Ottobre 1669 pt. 6

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Nel frattempo, volgendo ottobre al termine, il duca si fece più aspro nei confronti di chiunque fosse anche solo sospettato di nutrire simpatie per il suo fratello minore. Il risentimento, l'invidia e il timore di essere scalzato dal suo posto lo autorizzarono a trattare il duchino come un vero e proprio ricercato pericoloso, a incarcerare la sua servitù e a porre sotto sorveglianza i luoghi dove si raccoglievano quei nobili con cui aveva avuto più contatti nel periodo in cui aveva vissuto a palazzo. L'omicidio del capitano gli fu imputato senza troppi dubbi, sebbene gli ufficiali avessero convenuto nel dire che era stato un incidente e che la ferita alla gamba non sarebbe stata in sé mortale; il ritrovamento dello stalliere della Villa Reale, con la sua deposizione contro Ottavio, diede lo spunto finale per quella che divenne una vera e propria caccia all'uomo. Dispacci furono indirizzati ai sovrani dei territori vicini, una lettera fu inviata al papa, un'altra al re di Francia. Il ducato sembrava un formicaio impazzito, pullulante di iniziative che compiacessero il duca nella sua spasmodica ricerca dei congiurati. Suo zio lo spalleggiava con tutte le sue forze, proponendosi come suo rappresentante presso i maggiori interlocutori, forte della propria reputazione di politico infallibile. Molti lo ascoltarono e in breve tempo le raffigurazioni satiriche sui muri divennero la normalità dentro e fuori la capitale.

Anche il monastero della Vergine stellata ricevette un avviso, ma nulla lasciava sospettare che quel misero centro religioso di montagna potesse offrire asilo ai duchini: Antonio non aveva contezza dell'amicizia tra suo fratello e l'abate, così come non l'aveva suo zio Ferdinando. I sospetti si concentrarono sulla rete dei collegi gesuiti e sulle basiliche maggiori, ma si temeva che ormai fossero fuori portata oltre confine.

Invece Ottavio sapeva tutto ciò che succedeva perché l'abate lo informava personalmente quasi ogni giorno e perché i mercanti amavano parlare di eventi eccitanti come quello.

«Dicono sia già pronto il ceppo sulla piazza, che appena gli metteranno le mani addosso gli taglieranno la testa» raccontò una volta un mercante un po' paffuto, prima di tracannare un bicchiere di vino tutto d'un fiato. Ottavio era rimasto impassibile e, accennando un sorriso maligno, aveva replicato: «La volpe è braccata»

Ciò che lo inquietava non erano le ricerche di suo fratello, ma il sospetto dei monaci. Era capitato, era vero, che qualche pellegrino si fermasse per soste piuttosto lunghe, ma una coppia giovane, manifestamente nobile, rispondeva in modo singolare alla descrizione che si faceva dei due ricercati. Una sera si trovò con l'amico abate per una chiacchierata e gli rivelò senza mezzi termini il suo timore di essere tradito.

«Hai ragione ad essere diffidente - gli confidò - Il priore ha già fatto qualche osservazione in merito... Credo che non riuscirò a nascondere ancora a lungo la tua identità se resterai qui...»

«Non ho altro luogo dove andare...»

«Lo so... Devi rassegnarti al fatto che, prima o poi, qualcuno dirà chi sei ad alta voce. Non posso nasconderti ai miei monaci, non posso assicurarti che non ci sia anche Giuda tra loro... La paura e l'avidità possono spingere un debole a venderti al duca»

Ottavio si lasciò cadere contro lo schienale della poltroncina: «Non sarebbe dovuta andare così... Avevo in mente tutt'altro...»

«Non sempre le cose vanno come ci si aspetta...» riconobbe l'abate. Ottavio tremava leggermente: lo si notava soprattutto quando si accomodava meglio nella poltrona, quando stendeva il braccio verso il bicchiere poggiato sulla scrivania.

«Mio zio... Perché il Cielo non lo fulmina?» sibilò con astio, immergendo le unghie nei braccioli.

«E se tuo zio, l'altro intendo, il cardinale, prendesse le tue difese? - propose l'abate, e ancora prima di dargli il tempo di ribattere afferrò carta e calamaio, intinse la penna - Gli scriverò di venire qui in tutta fretta. Un paio di settimane ancora, non di più: quando sarà qui potrà anche svelare la tua identità. Sarai sotto la sua diretta protezione e, se non ricordo male, sei sempre stato il suo nipote preferito»

«Ci somigliamo molto... Ma non credo che si scomoderà a venire fin qui» si lamentò.

«Un tentativo non guasta. È un uomo forte, sopporterà un viaggio veloce. Avrebbe dovuto fare il militare...»

Mentre parlava, l'abate faceva scorrere la penna tracciando parole su parole, condite di complimenti e adulazione al punto giusto, senza nascondere e nemmeno addolcire il messaggio. Prima della mattina seguente un messo - analfabeta - era già partito verso il confine.

*

La porpora si confaceva alla carnagione del cardinale, così come il suo portamento era degno del figlio di un grande padre. Giovanni Maria era il secondo figlio maschio ed era stato destinato alla carriera ecclesiastica prima del primo vagito: che fosse maschio o femmina, non importava. C'era bisogno di farsi spazio nell'ambiente di curia e la necessità guidava le decisioni. Non aveva conosciuto una vita al di fuori dell'abito nero, cresciuto già con gli occhi fissi al suo futuro, con le raccomandazioni di pregare spesso, pregare sempre, anche nel sonno. La sua educazione fu capillare, tale da suscitare, alla fine, una sincera vocazione, abbracciata di slancio. Giovanni Maria non sarebbe riuscito ad immaginarsi in un altro posto, in un altro ruolo. Le cose del mondo lo sfioravano appena: non c'erano mai stati pettegolezzi su qualche donna, non c'era mai stata macchia di avidità, mai onta di ambizione. Non avrebbe potuto essere ambizioso, convinto com'era che la sua famiglia e la sua fede gli avrebbero procurato il posto che gli spettava. Così era stato, era velocemente arrivato alla porpora, prima come vescovo e poi come cardinale, vivendo l'attesa come una concessione per prepararsi meglio alle responsabilità. Era energico, colto e d'intelletto vivace: doti evidentemente passate in eredità al nipote che era il suo favorito, Ottavio, destinato, come lui, a portare lo stemma della famiglia agli alti gradi ecclesiastici.

Giunse inaspettato e il monastero fremette per organizzare i preparativi nel corso di sette od otto giorni. Il cardinale non aveva perso tempo nell'annunciare il proprio arrivo e la notizia aveva colto quasi tutti impreparati. Fu allestita la stanza più bella e spaziosa e calda; vennero comprati alimenti prelibati e fatti venire su con file di carri; si addobbarono le strade lungo cui la sua carrozza sarebbe passata. Il tutto per adulare la sua persona e ringraziarlo della cortesia, dato che l'ultima visita di qualche rilievo era stata alcuni decenni prima, e solo i monaci più vecchi la ricordavano. L'abate girava il monastero impettito e solerte, dando personalmente anche le disposizioni più pratiche, lasciando al priore giusto il fiato per corrergli dietro. Era giovane e sensuale, d'altronde, e di buon gusto in quanto a cucina e addobbi. Rimise a nuovo la chiesa, fece riparare le panche cigolanti, fece confezionare nuovi paramenti.

Ottavio era sempre più pallido, mangiava sempre meno e passava tutta la sua giornata in biblioteca: aveva avuto accesso agli scaffali segreti e non perdeva occasione di consultare i libri proibiti. Sembrava essere l'unico per nulla turbato dall'arrivo del potente zio; anzi, quasi sembrava dargli noia la sua vicinanza. In realtà, temeva un confronto che avrebbe potuto mortificarlo e, nel tentativo di sgombrare la mente dalle preoccupazioni, decise che sarebbe rimasto più lontano possibile da Galatea. Galatea rendeva materiale tutto ciò che lui rifiutava: e il suo cuore, nel segreto, era straziato da una violenza auto inflitta, perché più la allontanava, più desiderava che tutto il mondo, i suoi obblighi, le sue regole sparissero e rimanessero loro due, soli. Se da un lato Galatea rappresentava ciò che lo separava dal suo ideale di vita, quello in cui era cresciuto, dall'altro era quello stesso ideale a separarlo da Galatea.

Il cardinale giunse su una carrozza austera, senza stucchi e niente affatto consona all'immagine che il popolo campagnolo si era fatto; l'apparizione del cardinale ripagò invece le attese e fece anche dimenticare la delusione della prima impressione. Lunghi capelli bianchi sotto il tricorno rosso incorniciavano il viso lungo e asciutto, ben rasato. Gli occhi chiari scrutavano la folla festante mentre, con la mano, il cardinale la benediceva. L'abate gli venne incontro seguito dai monaci in fila per grado decrescente, baciò l'anello cardinalizio e porse il benvenuto all'illustre ospite. Si celebrò quindi una messa solenne nella chiesa del monastero, poi una funzione nella cappella della Vergine stellata. Il cardinale manifestò la propria devozione alla Madonna donando un prezioso calice d'oro incastonato di perle e pietre preziose.

Alla funzione seguì la cena, una ricca cena a base di carni rinomate e di vini invecchiati nelle cantine. I fratelli cuochi diedero il meglio di sé e si meritarono i complimenti di tutti i commensali. La cena era preclusa ai laici: nel refettorio dei pellegrini arrivarono le briciole del banchetto, consumate in silenzio. Galatea sedeva, come al solito, di fronte a Ottavio. Di tanto in tanto alzava gli occhi sul suo volto, ma per la maggior parte del tempo si guardava attorno. Erano rimasti in pochi, non si viaggiava con l'avanzare della brutta stagione; non sulle montagne, per lo meno. Chi ancora alloggiava alla foresteria era o un mercante ritardatario o qualche pellegrino che, per problemi di salute, non aveva ancora potuto riprendere il cammino. E poi c'erano loro, marito moglie e serva, da un canto, separati dagli ospiti di rango inferiore.

«Quando vedrai tuo zio?» domandò senza guardarlo. Stava masticando un pezzo di pane intinto nel condimento della poca carne che le era stata servita. Ottavio invece spiluccava da un osso di pollo.

«Domattina, credo»

«Verrò anch'io?»

Lui lasciò l'osso nel piatto e si schiarì la voce: «Certo che verrai... Ma poi dovrò parlargli in privato»

«Capisco» sospirò, allontanando il piatto.

«Credo che andrò a dormire...»

«Anch'io»

Si alzarono insieme, salutarono con un cenno gli altri ospiti e si diressero lungo il corridoio. Maria li seguiva a breve distanza.

*

A vederlo di persona, il cardinale sembrava ancora più alto. La sua voce era profonda e pacata, un suono in sé melodioso e piacevole da ascoltare. Giovanni Maria curava molto ogni dettaglio per suscitare un determinato effetto e, tra la predisposizione e l'esercizio, era giunto a un punto di virtuosismo nell'arte oratoria. Anche un semplice discorsetto di saluto, come può essere quello di uno zio al nipote amato, diventava occasione di manifestare il suo speciale talento. Galatea pendeva dalle sue labbra con gli occhi spalancati e percepiva accanto a sé Ottavio, non meno colpito. L'abate e il priore del monastero ascoltavano alla sinistra del cardinale, mentre i suoi collaboratori più stretti erano disposti ordinatamente sulla destra.

«Galatea, cara nipote e potrei dire figlia, avvicinatevi. Anche voi, Ottavio»

In quel momento gli occhi di lei brillavano per l'emozione. Il cardinale prese le loro destre, le unì nelle proprie mani e sussurrò una benedizione.

«Ho saputo che il vostro è stato uno di quei matrimoni frettolosi - spiegò subito dopo - Ciononostante, la Chiesa lo ha riconosciuto, voi siete sposati, uniti per sempre davanti a Dio. Avete l'uno verso l'altro doveri morali e materiali, doveri creati da Dio per il bene del suo popolo»

Soddisfatta, Galatea sorrise volgendo gli occhi verso Ottavio. Anche Ottavio la cercò e, impercettibilmente, si morse il labbro inferiore. Quel gesto insignificante le scaldò il cuore.

«Ora, credo che mio nipote abbia da dirmi qualcosa» osservò il cardinale.

«Precisamente, Eminenza zio» rispose Ottavio.

Rimasti soli, i due parlarono per il resto della mattinata fino all'ora di pranzo, che consumarono insieme nella camera del cardinale. Al tramonto Ottavio lasciò lo zio e si ritirò nella propria stanza, sedendosi alla scrivania a consumare fiumi di inchiostro. Galatea lo raggiunse dopo aver cenato nel refettorio insieme a Maria: non appena lo vide provò una stretta al cuore. Il duchino era pallido, con profonde occhiaie ad appesantire i tratti delicati del suo viso, e il fiato grosso di chi ha appena smesso di piangere. Ordinò alla serva di lasciarli soli e si avvicinò a lui.

«Dimmi cosa ti ha detto - bisbigliò - E' tutto perduto?»

Ottavio, in principio, non si mosse. Aveva ancora la penna in mano, le dita sporche di nero, e davanti a sé un foglio scarabocchiato.

«Ci sarebbe un modo, ma va contro tutte le regole del mondo e anche contro il mio interesse» rispose a fatica, la voce rotta.

«E quale sarebbe, questo modo?»

La sua domanda rimase in sospeso: Ottavio si alzò dalla sedia e si gettò sul letto, volgendosi a pancia in su e intrecciando le dita sul petto.

«A te non passa mai per la testa il pensiero di come può essere l'essere morti?» ribatté apatico. Galatea rabbrividì: «Dunque anche il cardinale è contro di noi?»

«Nulla ti tocca più, il tuo corpo non sente più niente... Dopotutto è vero, si riposa quando si è morti... L'anima avrà i suoi problemi, ma almeno il corpo non soffre più»

«Ottavio, tu farnetichi!» singhiozzò, portandosi le mani alle guance. Lui abbassò gli occhi su di lei: «Mi dispiace, non avrei dovuto coinvolgerti»

Galatea sedette sul materasso, tutta tesa a trattenere le lacrime.

«Mio zio ha parlato piuttosto chiaramente - rispose infine Ottavio - La nostra posizione è molto insicura, attorno a noi si stanno sollevando sospetti, accuse... Tutto falso, ovviamente, ma utile a mio zio Ferdinando per scalzarci definitivamente. Punta al titolo, e Antonio è così sprovveduto da non accorgersene. Nessuno lo sostiene, sembra che ormai l'unica salvezza sia proprio mio zio e per questo tutti cercano di compiacerlo. Noi saremmo i suoi ultimi avversari, l'ultimo ostacolo tra lui e il ducato. Vuole toglierci di mezzo a qualunque costo»

«Ma come? Ci sarà qualcuno che vorrà portare avanti la nostra causa...» obiettò lei, stringendo i pugni.

«Potrebbe esserci, è vero... Ma siamo troppo lontani per entrare in contatto con i nostri sostenitori, per rassicurarli e offrire loro delle prospettive. Tutta una parte del ducato ha interessi contrari a quelli di mio zio e noi potremmo raccoglierli... Il problema, in fondo, è se noi ci sentiamo di combattere per questa causa, se non sia meglio invece rinunciare ai nostri diritti e vivere l'esistenza di una famiglia senza responsabilità di governo... È questo che mi frulla in testa da giorni e che oggi mio zio cardinale mi ha lasciato intendere...»

«Dunque - ragionò lei - Tuo zio ti ha consigliato di lasciar perdere...»

«Non esattamente: ci sono tanti modi per influire su di un governo senza farne parte...»

«Sei misterioso...» sbuffò Galatea, sorridendogli. Lui mosse piano la mano destra, raccolse la mano di lei e la portò sul proprio petto. La accarezzò sul palmo con le dita respirando flebilmente.

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