Maggio 1670 pt. 5 **

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«Figlia di mercante – fece capolino una voce conosciuta – Cos'è quella faccia?»

Galatea ruotò piano la testa finché non la vide: «Fortuna – disse tra i denti – Non dovresti essere qui». E parlando strinse forte lo straccio nella mano destra e fece colare l'acqua su una macchia di unto che non voleva andare via.

«Io sono dove mi pare, lo sai» ribatté la ragazzina ribelle che sedeva a terra a meno di due passi da lei. Non aveva una bella cera, ma neanche l'aspetto spaventoso dei momenti più bui. I capelli non erano di quel suo tipico biondo vivo e gli occhi erano segnati da leggere occhiaie. Il ghigno delle sue labbra era beffardo; Galatea, però, era troppo arrabbiata per provare paura.

«Cosa ti abbiamo fatto? Di punto in bianco ci hai traditi, ci hai lasciati soli, e ora tutto sta andando male per colpa tua» la accusò, soffocando un gemito.

Il sorriso di Fortuna distorse il suo volto: «Non vedi? È questo che mi avete fatto. Guarda come mi ha ridotto lui» rispose con voce roca.

«Non dire sciocchezze: sei così perché sei cattiva, perché sei contraria» ribatté, attenta a non farsi prendere dall'ira.

«Se fossi contraria come dici, io ti mostrerei la nuca, figlia di mercante. È stato lui a ridurmi così e tu nemmeno te ne dispiaci» replicò velenosa, rannicchiandosi. Galatea tacque, osservandola più attentamente: scoprì diversi ematomi e lividi lungo le sue braccia esili e sul collo; le stesse occhiaie non erano altro che segni di una recente violenza.

«Ferdinando?» bisbigliò scontata.

«Ottavio» la corresse la ragazzina, tremando al solo pronunciare il suo nome.

Galatea strabuzzò gli occhi: «Ma cosa dici? Lui non può vederti, figuriamoci picchiarti!»

«Non serve che uno mi veda – obiettò – E ammetto di averlo sottovalutato, il tuo pretino educato e gentile»

La duchessina sentì una fiamma di rabbia nel profondo del petto e corrugò la fronte; Fortuna ghignò, concludendo: «Alla fine, però, mi sono vendicata»

«Perché parli così?!» la aggredì affranta.

«Perché mi odiava proprio quando io mi stavo concedendo a lui! E credo tu sappia cosa significa essere rifiutate...» ammiccò, facendole abbassare lo sguardo.

«Sei cattiva, invece. Altrimenti non mi parleresti così»

Gli occhi di Fortuna brillarono in modo inquietante: «Voi mi spingete ad essere cattiva con voi, non sapete approfittare della mia generosità»

«Invece Ferdinando, lui ne approfitta?»

«Lui sa come prendermi» confermò, incrociando le braccia.

«Be', Ottavio ti ha trattato come meritavi»

Fortuna rise sommessa: «Un'amante non va mai trattata male»

Galatea ristette: per la prima volta da quando l'aveva conosciuta, la giovane fanciulla bionda le apparve sotto una natura diversa. Una cortigiana. Era una cortigiana. Ne aveva tutte le caratteristiche, in fondo: superficiale, volubile e attraente. Amava il potere e quella sensazione inebriante che dà a chi lo detiene. E non era fedele: aveva simpatie, ma il suo istinto la portava ad assecondare chi era capace di governarla. E Ferdinando era il tipo di persona che faceva per lei, perché era ambizioso e spregiudicato, astuto come una volpe e smaliziato come un lupo. Ottavio, era vero, non aveva la stessa personalità forte dello zio; ma era più forte di lui sotto altri aspetti: forse era questo ad aver fatto arrabbiare Fortuna, vedere un nuovo pretendente muovere bene i primi passi e rivelarsi poi un debole al momento opportuno. Galatea cominciò a pensare che doveva esserci una vocazione nel suo dono, un modo per sfruttare un talento così particolare: se Ottavio non aveva avuto modo di servirsi del momento propizio, qualcun altro avrebbe dovuto farlo al posto suo.

«Sai una cosa? – continuò Fortuna senza badare troppo all'espressione di Galatea, che si faceva sempre più cupa – Sei la raffigurazione perfetta della mia straordinaria potenza: fino a poco tempo fa eri una duchessina, sposata con un bell'uomo di cui eri follemente innamorata, pronta a rivestire un ruolo importante. Hai visto come sei finita?»

Galatea si piegò di nuovo sul pavimento e grattò vigorosamente la macchia senza ottenere risultati. Tutta la sua rabbia si scatenò su quella macchia, contro cui iniziò a imprecare sottovoce, perché se si fosse fatta sentire l'avrebbero punita.

«Guarda che sto parlando con te» la rimproverò Fortuna, imperterrita.

«Vattene» ringhiò Galatea, buttando lo straccio nel secchio d'acqua sporca. Poi sbuffò e, nonostante la voglia di insultarla, non alzò gli occhi; afferrò il secchio con due mani e lo sollevò, accingendosi a spostarsi nella stanza seguente. Fortuna la precedette correndo a piedi nudi sul pavimento bagnato, lasciandosi svolazzare alle spalle il manto semitrasparente ornato di piccoli brillanti. Saettò davanti a Galatea e la fece sobbalzare di sorpresa; Galatea la scansò, si inginocchiò e, pescando lo straccio dal secchio, si accinse a rimettersi al lavoro.

«Devo chiamarti "sguattera" per avere la tua attenzione?»

«Ti ho detto di andartene» sibilò furibonda.

Parlare di Ottavio non le faceva piacere, mentre Fortuna sembrava non desiderare altro. Erano giorni che si trovava in quello stato di frustrazione mista a rabbia; da quando le era stata data notizia della sua morte non riusciva a togliersi dalla mente i ricordi più intimi. Donna Isabella era categorica nei suoi discorsi: dimenticare o, almeno, lasciare da parte ciò che era stato. Il suo matrimonio era stata una parentesi inconcludente, una perdita di tempo per tutti, perché, alla fine, le cose erano tornate al loro posto: lei, soprattutto, era tornata al proprio posto. 

«Non tutto è finito, sai?» disse Fortuna come se le avesse letto nel pensiero, chinandosi amorevolmente verso di lei. Galatea, lì per lì, non intese nemmeno cosa avesse detto. Un dubbio le attraversò il cuore, un dardo così rapido da stordirla.

«Cosa vuoi dire?» domandò, rialzando il viso illuminato da una tenue speranza. Fortuna le sorrise beata e non rispose, lasciandole la libertà di darsi da sola una risposta.

«Vuoi dire che è vivo?!» insistette, aggrappandosi con tutte le forze a quella fievole possibilità. Fortuna arrossì e scosse la testa: «Morto è morto, figlia di mercante. Fattene una ragione: il duchino non c'è più»

«Davvero è morto?» ripeté, incredula.

«Morto stecchito, cara» ribadì schiettamente l'altra.

Galatea sprofondò nella gonna: ora che anche Ottavio era destinato a cedere il posto al nulla, temeva di non poter più trovare le forze per andare avanti; forse, più che difettare le forze, difettava la volontà.

«Ma non è tutto finito con lui, cara» riprese Fortuna, accarezzandole la guancia. Galatea avrebbe pianto, ma era stanca anche di piangere; era debole anche per versare lacrime. Ormai era indifferente a tutto.

«Cosa vuoi dire?» sussurrò, stringendosi nelle spalle.

Fortuna le fece l'occhiolino: «Il giardiniere più giovane non è affatto brutto; e il maggiordomo ti riserva certi sguardi che parlano da soli!»

«Non ti ci mettere anche tu: io non diventerò adultera» tagliò corto, riprendendo a lavorare alacremente.

«Non è adulterio se si è vedovi – cinguettò Fortuna – Potresti svagarti un po' con lui, per non pensare troppo spesso a ciò che è accaduto»

Fece finta di non averla sentita e continuò a grattare le lastre di marmo come se fosse sola. Fortuna la osservò per un attimo, poi, annoiata, si alzò in piedi e prese a percorrere la sala in punta di piedi: «Se non altro – proferì a un tratto – Potresti provare ad ingraziarti qualche ospite potente. Quel Ferraris che è venuto qualche settimana fa non potrebbe fare al caso tuo?»

«Troppo vecchio»

«Vedi che ci hai pensato? – la pungolò – Ma tra poco partirà diretto al confine, ad aspettare un cugino del duca, credo...»

Galatea tese le labbra per trattenere un singhiozzo e si passò la mano bagnata sugli occhi, incurante del fastidio della polvere.

«Ora che ci penso, questo palazzo è proprio sulla sua strada. Una sosta durante il viaggio gli sarà gradita... Non trovi?» pianificò Fortuna, frizzando già di eccitazione.

«Non aspettarti che lo seduca; o che mi lasci sedurre. Non ho intenzione di far da cortigiana a nessuno»

Fortuna reclinò il capo e sorrise complice: «Cogli l'occasione! O vuoi rimanere qui tutta la vita a sgobbare per quella vecchia? Qualche compromesso è necessario, cara... Non mi sembra di chiederti l'impossibile»

Galatea sbuffò di nuovo, mettendosi ginocchioni con le mani abbandonate in grembo: «Volevo dei figli da lui; non credo che potrò volerne da qualcun altro»

«Chiodo scaccia chiodo, piccina. Ferraris ti farà dimenticare il duchino, te lo garantisco! – scandì, meritandosi un'occhiata bieca; poi, sollevando le sopracciglia, bisbigliò – Tu non lo sai, ma i vostri destini sono già legati: non era un caso che fosse qui... Era qui per te, per trovarti... E sai chi l'aveva mandato, eh? Proprio lui! Tuo marito!»

Galatea lasciò cadere lo straccio, irrigidendosi: «Cosa?! Ottavio l'ha mandato a cercarmi e tu hai impedito che lui mi riconoscesse?!» la accusò. Fortuna ghignò: «Non lo trovi divertente?»

Non resistette un minuto di più: scattò agile come un gatto e le fu addosso, animata da una furia mai provata. Fortuna cadde all'indietro, rimanendo sdraiata sulla schiena mentre Galatea saliva a cavalcioni della sua pancia. Si parò con le mani, implorò pietà, ma l'altra non le diede ascolto. Piombò su di lei e le afferrò stretti i capelli, strattonandola e graffiandola. Fortuna piangeva, cercava di liberarsi. Tutto invano: niente avrebbe potuto vincere la frustrazione dell'assalitrice.

«Ottavio non te ne ha date abbastanza, ora prendile da me!»

Nell'attimo in cui ebbe pronunciato quelle parole, Galatea si riscosse esi rialzò. Sotto di lei c'era solo il pavimento, tra le sue mani più nulla.Fortuna se ne era andata.    

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