Novembre 1669 pt. 2

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«Tu sei un imbecille, Ottavio» constatò l'abate a mezza voce, scuotendo piano la testa.

«Come sarebbe a dire? Io ti chiedo un consiglio e tu mi insulti?»

«Non è un insulto; bisogna prendere atto della realtà. Tua moglie, con cui sei legittimamente sposato, a cui tuo padre ti ha raccomandato di voler bene, a cui tuo zio cardinale ti ha legato in modo definitivo con la sua benedizione; insomma, tua moglie viene da te con le migliori intenzioni, e tu cosa fai?! La rimandi da dove è venuta, per di più facendola piangere!»

Ottavio si agitò: «Lei avrebbe dovuto sapere quale sarebbe stata la mia reazione!»

«E in virtù di cosa? - lo interrogò l'abate - Forse perché sei freddo come una pietra? Forse perché sei più bigotto del papa? Come avrebbe fatto a sapere che l'avresti rifiutata»

«Abbiamo stretto un accordo prima di venire qui» confessò il duchino. L'abate sospirò alzando gli occhi al cielo e si passò una mano sul viso: «Un accordo di che natura?»

«Una reciproca punizione»

Gli occhi dell'abate brillarono: «Reciproca? Quindi siete stati disobbedienti entrambi?»

Ottavio si morse il labbro, conscio che la curiosità dell'amico non gli avrebbe dato scampo: si risolvette, così, a raccontare l'antefatto che gli aveva nascosto. Raccontò di Paolo e di Rosanna nel modo più imparziale possibile, restando nello stretto dei dettagli necessari, sebbene l'abate premesse per una descrizione più particolareggiata del suo incontro quasi adulterino con la serva. Quando si sentì soddisfatto, il monaco tornò serio: «Ora tu vuoi farmi credere di voler mantenere l'astinenza fino a Natale?»

C'era incredulità nella sua voce e nei suoi occhi. Il complesso della sua faccia manifestava i suoi pensieri scettici.

«Sono persuaso che ci riuscirò»

«Piccola anima pura - lo apostrofò Matteo - Se ci riuscirai ti farò dedicare un chiostro»

«Non scherzare, stupido!»

«Giusto! - riprese l'abate - Affrontiamo la questione dal suo nocciolo: fa' come se fossi un amico qualsiasi, un confidente, e non fermarti alla mia tonaca nera. Rispondi sinceramente»

«Sono pronto»

L'abate gli lanciò un'occhiata maliziosa: «La vuoi? La desideri?»

Ottavio arrossì violentemente: «Che domande sono?!»

«Rispondi!»

Il duchino esitò, diventando paonazzo in viso. Poi, sottovoce, gli sfuggì un: «Sì» impossibile da trattenere.

«Davvero?» incalzò l'altro, trattenendo il respiro.

«Sì! Lo ammetto, lo ammetto! - capitolò - Sei contento, ora?»

«Sono contento per te, perché mi sarebbe spiaciuto sapere di avere un amico del tutto deficiente»

Ottavio non accennò a tornare del colore naturale. Aveva un'espressione scontrosa che fece ridere ancor di più l'abate.

«Ti costa tanto accettarlo? - lo prese in giro, poi si tranquillizzò e, beffardo, passò alla domanda successiva - Lei lo sa?»

«Non credo»

«Molto male! Dopo il rifiuto di questa notte si sentirà a pezzi... Ed è solo colpa tua!»

«Non era mia intenzione...»

«Ma intanto si strugge... Vuoi che ci pensi io a consolarla?» domandò ambiguamente. Ottavio alzò gli occhi, sospettoso: «Cosa dici, Matteo?»

«Dico che se ti spiace tanto provare attrazione per una bella fanciulla, io sono pronto a fare a cambio: ti lascio i miei doveri e mi prendo i tuoi...» spiegò senza scomporsi minimamente.

Ottavio si irrigidì: «Spero tu stia parlando per metafore»

Matteo negò: «Niente affatto! Mai stato così serio: basterà spegnere le candele e farla venire nella tua camera, dove però ci sarò io ad aspettare»

«Lascivo d'un monaco - ringhiò il duchino - Ringrazia che io non riesca a ignorare la tua veste, come tu mi hai detto, altrimenti la tua faccia, domattina, sarebbe irriconoscibile»

L'abate rise più forte: «Calmo! Calmo! Che gelosone!»

Ottavio prese due profondi respiri, il primo impetuoso, il secondo già affranto.

«La mia mente non riesce a dimenticarla nemmeno mentre dormo. Più me ne allontano di giorno, per resistere ai miei stessi desideri, più lei mi è vicina nei sogni» confessò.

«Più che normale, amico mio. E ti assicuro che non è peccato!»

L'abate lo raggiunse, cingendogli le spalle con il braccio: «C'è una cosa che non mi torna, però... E mi spinge a pensare che, effettivamente, questo desiderio ti abbia fuso il cervello»

«E cosa, avanti? - si lamentò il duchino - Se è un'altra delle tue battute, evita pure di dirla»

L'abate si risentì dell'accusa e lo guardò imbronciato, poi si spiegò meglio: «Lei non può dare baci, tu non puoi riceverne. Ma nulla toglie che tu ne dia e lei ne riceva! È così semplice, amico mio, che mi domando perché tu non ci sia arrivato»

«Non posso toccarla...»

«Per toccare si usano le mani, per baciare si usano le labbra. È diverso»

«Temo di cadere in tentazione»

«Basterà andarci piano. Manca meno di un mese a Natale, meno di trenta giorni! Sarà una scala che salirete insieme, gradino per gradino, fino a raggiungere il Paradiso terrestre. Ho qualche consiglio in merito...»

*

Ottavio camminava spedito fuori dalla biblioteca con un libro sotto il braccio: aveva deciso di non pensare a ciò che stava per fare, o non l'avrebbe mai fatto. Gli ritornavano in mente le ultime parole di Matteo che gli raccomandava: "La storia conta poco e poi è nota a tutti. Vai al libro VIII e leggile quello"

Quasi sentiva bruciare la mano che stringeva al fianco quel libro proibito, che solo per speciale concessione portava fuori dalle mura in cui era custodito come un mostro temibile. Il pensiero di sottoporlo a Galatea lo pizzicava di tanto in tanto, quando la concentrazione veniva meno e il buonsenso lo richiamava all'ordine. Ma ormai era fatta. Passava per i corridoi con lo sguardo fisso avanti a sé; non era concessa nessuna esitazione.

Lei doveva trovarsi in camera: da quanto gli aveva detto Maria, Galatea si rifiutava di uscire e di mangiare. Si presentò alla porta comunicante e bussò frettoloso. Lei venne ad aprire pensando si trattasse della serva, ma quando se lo trovò di fronte sbatté forte l'uscio. Lui non ebbe nemmeno il tempo di dire be e, anzi, rischiò di vedersi chiuso un dito tra la porta e lo stipite.

«Apri, Tea... Ti prego» supplicò, bussando ancora con insistenza.

«Neanche per sogno! Ne passerà di tempo prima che tu riveda la mia faccia!» ribatté lei, furente di rabbia e vergogna.

«Su, non fare così! - piagnucolò nel tentativo di commuoverla - Lo sai che non l'ho fatto per offenderti...»

Galatea spalancò la porta all'improvviso, lo guardò fisso negli occhi e poi, con un movimento troppo rapido per essere scansato, lo schiaffeggiò. Ottavio, colto alla sprovvista, lasciò cadere il libro e si premette una mano sulla guancia. Il primo impulso l'avrebbe aizzato a una reazione violenta quanto l'attacco, ma non appena entrò in contatto con gli occhi di lei, la sua mente si sgombrò. Le lacrime che Galatea, testarda, tratteneva sulle ciglia e la piega delle sue labbra lo colpirono profondamente. Raccolse il libro chinandosi senza distogliere lo sguardo da lei, e lei non distolse il suo.

«Ti odio» scandì Galatea, ansimando. Aveva i pugni stretti, pronta a reiterare la dose se fosse stato necessario. Ottavio meditò per un attimo se insistere o lasciar perdere, poi sussurrò la parola più sbagliata: «Scusa...»

Si era rialzato con il libro tra le mani; Galatea digrignò i denti e respirò forte, mentre le sue sopracciglia si stringevano minacciose sopra gli occhi infiammati.

«Avresti preferito di gran lunga Rosanna, vero? - urlò - Di certo ha un seno più morbido del mio! Di certo le sue gambe sono più carnose... E' per questo?!»

Lo spinse lontano dalla porta e Ottavio, incespicando, finì per crollare sul letto.

«No! No, dannazione! - sbottò il duchino - Se fosse stato per quello allora non l'avrei rifiutata!»

«E chi mi dice che tu l'abbia davvero rifiutata? - incalzò lei, ergendosi in piedi davanti a lui - Ho solo la tua parola, mi posso fidare?!»

«Certo che sì!»

Galatea, tutto d'un tratto, non seppe trattenersi più. Non fu in grado di parlare, tra gli spasmi del pianto. Dalla disperazione si diresse indietro, nella cameretta, e tentò di chiudercisi dentro. Ma Ottavio si era rialzato e si era frapposto tra la porta e lo stipite, per impedirle di chiuderlo fuori di nuovo. Gemette per il dolore, ma non si spostò; lei cercò di scacciarlo via, ma le mancavano le forze e anche la volontà, mentre lui era risolutamente deciso a seguirla dentro. Desistette dal proposito di farlo andare via e si gettò a peso morto sul lettino, piangendo e strillando, soffocando nel cuscino. Ottavio chiuse piano la porta e le dedicò un'occhiata compassionevole; si avvicinò alla finestra e gettò un'occhiata di fuori, alle distese brulle di terreni che in primavera avrebbero dato frutto e messe, ma che allora non lasciavano quasi adito a speranze, con le zolle al vento, scure e sterili all'occhio di chi non conosce l'agricoltura. Trasse un respiro e aprì il libro, sfogliandone le pagine finché trovò il titolo in maiuscola: LIBRO VII, e sotto: LE DELIZIE.

"Con buona pace di Matteo" pensò, e premuto dalla fretta di fare qualcosa, si lanciò a capofitto nella lettura sussurrata, cercando un passo tra le prime righe che potesse in qualche modo risollevarle l'animo.

«Musica e Poesia son due sorelle

ristoratrici del'afflitte genti,

de' rei pensier le torbide procelle

con liete rime a serenar possenti.

Non ha di queste il mondo arti più belle

o più salubri al'affannate menti,

né cor la Scizia ha barbaro cotanto,

se non è tigre, a cui non piaccia il canto»

Così cominciò, seguendo il testo, e ringraziava il fato di averlo guidato fin lì. Saltò le righe successive, perché non gli suonarono adatte alla circostanza. Scorse rapidamente con gli occhi e riprese a leggere, badando a dare alla voce un flusso melodioso, lasciando in secondo piano il senso. Poi, alle parole:

«Instigate da lor le voglie umane

a libertà licenziosa e folle,

dietro ai vani appetiti oltre il prescritto

trascorron poi del lecito e del dritto»

Si interruppe per ascoltare il suono flebile del respiro di Galatea che, dopo un momento di spaesamento, si era fatta curiosa. I suoi occhi erano rossi e qualche lacrima le rigava ancora le guance, le sue labbra erano socchiuse e tremavano appena; nel complesso, la sua era un'espressione sbigottita di cui Ottavio sorrise teneramente.

«Cosa ti salta in testa?» borbottò lamentosa, come a dire che non bastava una poesiola per essere perdonati.

«Sai di che si tratta?» domandò con uno sguardo magnetico che eccitò la curiosità di Galatea.

Ma lei non voleva lasciargli intendere alcun tipo di interesse e, mostrando fastidio, rispose: «Di sicuro qualche poesiola di uno dei soliti poeti da speculazioni filosofiche»

Ottavio schioccò la lingua contro il palato per negare: «Nientemeno che il Cavalier Marino con il suo Adone, per gentile concessione dell'abate» e parlando si avvicinò per mostrarle il frontespizio con l'incisione dell'eroe mitologico. Galatea osservò a bocca aperta il codice rilegato che lui le tendeva, riuscendo infine a biascicare: «Ma è proibito!»

«Abbiamo licenza di leggerlo»

«Anch'io?!»

Le limitazioni, infatti, gravavano più pesantemente sulle donne che non sugli uomini; se per un dotto era facile ottenere il permesso di leggere libri all'Indice, per una fanciulla quale era lei un tale permesso non sarebbe mai stato emesso. Ma Ottavio annuì con aria furba, rassicurandola: «L'abate mi ha dato facoltà di leggerlo con te»

Gli occhi di Galatea brillavano mentre si metteva seduta, incrociando le caviglie giù dal materasso e dondolandosi un poco.

«Perché non ti siedi qui vicino a me, allora?» propose con la voce ancora rotta. Ottavio prese un profondo respiro e le si sedette accanto.

«Poi, se vorrai, potremo leggere un po' per uno» propose a propria volta, e lei annuì con entusiasmo.

«Ma vie più ch'alcun altro Adone è quello

che ne fa chiara prova, espressa fede.

Eccolo là che verso il terzo ostello

con la madre d'Amor rivolge il piede» riprese Ottavio, cedendo di tanto in tanto al desiderio di distogliere gli occhi della pagina per un fugace scambio con Galatea.

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