Maggio 1670 pt. 3 **

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Galatea aprì gli occhi e guardò la luce filtrare in sottili strisce bianche. Aveva pianto così a lungo da dubitare di potersi più addormentare, ma evidentemente la stanchezza, a un certo punto, l'aveva vinta. Aveva sperato che tutto si risolvesse per il meglio, che le terribili voci sull'attentato venissero smentite e che Ottavio venisse ritrovato sano e salvo. Non era andata così.

Ad udire del ritrovamento si era sentita male e l'avevano riportata in camera; lì era rimasta, segregata in uno stato di incoscienza dato dalla scoperta drammatica e inattesa. Confinata nella stanzetta che le era stata assegnata al suo arrivo, aveva cominciato a riflettere sui fatti avvenuti in quei giorni non molto lontano e, lentamente, via via che il turbamento violento si attenuava, era subentrato un senso di disperazione sempre più grande. Ottavio non era più: trafitto, sfigurato e gettato nel fiume come l'ultimo dei criminali, assalito di notte solo ed indifeso... Ogni dettaglio dell'accaduto non faceva che sommare dolore al dolore.

Doveva farsene una ragione, rassegnarsi, arrendersi. Non sarebbe tornato. Non l'avrebbe più rivisto né abbracciato né baciato. Non avrebbe più sentito il suono della sua voce né il suo respiro flebile sul collo.

Avrebbe voluto gridare, sfogare tutta la rabbia contro il vento che spazzava la spiaggia. La prese un desiderio fortissimo di uscire, di correre a piedi nudi, di gettarsi a terra e rotolarsi senza dover dare conto a nessuno delle proprie azioni. E semplicemente lo fece. Si vestì, camminò spedita verso l'uscita di servizio e attraversò furtiva i giardini fino ad arrivare a un piccolo cancello di ferro battuto. Lo aprì con la chiave che aveva sottratto dal cassetto della sua diretta superiora e cominciò a correre in direzione del mare.

Benché fosse lì da più di tre mesi, non era mai scesa sul litorale. Si lasciò guidare dall'udito, affidandosi alla natura che la circondava silenziosamente. Arrivò sulla spiaggia bassa e sabbiosa e scagliò gli zoccoli da una parte, affondando i piedi nella sabbia. Era una sensazione del tutto nuova e rigenerante, che per un momento spazzò via tutta la sofferenza per far spazio alla meraviglia di una giovane donna tornata bambina. Poi alzò gli occhi già umidi di lacrime e vide un'enorme distesa blu, lievemente increspata d'oro: erano i raggi del sole appena nato a colorare di riflessi quel grande corpo compatto e omogeneo che avrebbe saputo descrivere vagamente come una pianura d'acqua estesa fino all'orizzonte e al di là di esso, proteso verso il cielo che era solo un po' più chiaro. Questo cielo azzurro, solcato da nuvole lunghe e diritte, sembrava specchiare ciò che si trovava al di sotto, cioè proprio il mare.

La fretta era svanita. Ora i suoi passi sarebbero stati ben distesi e quasi tranquilli, se non fossero anche stati strascicati. Il peso del lutto gravava sui suoi piedi, rendendo faticoso l'avanzare. Ciononostante arrivò a toccare la spuma, reliquia delle onde ormai infrante: spuma erano anche i suoi desideri di famiglia, di bambini, di monotona vita coniugale. Qualche lacrima scivolò sulle sue guance, gocciolando poi dal mento in quell'acqua ugualmente salata e amara. Si passò una mano tra i capelli già impiastricciati di salsedine e prese un primo respiro esitante; un secondo respiro più temerario e al terzo, che fu violento e poderoso, seguì il grido.

Si piegò, completamente disinteressata della gonna zuppa d'acqua, e raccolse manciate di sabbia bagnata che scagliò contro le onde. Non contenta, si inginocchiò sulla battigia, vi immerse le unghie e la straziò allo stesso modo in cui era straziato il suo cuore. Urlava ancora, ma esausta, senza fiato. Alla fine rantolò soltanto e, stremata, si lasciò cadere supina, con il mare ad abbracciarla, freddo ma confortante. Si chiese se il paradiso fosse azzurro, perché lei, in quel preciso frangente, lo immaginava dello stesso colore del cielo che vedeva sopra di sé. E le sembrava abbastanza improbabile che Ottavio non fosse in paradiso, innocente com'era.

Qualcuno, dal palazzo, la notò; nel giro di qualche minuto alcuni uomini vennero a riprenderla e la sua furia si scatenò contro di loro, senza per questo portarle qualche vantaggio. Si ritrovò nella cameretta, con i capelli spruzzati di sabbia e la pelle irritata dal sale. Le diedero vestiti puliti, poi la padrona volle vederla. Fece uscire i due servi che l'avevano condotta lì, così come le sue dame di compagnia che alla vista di quella ragazza sporca e ribelle avevano storto il naso. Cacciò via tutti, incurante dei consigli e delle messe in guardia: avrebbe saputo badare alla giovane da sola, come aveva badato da sola a molti problemi per gran parte della vita.

Galatea se ne stava ritta in piedi, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo ostinatamente fisso nel vuoto. L'anziana padrona la squadrò e si rimise seduta sul divanetto, da cui si era alzata poco prima per imporre l'ordine tra i servi recalcitranti a uscire.

«Posso chiedervi cosa vi prende?» domandò acida, sfilando un ventaglio dalla custodia e cominciando a farsi aria.

«Mio marito è morto» tagliò corto Galatea, scagliandole contro quelle parole come fossero pietre. D'altronde, non era stata lei ad informarla con la stessa brutalità il giorno prima? Le aveva detto senza mezzi termini cos'era avvenuto e cosa si era detto in proposito, senza risparmiarle i particolari più crudi, quasi godesse nel farle male.

«Proprio per questo non capisco – ribatté, ostentando insensibilità – Siete libera e piangete? Che donna siete?»

«Una donna che teneva al proprio marito!» strillò, chiudendo forte i pugni.

Donna Isabella scosse la testa sconsolata, come se non nutrisse speranze riguardo a lei. Quel semplice gesto colpì Galatea più di quanto avrebbero potuto mille parole. Tacque, allentò la stretta delle mani e le dedicò un po' più d'attenzione.

L'anziana, accortasi del vantaggio che le era concesso, non tardò a tornare alla carica: «Finora ho rispettato il vostro stato, sebbene io non lo condivida: certe persone hanno un senso troppo rigido dei doveri e della moralità e voi, mia cara, siete di queste. Vi rendete conto che sono mesi da che non fate nulla?»

«Fare nulla?» ripeté polemica, già pronta ad elencare tutte le mansioni svolte a palazzo.

«Certo! Non giacete con nessuno da febbraio! Non mi sembra una cosa ragionevole alla vostra età» osservò l'altra con tono scontato. Galatea si raggelò di colpo, inghiottendo tutto il livore in un singulto strozzato.

Donna Isabella non ebbe bisogno di fissarla a lungo per sentirsi trionfante. Il dubbio, forse, cominciava a istillarsi in quella mente giovane e turbolenta; non osava sperare di convincerla al primo tentativo, ma si sentiva in grado di spingerla a fare un passo di cui, non convinta, avrebbe potuto pentirsi. A lei non importava che si pentisse, ma che si perdesse in relazioni superficiali e lascive solo per sopire il dolore.

«Come potete pensare che possa fare una cosa del genere?!» disse Galatea, non appena si fu riscossa dalla sorpresa.

«Piuttosto, voi credete che vostro marito vi sia rimasto fedele fino alla morte?»

Le lacrime le confusero la vista, ma il suo straziante: «Sì!» suonò più sicuro che mai.

«Vedete? Siete ingenua! Vostro marito aveva le sue favorite, come tutti gli uomini di corte. Non c'è stata notte che abbia passato solo; e voi credete ancora alla fedeltà. Crescete, liberatevi dalle imposizioni, concedetevi di soddisfare i vostri desideri!»

Galatea sentì mancare la forza di stare in piedi, ma l'ostinazione la tenne impettita contro tutte le insinuazioni: «Io non cederò»

Ora, però, la sua voce tremava: un nodo le chiudeva la gola e un brivido le pervadeva i capelli. Percepiva il pavimento mentre si sgretolava sotto gli zoccoli di legno, avvertiva la sensazione di vuoto dentro di sé. D'un tratto si vedeva inerme in un mondo ostile, con tanti predatori pronti a piombarle addosso e nessun rifugio sicuro nel quale trovare soccorso.

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