Ottobre 1669

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Galatea non era più andata nelle scuderie dal suo litigio con Paolo e non aveva alcuna intenzione di tornarci. Aveva definitivamente aperto gli occhi su chi fosse ed era più che convinta di non volerlo più vedere. Di contro desiderava in tutti i modi proteggere Ottavio dal suo stesso ottimismo, indicandogli tutti i pericoli a costo di apparire oltremisura malfidente. Ma anche Ottavio si era fatto guardingo e, la cosa peggiore, era guardingo anche verso di lei. Troncava le sue dimostrazioni di affetto e di premura, si scostava quando lei cercava di baciarlo, lasciava cadere i suoi inviti a passeggiare e le sue richieste di attenzioni. Galatea si sentiva a disagio, in qualche modo consapevole di aver fatto qualcosa che l'aveva ferito. Ripensava agli ultimi giorni e non trovava nulla di strano, nessuna parola di troppo, nessun gesto sgarbato. Eppure Ottavio sembrava profondamente offeso con lei. Presto Galatea pensò che avesse un'amante e i suoi primi sospetti interessarono Rosanna, la donna a loro più vicina. Si convinse in fretta che fosse stata un'idea del capitano metterla al suo servizio, in modo che potesse sedurre il duchino e renderlo vulnerabile; Ottavio per primo le aveva raccomandato di diffidare di lei. Litigarono, una sera, perché Galatea insisteva affinché si trovasse una sostituta, ma suo marito fu irremovibile: questo non fece che concretizzare i suoi sospetti. Scoprì di essere infinitamente gelosa di lui; si sentiva defraudata di un possesso legittimo, visto che un'altra donna ora godeva delle sue attenzioni, attenzioni che Ottavio le doveva. E non poteva non notare quanto fosse incoerente, visto che fino a una settimana prima si divideva tra due uomini pretendendo di voler bene ad entrambi in ugual misura. Le lacrime che aveva versato baciando Paolo acquisivano un altro significato in quella nuova luce: il suo cuore non aveva più spazio per lui, era già tutto occupato, e le emozioni che l'avevano presa nelle viscere erano emozioni impure, macchiate di ribellione e autocompiacimento.

Era cominciato ottobre e insieme al clima anche Ottavio diventava più freddo giorno dopo giorno. Ormai erano poche le foglie che resistevano attaccate ai rami e il passatempo migliore era stare alla finestra o seduta su una seggiola in giardino ad aspettare che una di queste cedesse al proprio peso e ondeggiasse nell'aria per poi riposare a terra. Insieme alle foglie, spesso cadeva una lacrima, con la certezza che tutto fosse perduto, che Ottavio non l'avrebbe più voluta né come moglie né come amica, che sarebbe morto e lei sarebbe rimasta a guardare senza poterlo aiutare. Forse sarebbe morta anche lei, di crepacuore. Avrebbe accarezzato la sua testa insanguinata prima di spirare, avrebbe baciato la sua fronte perché non si sarebbe più potuto opporre, poi avrebbe chiuso gli occhi per non riaprirli più. Almeno nella tomba sarebbero stati vicini per sempre. Ogni giorno, passando, non faceva che avvicinare quel momento, e pian piano Galatea si rinsecchì come le foglie, quasi senza che Ottavio lo notasse.

Una sera non riuscì a resistere: sapendo che l'avrebbe allontanata non osò avvicinarsi a lui, ma gli parlò nel buio, sicura che fosse sveglio. Avrebbe voluto chiedergli cosa stesse succedendo tra loro, ma non riuscì a dire altro che: «Manca ancora tanto? Di questo passo arriverà l'inverno»

La sua voce era stranamente alterata e lei stessa se ne sentì offesa.

«Manca meno di quanto credi» ribatté apatico. Galatea gli volse le spalle e si avvolse nelle coperte.

*

Era pomeriggio inoltrato, si sarebbe detto quasi il tramonto. Erano insieme, erano vicini, ma non si parlavano. Ottavio era glaciale nel modo in cui puntava gli occhi avanti contro il sole, quasi a sfidarlo con la freddezza del suo atteggiamento. Lo guardava di sottecchi, ricamando senza prestare attenzione al disegno, intrecciando fili senza una tecnica. Ad un tratto si punse il dito, tanto era distratta. Quando scorse il sangue sulla tela soffocò un'imprecazione e Ottavio si voltò; ma non disse niente, non si preoccupò di chiederle se si fosse fatta male. La sua scortesia la turbava, il suo disinteresse cos' prolungato la faceva quasi piangere.

Poi le campane presero a suonare, prima piano, poi a ritmo sempre più precipitoso, finché fu chiaro che si era creata una situazione di pericolo. Ottavio balzò in piedi dalla sedia, la prese per il braccio e, senza darle il tempo di fare domande, la tirò dietro di sé. La guardia che era stata posta a loro custodia li seguì e insieme arrivarono davanti alle scuderie in fiamme.

Casualmente, il capitano quel giorno era stato convocato dal commissario provinciale; il suo diretto sottoufficiale - un uomo piuttosto ottuso ma con un sano pragmatismo - si affannava, dando ordini a destra e a manca, mandando gente a prendere acqua da tutte le fonti disponibili; Paolo Zuffini si offrì di andare a chiamare aiuto in città, prese un cavallo e partì al galoppo senza sella. L'attenzione di tutti tornò sull'incendio e Ottavio, quasi subito, ne approfittò per trarsi in disparte, portando con sé Galatea che quasi non respirava più dallo spavento. La condusse in un sottoscala e lì trovarono due sacchi di cibo, un borsello pieno di monete e un fioretto, che il duchino cinse rapidamente alla cintura.

«Sai come si usa quell'arnese?» gemette Galatea, tremando.

«Certo che lo so - ribatté scorbutico, per poi aggiungere - Comunque spero di non doverlo usare»

A lei spettò il compito di portare il denaro; nello stesso borsello nascose i gioielli che indossava. Una volta pronti, uscirono attraversando un corridoio deserto che conduceva direttamente sull'altro lato del palazzo, dove erano stati condotti i cavalli per salvarli dalle fiamme. Due, per combinazione, erano stati sellati e lasciati in disparte: erano due cavalli grigi, per cui appartenevano all'esercito ducale. Li presero per le briglie e procedettero per un tratto a piedi, finché furono sicuri che, montati in groppa, sarebbero scomparsi oltre il cancello in una manciata di secondi, senza che nessuno li vedesse. Il cancello, infatti, sarebbe stato incustodito al loro arrivo: Paolo aveva il preciso compito di distrarre le guardie di turno. E così fu.

Galatea non aveva mai cavalcato a quella velocità e con quella concitazione: Ottavio teneva le briglie del suo cavallo, tirandolo affinché corresse più veloce. Lei tratteneva le urla solo per istinto di conservazione, sebbene temesse per la propria vita non meno che se fosse stata chiusa nelle scuderie in fiamme. La strada era sgombra, a terra erano ben visibili le impronte del cavallo di Paolo che li aveva preceduti. Erano quasi certi di essere sfuggiti alle guardie, quando una figura si stagliò sul sentiero, comparendo da dietro un albero maestoso e ancora carico di foglie giallastre. Ottavio aguzzò la vista, per riconoscerlo. Galatea fece altrettanto, ma con più fatica, perché la sua priorità era reggersi al suo animale. Guardò avanti, e vide lo sconosciuto alzare il braccio destro e puntarlo contro di loro.

I cavalli non arrestavano la corsa, eccitati dalla fretta che il duchino aveva messo loro in corpo; più si avvicinavano, più le girava la testa.

«Ottavio...» singhiozzò in preda al panico. Ottavio era diventato pallidissimo: il capitano aveva un'ottima mira e qualsiasi arma da fuoco nelle sue mani sarebbe stata mortale per il suo bersaglio. In quel momento, il suo bersaglio era lui.

Tirò forte le briglie, forse urlò, ma non se ne rese conto. Il cavallosi imbizzarrì e si impennò sulle zampe posteriori, sollevando una nuvola dipolvere. Anche il cavallo di Galatea si agitò, scalpitando e nitrendo. Ma fututto troppo veloce; e il capitano fece fuoco. La sua mano non vacillò.




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Angolo Autrice

Ciao a tutti! Vorrei scusarmi per due cose:

1. Ieri non sono riuscita ad aggiornare T_T

2. Quest capitolo è decisamente più corto del solito... L'ho fatto per evidenti motivi di suspense... Domani saprete come andrà a finire :)


A domani! :-*

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