro erano i sovrani e io ero solo il terzo dei loro figli maschi. Non credo che abbiano avuto mai molti riguardi per me... finora»

«Parli duramente di loro...»

«Non è nelle mie intenzioni. Riferisco solo la verità. Se non fosse stato per la congiura, ora sarei a un passo dal sacerdozio. All'ordinazione sarebbe seguito in breve tempo il vescovato e poi il cardinalato: una carriera spianata e senza troppa attesa. Ora invece, si può dire, rischio la vita ogni volta che giro un angolo»

Galatea ascoltò con attenzione nel tentativo di decifrare un messaggio ambiguo: era dispiaciuto per il fallimento della promessa carriera ecclesiastica? Oppure gli dava solo noia il fatto che, con la libertà, avesse conseguito anche angosce che prima gli erano non lontane, ma addirittura sconosciute?

«La tua vocazione era sincera?» chiese ancora, cercando di richiamare la sua attenzione su di sé. Lui continuò a guardare un punto fisso, gli occhi semichiusi: «Non lo so, non ho mai avuto occasione per rifletterci – disse, quindi tornò a lei, sorridendole languidamente – Non avevo molta scelta in collegio, ma non per colpa dei miei insegnanti...»

«A che età ti ci hanno mandato?»

«Sette anni»

«La stessa che avevo io quando mi hanno portato qui» confessò, abbassando gli occhi. Cominciò a rigirare il dito nel laccio della camicia e quel movimento catturò l'attenzione di Ottavio.

«Sai? Sei l'unica donna con cui sono rimasto solo in tutta la mia vita se escludiamo mia madre, le mie sorelle e la mia balia» sospirò, perdendosi nel guizzo ripetitivo dell'indice di lei.

Galatea avrebbe voluto replicare con un'analoga osservazione, ma si fermò appena in tempo per non proferire una bugia. C'era stato un altro, ed era Paolo. L'incubo l'aveva turbata sotto questo aspetto e per la prima volta si chiese se fosse il caso di parlarne con lui, con Ottavio. Ma temeva il suo giudizio e perciò decise di far finta di nulla e passare oltre.

«Mi ritengo lusingata – ribatté semplicemente, senza guardarlo – Non credo che avresti mai immaginato, prima di qualche tempo fa, di trovarti un giorno in una situazione del genere»

Ottavio sorrise di nuovo più sollevato: «No affatto! Ma se può farti piacere, più continua questa chiacchierata più mi sento fortunato ad essere qui... Fortunato di averti trovato nubile per poterti sposare»

«E' ancora presto per dirlo, non ci conosciamo abbastanza» lo mise in guardia scoccandogli un'occhiata di sfida.

«Certo, ma mi sarebbe potuta capitare una disgrazia peggiore... Per esempio, un'altra delle damigelle di mia sorella, qualcuna più civettuola o più capricciosa di te»

«Tessa» sibilò Galatea tra i denti.

«Quella che stava sempre alle calcagna di Eleonora? La moglie del Dosi?»

«Proprio lei, una piccola serpe, credimi!»

«Ho già avuto il piacere di scambiarci due parole, so cosa vuoi dire» assicurò alzando le sopracciglia. Galatea rise di cuore, ma uno sbadiglio le ricordò che aveva dormito troppo poche ore e che il sonno tornava a farsi sentire. Ottavio rimase contagiato dalla sua stanchezza e, sbadigliando dopo di lei, consigliò che per il momento la discussione rimanesse in sospeso.

«Potremo continuare domani pomeriggio, se mio fratello mi darà tregua...»

«O magari domani sera. Prometto che non ti sveglierò più per colpa dei miei incubi...»

Ottavio si coricò e, mentre si tirava le coperte sulle spalle, ribatteva: «Vedremo. Buona notte»

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