Settembre 1669 pt. 6

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Galatea era nella scuderia, in uno stanzino riservato agli stallieri; aspettava che arrivasse; era in ritardo. La campana del castello aveva suonato le quattro e di lui nemmeno l'ombra. Era sulle spine, temeva che qualcun altro sopraggiungesse e la trovasse lì. Le avrebbero chiesto cosa ci facesse, chi aspettasse... In breve tempo tutti avrebbero saputo di loro. E più il tempo passava, più Galatea si sentiva in pericolo. Poi la porta si aprì e Paolo le corse incontro, la sollevò di una spanna e la baciò.

«Mi hai fatto stare in pena» lo rimproverò, allungandogli una carezza sulla guancia, non appena lui l'ebbe posata a terra.

«Tutta colpa di tuo marito che per poco non ci scopriva» rispose, mal celando una certa agitazione.

Galatea lo guardò storto, per capire se scherzasse: «Dici sul serio?»

«Sì, certo! - ribatté - Non fa che pensare alla fuga e ogni volta che mi vede non fa a meno di fermarmi»

La strinse a sé e la baciò, poi riprese: «Non mi sembra vero che lui sia tuo marito... Come fai a sopportarlo?»

Galatea, presa alla sprovvista, non rispose. Paolo, invece, continuò il suo discorso come se non potesse arrestarsi più: «Pensa, pensa se la sua fuga diventasse la nostra!»

«Cosa vuoi dire?»

«Lui vuole scappare con te, ma, sinceramente, la vedo molto dura. Il capitano non è così stupido da lasciarsi scappare il figlio del duca, no? Ma immagina cosa succederebbe se, mentre voi scappate, lui dovesse... insomma... restarci secco...»

«Paolo! - esclamò, colpendolo con un buffetto - Come ti vengono in mente certe cose?

Sentiva già gli occhi solleticare; il respiro si complicò in ripetuti ansiti, le mani diventarono improvvisamente fredde, le gambe molli.

«E' più che possibile - obiettò - Se è vero che il capitano non aspetta altro che farlo fuori, quale migliore occasione potrebbe avere? E potrebbe giustificarsi in mille modi... Ma immagina, ti dico: se lui muore, tu ed io potremmo sparire senza dar fastidio a nessuno. Ci lascerebbero stare e potremmo metter su la nostra famiglia lontano da qui»

Galatea lo ascoltava, ogni parola si insinuava nelle sue orecchie, non le sfuggiva nemmeno l'intonazione eccitata con cui lui parlava. Chiuse gli occhi e sospirò. Il pensiero che Ottavio potesse morire, anzi, che potesse essere ucciso, la gettò nello sconforto. Ricordò la notte in cui lui si era avvicinato e l'aveva baciata e stretta a sé... Ricordò il tocco delicato delle sue dita sulla schiena ferita... Ricordò il suo volto pallido, le occhiaie profonde di quando era stato avvelenato...

Non sarebbe venuta la Morte...

«No, Paolo... - bisbigliò - Non ci sto...»

Lo spinse da parte, aprì la porta e corse via.

*

Lo aspettò in camera e quando lo vide entrare gli saltò al collo facendolo trasalire di sorpresa. Lo strinse forte a sé, gli accarezzò i capelli corti e prestò attenzione alla sua reazione. Presa da tante emozioni discordanti, gli premette le labbra contro la guancia e lo baciò. Ottavio allora sollevò le mani e, mentre con un braccio le cingeva la vita, con la destra ricambiava le sue carezze. Non ricambiò il bacio, sebbene il suo corpo teso lasciasse intendere un gran desiderio di farlo.

«A cosa devo questa accoglienza?» scherzò, ma anche la sua voce era incrinata da una sottilissima paura.

«Voglio che tu sia prudente - rispose - Promettimi che lo sarai»

Si separarono e Galatea cercò avidamente il suo sguardo come un assetato cercherebbe una fonte d'acqua. Ottavio sorrise: «Lo prometto»

«No, davvero!» si lamentò Galatea, reclinando la testa sul suo petto. Lui la accarezzò ancora, rapito.

«Sarò prudente per te» sussurrò.

«Non voglio che la nostra fuga ti metta in pericolo» bisbigliò.

«Siamo già in pericolo, lo sai»

«Non voglio che ti accada nulla»

Lui parlava, ma sembrava che lei procedesse su un altro livello del discorso, un livello a lui ignoto. Parlavano di due cose diverse pensando di parlare della stessa cosa.

Nei giorni successivi si abbracciarono molto spesso, più per iniziativa di Galatea che non di Ottavio. Voleva sentirlo respirare, per avere la certezza che fosse vivo e che non fosse solo una sua immaginazione. Le dispiaceva vederlo allontanarsi da lei, andare nelle scuderie a parlare con Paolo da solo, o avventurarsi nei boschi a cavallo in compagnia di qualche cittadino altolocato. Riportava a casa prede sempre più numerose, segno che era veramente bravo a caccia e che la lunga pausa degli studi non aveva fiaccato la sua inclinazione naturale. Lo vedeva felice mentre cavalcava con l'archibugio in braccio. Ci voleva forza per un simile esercizio: una mattina, mentre i cacciatori erano di ritorno, Galatea aveva provato a imbracciare un'arma con l'aiuto di Ottavio e l'aveva trovato qualcosa di estremamente difficile, per non parlare del colpo che si subiva alla spalla ogni volta in cui si sparava. Decisamente, la caccia non era affar suo. Ma questo le aveva fatto capire che non solo suo marito era molto intelligente, ma che nel corpo all'apparenza non allenato nascondeva muscoli validi.

Il capitano aveva infatti smesso di burlarsi di lui sotto quell'aspetto. Erano avversari di pari livello e l'attività delle ultime settimane aveva giovato sicuramente al duchino. C'era altro, però, su cui il capitano aveva deciso di fare leva per punzecchiarlo: Rosanna.

«Avete da lamentarvi della vostra nuova inserviente?» gli aveva domandato il giorno dopo il colloquio tra lui e la serva.

«Non è mia, ma di mia moglie. Chiedete a lei...» aveva ribattuto, senza cogliere il doppio senso della domanda. Il capitano gli aveva rivolto uno sguardo mordace e aveva detto, come sovrappensiero: «Vostra moglie non può rispondere al posto vostro...»

Ottavio non aveva fatto caso al modo e alle parole del capitano, derubricando la questione a uno dei soliti discorsi senza senso dell'ufficiale. Ma quelle parole, cui lui non voleva far caso, avevano richiamato alla sua mente l'immagine di Rosanna avvolta nel lenzuolo e tutto il suo corpo aveva avuto un fremito incontrollabile. Si era morso le labbra, pensando se avesse qualche motivo per tornare in camera e vedere se lei fosse lì... Prima ancora di trovarne uno, aveva deciso di incamminarsi; si era giustificato pensando che fosse la presenza del capitano a spingerlo ad andar via, mentre la ragione profonda era un'altra; non era riuscito ad ammetterlo nemmeno a se stesso. Cosa strana, nel tragitto aveva pensato costantemente a Galatea, al suo attaccamento insolito e improvviso, alla dolcezza dei suoi baci e delle sue carezze. Era entrato in camera quasi senza ricordarsi il perché fosse lì. Poi aveva bussato alla porta di Rosanna senza ottenere risposta. Non c'era, perciò anche lui se ne era tornato nell'altra sala, con il capitano che rideva di lui e Galatea che, facendosi forza, ignorava la maleducazione del loro custode.

Ora che Rosanna era davanti a lui e gli dava le spalle, gli avvenimenti di quel giorno gli erano tornati in mente e con loro quella voglia mai provata di parlarle. Il pensiero di Galatea si fece prepotente, come a richiamarlo al legittimo oggetto delle sue attenzioni; ma Rosanna era lì, davanti a lui, e gli dava le spalle. Sapeva che lui era lì, che la guardava, eppure evitava di voltarsi.

«Rosanna» la chiamò allora. La voce sfuggì alle sue labbra e il duchino si pentì subito di aver parlato. Ma lei sembrava non aspettare altro: si volse in un batter d'occhio.

«Sì, Vostra Altezza?»

Ottavio reclinò il capo su una spalla, affilando lo sguardo. Rosanna era molto diversa da Galatea, nell'aspetto come nel carattere. Il paragone gli veniva naturale e, quando trovava un pregio in Rosanna, subito controbilanciava con un pregio di Galatea. La serva non sembrava affatto infastidita dall'insistenza dei suoi occhi. Erano lontani e Ottavio preferiva così, perché se fossero stati vicini non avrebbe saputo trattenere le mani. Il corpo di Rosanna era quello di una donna, non di una ragazzina come quello di Galatea; il suo seno era prosperoso, i suoi fianchi erano sodi e la divisa del palazzo non li nascondeva. Quanto alle cosce, aveva già visto abbastanza. Galatea era una ninfa al confronto, nel bene e nel male, era quasi eterea nella snellezza e nel candore della pelle, e i suoi occhi grigi raccontavano molte più cose che non quelli castani di Rosanna. Ciononostante, Ottavio pensò che era felice di aver conosciuto Rosanna. Era debitore nei confronti del capitano? Un primo dubbio si insinuò nei suoi ragionamenti, ma lo scacciò come si scaccia una mosca fastidiosa.

«Vostra Altezza?» ripeté la giovane, riscuotendolo. Ottavio esitò, boccheggiò e alla fine abbassò gli occhi.

«Posso ringraziarvi per il vostro interessamento?» domandò allora Rosanna con una voce soffice e piacevole.

«Come?» balbettò lui, arrossendo.

«Ora quell'uomo non mi guarda nemmeno più...» spiegò, e il duchino sospirò di sollievo.

«E' giusto così...» fu il suo unico commento. Rosanna si avvicinò, le mani dietro la schiena, l'andamento sinuoso di un gatto.

«E' difficile trovare una persona gentile... - rispose sorridendo - Voi, però, siete sempre molto gentile con me...»

Ottavio cominciò a sentirsi a disagio, e via via che Rosanna si avvicinava il nome "Galatea" tornava come un'eco sempre più forte nelle sue orecchie.

«Rosanna...» disse, mostrandole il palmo della mano per invitarla a fermarsi. Lei, invece, intrecciò le proprie dita alle sue e si spinse fin sotto di lui: «Mi piace come dite il mio nome, signore» confessò a bassa voce, concludendo con un risolino. Guidò la sua mano sul proprio fianco e la tenne lì, premendola contro la stoffa della gonna perché percepisse che sotto di essa c'era il suo corpo, il corpo che lo attraeva come una calamita. Ottavio tentò di ritrarsi, ma l'impulso non arrivava ai muscoli o forse i muscoli, volutamente, lo ignoravano. Fatto sta che rimase con la mano sul suo fianco mentre lei lo guardava dal sotto in su, sorridendogli languidamente.

«Siete molto bello» gli disse, spingendo più in basso la sua mano. Ottavio protestò e lei soggiunse: «Non arrossite, vi prego...» e rise. Gli prese l'altra mano e la pose sull'altro fianco, avvicinandosi ancora.

«Galatea...» sussurrò Ottavio, come se solo in quel momento l'eco nella sua testa avesse trovato la via per propagarsi all'esterno.

«Non lo saprà, Altezza» rispose lei, pensando che il suo fosse il lamento pauroso di un debole. Invece quel nome era la sua ancora di salvezza, ciò che materializzava nella realtà un pensiero che prima esisteva solo nella sua testa. Averla chiamata significava averla resa presente, perché ora, per forza, anche Rosanna aveva dovuto immaginarla. Erano in tre, ora, nella camera.

La serva si alzò in punta di piedi e sfiorò con le labbra il collo di Ottavio, suscitando un brivido che scosse la sua pelle. Non contenta, si ripeté, indugiando più a lungo e scendendo dall'orecchio verso la spalla. Il duchino trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi.

«Non pensate a lei, dimenticatevela per un momento...» sussurrò Rosanna, sostituendo la carezza delle labbra con i baci. Ottavio sentì mancargli le forze per cacciarla via, anche se il suo cuore ora batteva più forte e più rapido; il suo tocco era delicato e sapiente, era piacevole consegnarsi a lei e lasciarla fare.

Rosanna, continuando a baciarlo sul collo, gli sfilò la cravatta e gli slacciò giacca e giustacuore. E lui si accorse che le sue mani si erano prese la libertà di esplorare senza pudore il corpo della serva. Ma nel suo pensiero c'era Galatea, nelle sue narici c'era il suo profumo, sulle sue labbra il desiderio delle sue guance. Rosanna non era più di quello che era, una serva giovane e disinibita... Una spia del capitano...

Per la seconda volta Ottavio ignorò quel sospetto, benché questa volta gli avesse ispirato una certa diffidenza per cui aveva ritratto le mani e sottratto il collo ai suoi baci. Non aveva avuto però la forza di dirle di smettere e quando Rosanna, tenacemente, era tornata a stuzzicarlo, lui aveva ceduto alle sue carezze. Avvertiva brividi in tutto il corpo ogni volta in cui le sue dita gli sfioravano la nuca e le sue labbra schioccavano un bacio sotto l'orecchio. Ma Rosanna fu avventata e questo le costò caro: credendolo ormai vinto, ormai preda della sua avvenenza, Rosanna tentò la mossa fatale, il bacio sulle labbra. Si protese, perché lui era più alto di lei, si aggrappò alle sue spalle e si issò verso il suo viso, lenta come un sogno. Ottavio comprese e, senza lasciarle il tempo di accorgersene, la spinse lontano da sé. Rosanna incespicò indietreggiando e cadde sul pavimento.

«Basta» ringhiò, e il suo tono non lasciava spazio alle obiezioni. Lei lo guardò furiosa, come un cane a cui è stato sottratto l'osso.

«Mi state cacciando via?» ribatté astiosa, rialzandosi.

Ottavio prese un respiro senza distogliere gli occhi da lei: «No - sussurrò - Non vi voglio cacciare»

Rosanna gli fece un sorrisetto, ma lui troncò subito le sue speranze: «So chi vi ha mandato. Continuate pure a riferirgli tutto quello che dico e che faccio»

La serva sbigottì, poi gli dedicò un'espressione smarrita: «Voi volete?»

«Certo. Cosa credete che vi farebbe il capitano, se venisse a sapere che vi ho scoperta?»

Sbiancò all'udire quelle parole, che le aprivano una prospettiva non calcolata.

«Cosa devo fare?» balbettò lei, sistemandosi il vestito.

«Ditegli quello che vuole sentirsi dire: ditegli che sono caduto nella sua trappola»

Rosanna annuì con gli occhi lucidi, si avviò svelta verso la porta e solo a un passo dalla soglia decise di voltarsi: «Devo confessarvi una cosa, signore»

«A che proposito?» domandò sorpreso.

«Riguarda vostra moglie e il capo stalliere...»

Fu ora Ottavio a impallidire, ma non si lasciò cogliere impreparato e rispose: «Non ne voglio sapere nulla»

Non dimenticava, in fondo, che avrebbe potuto essere un altro degli assi nella manica del capitano. Tuttavia...

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