Pieno giugno 1670 pt. 3

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Galatea riannodò rapidamente il fiocco stretto sul seno, di fretta per l'arrivo del duca, annunciatole poco prima. Il medico di corte, assistito da una levatrice e da un chirurgo ostetrico, l'aveva appena visitata e questo, in qualche modo, aveva attizzato ancora di più l'ansia di Antonio. Non era stato lui ad ordinare il consulto, non ancora: era stata un'iniziativa del principe Ferdinando, incollerito oltremisura per aver scoperto il tranello in modo così eclatante e determinato più che mai ad andare in fondo alla questione. Voleva sapere con tutta la precisione possibile l'età del feto e se questo feto esistesse davvero o fosse solo una mossa astuta per congelare lo stato delle cose. Antonio, com'era logico pensare, nutriva gli stessi timori, ma non aveva ancora preso una decisione in merito, quasi temporeggiando in attesa di avere segni più chiari della gravidanza. A Ferdinando non piaceva portare pazienza e aveva agito contro il volere del nipote, sottoponendo la ragazza alla visita quando ella si trovava ignara di tutto nella propria stanza. L'aveva vista diventare livida in volto e questo gli aveva fatto sorgere un sorrisetto di vittoria, credendo che avrebbe confessato la menzogna senza nemmeno invitare il medico nella camera. Invece, dopo un primo spaesamento, Galatea aveva ribattuto con risolutezza di proseguire, imponendo però come condizione di rimanere sola. Ferdinando aveva imposto, a garanzia del vero, la presenza di alcune donne della servitù. Lei non aveva più avuto da ridire.

Ora Antonio stava arrivando e avrebbe preteso risposte. Galatea non sapeva precisamente cosa aspettarsi e perciò fremeva di impazienza e di paura allo stesso tempo. Una serva le porse una sopravveste e lei la indossò senza accorgersene, tutta presa dal confronto imminente. Prima che potesse fare altro, qualcuno bussò alla porta, pochi colpi delicati che seminarono la confusione.

«Venite avanti!» balbettò Galatea, sottraendosi alle cure di altre due giovani serve. Un paggetto di otto o nove anni socchiuse la porta e sbirciò dentro con la curiosità innocente della sua età zampillante dagli occhi verdi e, solo dopo che l'ebbe individuata, spalancò l'uscio e recitò a voce alta e squillante la breve formula: «Sua Grazia il duca!» concludendo con un profondo inchino.

Galatea riportò l'attenzione alla porta e, all'apparire del cognato, si profuse in una riverenza che le impedì di vedere il gesto concitato con cui Antonio spedì fuori il paggetto, le serve e tutti i cortigiani che l'avevano seguito fin lì. Risollevatasi, fece in tempo a vedere il bambino afferrare la maniglia per chiudere la porta: prima di farlo, il piccolo si trattenne a guardarla affascinato, al che lei, per imbarazzarlo giocosamente, gli scoccò un bacio. Tanto bastò per farlo scappare via rosso di vergogna.

Antonio aveva seguito la scena con la faccia dura: nemmeno una simile tenerezza l'aveva distratto dai dubbi e dalle preoccupazioni. Anche Galatea, contagiata dal suo sospetto, perse il suo sorriso e rimase immobile, in attesa di conoscere quale concetto il duca si fosse fatto di lei.

Dovette aspettare, perché Antonio se ne stette ancora un po' in silenzio, per assicurarsi che, al di là della doppia porta dell'appartamento, non fosse rimasto proprio nessuno. Siccome aveva un buon udito, però, non si lasciò ingannare e, spalancata d'improvviso la porta, si ritrovò faccia a faccia con i suoi accompagnatori di poco prima. Quelli si avviarono subito, chi di corsa, chi ostentando indifferenza, verso l'altro capo del corridoio, ma nulla valse a reprimere il rimbrotto che tuonò alle loro spalle: «Badate agli affari vostri come io bado ai miei, o le carceri andranno affollandosi per la vostra sfacciataggine!»

Richiuse la porta solo quando l'ultimo cortigiano ebbe girato l'angolo e, non contento, fece segno a Galatea di parlare sottovoce e di stare lontani dalle porte.

«Siete qui per il parere del medico?» domandò candidamente lei, quando lui ritenne di aver preso sufficienti cautele.

Antonio la guardò in modo strano, come uno che cerchi di capire dall'espressione del viso se l'altra persona stia mentendo o dicendo il vero. Confuso dall'aria innocente di Galatea, bisbigliò sottovoce: «In realtà, che voi siate gravida o meno di per sé non mi interessa molto. Ma interessa a mio zio, quindi ho bisogno di sapere la verità prima di lui»

«Verità, Vostra Grazia? – si difese lei, ostentando ancora ingenuità – Non capisco...»

«C'è ancora tempo perché io impedisca che mio zio conosca il loro responso. Parlate chiaro, dunque»

Galatea, rimasta veramente senza parole, corrugò leggermente le sopracciglia.

«Cosa dice il medico?» domandò d'un fiato lui.

Prese un respiro, poi: «Sono gravida di circa cinque mesi» asserì più tranquilla, accarezzandosi il ventre. Antonio seguì con gli occhi attenti il movimento premuroso, quindi con espressione corrucciata: «Per davvero?» borbottò.

Ora toccò a Galatea cambiare espressione, non tanto perché non avesse capito, quanto perché, invece, aveva capito benissimo: «Come sarebbe a dire?» domandò con un filo di voce per la sorpresa.

«Davvero aspettate il figlio di mio fratello? È veramente figlio suo?»

«Siete di quelli che credono che mi sia concessa ad altri? – replicò offesa, allontanandosi di un passo – Se anche voi tenete più al vostro potere che alla vostra famiglia, siete libero di non crederci e di insinuare cose cattive riguardo a me; come vostro zio, d'altronde»

Antonio le tenne dietro, guardandole sconvolto la pancia, senza nemmeno ascoltarla; Galatea si parò con le braccia, temendo che volesse farle del male, ma il duca tese lentamente le mani, quasi non si accorgesse dei suoi timori. Lei continuò a fissarlo in allarme, ma non si sottrasse quando le sue dita, rispettosamente, sfiorarono la stoffa della sopravveste.

«Ottavio avrà un bambino – rise tra sé come di cosa incredibile – Chi l'avrebbe mai detto?»

A quel punto premette delicatamente entrambi i palmi sul suo ventre, si prese la libertà di venirle vicino per farlo. Nonostante si sentisse profondamente a disagio, lei gli concesse lo spazio che lui, inconsapevolmente, richiedeva. Un groppo alla gola le mozzava il respiro e gli angoli delle labbra si piegavano verso il basso senza che potesse più camuffare lo stato di ansia in cui si trovava a vivere.

«Cinque mesi fa mio fratello era ancora presso di voi...» constatò Antonio, traendosi un poco discosto, ma attratto da lei come una falena dalla lanterna.

«Precisamente, Vostra Grazia...» lo assecondò, cercando di tornare serena come gli si era presentata.

«Mio zio andrà su tutte le furie quando glielo diranno, non trovate?» continuò il duca con entusiasmo, come se adesso si divertisse. Lei ammutolì, incerta se confidarsi o meno, incerta se convenisse esporsi oppure no. Non sapeva se il duca fosse al corrente del piano e sapeva che, messa in movimentola macchina, sarebbe stato difficile arrestarla. Decise perciò di mantenere sul viso la maschera della triste vedova rassegnata, benché una sorta di sesto senso la esortasse a ben sperare.    

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