Maggio 1670 pt. 4 *

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Era una stanza sontuosa e ben arredata, con pezzi di particolare pregio e rarità messi in mostra accuratamente; ma l'ospite, che aspettava con pazienza seduto su una poltroncina davanti al camino, non dava l'impressione di interessarsi troppo a ciò che lo circondava, forse perché non era la prima volta che si trovava tra quelle pareti. I suoi occhi erano fissi sulle fiamme, quasi non ne soffrissero la luce e il calore. Le dita della mano destra accarezzavano il mento sbarbato, salvo risalire alle labbra quando un mal celato impeto di preoccupazione spingeva l'ospite a mordersi le unghie. Era abituato a mantenere un'apparenza il più possibile rilassata, eccetto quando sapeva di essere solo. E in quel momento lo era: troppo tempo era passato da quando aveva percepito l'ultimo rumore al di là dell'unica porta che permetteva l'accesso al salottino.

La mano destra ricadde pesantemente sul bracciolo e l'ospite scosse la testa come chi si sia appena svegliato dopo una forte sbornia. Un sospiro, con cui l'uomo parve alleggerirsi di un carico difficilmente sopportabile, e uno sguardo fugace tutt'attorno. Non era nuovo a sensazioni sgradevoli come quelle che stava provando; qualcuno avrebbe detto, anzi, che queste erano la vera e propria essenza della sua vita. Non erano mai state così assillanti, però: ed era dovuto alla responsabilità di ciò che aveva fatto.

Udì un suono di passi e si riscosse, sistemandosi composto sulla poltroncina; accavallò le gambe, lisciò le pieghe della giacca. Giusto in tempo prima che la porta si aprisse.

«Restate comodo» gli fu detto. Un invito, ma anche un ordine.

Non si voltò a guardare chi fosse, avendolo riconosciuto dalla voce.

«Temevo non sareste venuto» ribatté con un tono lievemente sarcastico.

«Non credo che abbiate potuto pensarlo davvero, ma vi sono comunque grato del saluto» rispose, prendendo posto su un divanetto poco distante. L'ospite, questa volta, rimase zitto, avendo compreso al volo che lo spazio dei convenevoli si era concluso in quelle poche battute. Fissò l'interlocutore che l'aveva fatto attendere per un buon quarto d'ora, lasciando che fosse lui a cominciare.

«Mi dovete alcune spiegazioni, non trovate?» attaccò subito quello, senza nessuna inflessione amichevole.

«Ne dovete anche voi a me» si difese l'altro, pacatamente.

«Non devo rendervi conto delle mie decisioni»

L'ospite alzò un sopracciglio: «Decidere di commissionare lo stesso omicidio a due persone diverse non è quello che si dice un "piano perfetto"»

«Volevo solo la certezza che, nel caso uno dei due fosse stato scoperto, o ci avesse ripensato, l'altro avrebbe portato a termine il compito»

«Nella mia posizione e con la mia esperienza avrei saputo far molto meglio di come si è fatto. Invece ho dovuto rimediare al pasticcio di un pivello»

«Così vorreste giustificarvi di quello che è accaduto?»

«Se mi concedete di...»

«Ve lo concedo – lo interruppe l'altro, con un modo tutt'altro che tranquillizzante – Ma dovrete essere convincente»

L'ospite cominciò a sentirsi stretto in quel salottino, ma celò la soggezione e riprese con fare conciliante: «Cercherò di esserlo quanto lo sarebbero state le circostanze, se vi ci foste trovato»

«Non fate l'arguto con me; cominciate piuttosto a spiegarmi quello strano ritrovamento»

«Semplice: non era morto – scandì, esasperato dal trattamento che gli veniva riservato – L'ho trovato che si trascinava fuori dalla camera; ferito, ma non mortalmente. Il vostro uomo l'aveva pugnalato alla schiena, mentre dormiva, ma alla reazione di lui deve essersi spaventato; l'ha colpito ancora all'addome e poi è corso fuori, senza badare alle tracce che lasciava dietro di sé. Così, come dicevo, al mio arrivo vedo il duchino che arranca appoggiato al muro, con il lenzuolo stretto attorno alla vita per fermare il sangue. Aveva già fatto molta strada e rischiavo che qualcuno ci sorprendesse insieme e perciò decisi di assecondarlo, dicendogli che l'avrei accompagnato da un medico: se qualcuno ci avesse scorti, avremmo dato entrambi la stessa spiegazione; ma il duchino era debole, molto debole e alla fine svenne. In quel mentre mi accorgo di essere seguito e un uomo, una guardia, mi aggredisce e quasi mi strozza. Ovviamente reagisco e lo inchiodo a terra, facendogli confessare la propria identità. E qui, permettetemi di muovervi un rimprovero: non è stato difficile cavargli il vostro nome e, francamente, se fossi stato qualcun altro a quest'ora sareste già nelle carceri ducali a supplicare pietà»

L'altro emise un brontolio seccato, quindi replicò: «Non fatene un romanzo e stringete. Ditemi perché non l'avete ucciso appena vi si è presentata l'occasione»

L'ospite si spinse contro lo schienale e rispose: «Perché eravamo nel bel mezzo del palazzo – poi, dopo una breve pausa, riprese – Visto che era privo di conoscenza, l'abbiamo portato di peso fuori dalla porta della servitù. C'era un carretto, ce l'abbiamo caricato e siamo sgattaiolati da un cancello laterale, quello da cui entrano i rifornimenti delle cucine: lì nessuno fa mai troppa attenzione»

«E poi?»

«Poi ci siamo diretti verso la porta settentrionale della città. All'inizio pensavamo di buttarlo nel fiume così com'era e farlo annegare, poi abbiamo deciso di tentare di uscire: c'è sempre un modo per uscire da una grande città come questa e, per sua fortuna, il vostro sicario conosceva una buona scorciatoia. Ma io non potevo attardarmi in un viaggio all'esterno della capitale e così, poco fuori le mura, ho colpito per l'ultima volta il duchino al petto e l'ho lasciato morire»

Le sue parole si spensero come si spegne una lampada che ha bruciato l'ultima goccia di olio. I suoi occhi tornarono a fissare la fiamma del camino, le sue labbra si fecero secche.

«Immagino sia stata vostra l'idea di gettarlo nel fiume»

«Sì – sussurrò – Dovevamo avere il tempo di allontanarci entrambi e questo mi è sembrato il modo migliore. Ora si dice che il duchino sia stato rapito, prima che ucciso; che la sua morte sia stata accidentale, che all'inizio non si trattasse che di un ricatto»

«Nessuno ha insinuato un vostro coinvolgimento?»

L'ospite alzò le spalle, ma aspettò a rispondere: «A quanto si sa a corte, era stato lo stesso duchino a convocarmi; questo era il motivo della mia presenza a palazzo. Nessuno è al corrente della mia tappa qui, nemmeno il duca. Il tradimento di una guardia ducale attira sicuramente più attenzione... Un gran brutto tradimento...»

Il padrone di casa si lasciò scappare il primo sorriso: «E di tradimento si tratta, o sbaglio, Ferraris?»

«Spero di non dover più sopportare la vista di quell'incapace»

«Quando verrà a incassare la sua parte, pagherà le conseguenze dei suoi errori» promise l'altro.

«A proposito – disse l'ospite, come rianimandosi – Quando riceverò la mia ricompensa?»

«Sapete bene quanto me che la carica di ambasciatore presso Sua Santità il papa non è proprio questione di giorni, ma... con i dovuti tempi avrete ciò che vi siete guadagnato»

Quello annuì soddisfatto e, ammiccando al suo interlocutore, osservò: «Non dimenticate che le mie armi non sono solo pugnali e balestre. Questa volta il nostro accordo prevedeva che voi foste la mente e io il braccio. Ma vi consiglio di mantenere sempre le promesse che stringete con me»

«L'importante è che il pretino abbia raggiunto il suo Creatore»

«Su questo potete scommetterci. Vi auguro una lunga vita, per farvelo incontrare il più tardi possibile nell'Aldilà»    

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