Settembre 1669 pt. 3

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

«Come potevo sapere che tu fossi qui?!» protestò di fronte alla sua espressione tradita.

«Sei la duchessina, ora: pensavo che il tuo confessore ti avesse avvertita!» ribatté Paolo, arrossendo di stizza. Galatea lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e mosse un'occhiata allarmata tutt'attorno.

«Parla piano, o attireremo qui le guardie» bisbigliò.

«Sarebbero già due anni e più dal nostro matrimonio... A quest'ora avremmo avuto una famiglia!» continuò Paolo, gesticolando. Galatea indietreggiò e sentì dietro di sé il muro grezzo della scuderia. Un cavallo nitrì non molto lontano, un altro scalpitò battendo gli zoccoli sulla paglia. Paolo sbuffò, come fosse anche lui un cavallo della scuderia ducale. Galatea invece rabbrividì, pensando di essere in trappola.

«Devo chiamarti "Vostra Altezza", adesso?» ringhiò Paolo, costringendola a schiacciarsi ancora contro il muro.

«Solo in pubblico, Paolo, solo in pubblico» si affrettò a rispondere, quasi ansimando.

Gli occhi di Paolo brillarono: «Vuoi dire che potremo vederci anche in privato?»

Galatea sbigottì di fronte a quell'impertinenza: «Sono sposata adesso!» fu tutto ciò che riuscì a dire.

«Certo, sei la moglie del duchino - disse Paolo - Con lui non hai avuto difficoltà davanti al prete»

Galatea, in uno slancio di disperazione, afferrò le mani di Paolo, forse per impedirgli di gesticolare come un matto, forse per dimostrargli gli ultimi segni d'affetto che poteva permettersi: «Paolo - sussurrò - Io ti ho voluto tanto bene e vorrei che ricordassimo quei tempi con nostalgia, non con rancore...»

«Ti ricordi come ti chiamavo?» la interruppe. Galatea gli lasciò le mani e appoggiò la testa alla parete: «Paolo...»

«Ti chiamavo "amore mio", "tesoro", "stella", "luce dei miei occhi". Tea, - e le prese il viso tra le mani - Tea, lui non ti chiama così, vero?»

Galatea sentì le lacrime sull'orlo delle ciglia: «No...»

Paolo si chinò su di lei e la baciò. Era un bacio appassionato come quelli che si scambiavano di nascosto nei corridoi del palazzo ducale; a dare un brivido in più c'era la nuova condizione che li allontanava ulteriormente l'uno dall'altra; c'era Ottavio. Ottavio era l'elemento di disturbo, ma senza di lui non ci sarebbe stato lo stesso senso di proibito. Paolo rivendicava un possesso antico a un recente usurpatore; Galatea sfogava la frustrazione dovuta alla distanza e accumulata via via che gli eventi di corte la coinvolgevano nel loro gorgo fatale. Sapeva di compiere un grave errore, mille volte peggiore dell'errore da cui padre Saverio l'aveva distolta. Tante immagini presero a vorticare nella sua mente e Ottavio era la costante che le univa in una storia con un senso.

Paolo la spinse con il proprio corpo contro il muro e lei lo abbracciò stretto a sé. Mentre ricambiava il suo bacio le lacrime scendevano lungo le sue guance, ma lui non se ne preoccupò.

«Tea, non tornare da lui - le disse a un tratto - Prendiamo un cavallo e scappiamo insieme, andiamo via da qui»

Galatea riprese fiato appoggiandosi tutta al muro. Le sue braccia erano ancora abbandonate sulle spalle di Paolo, e le mani di Paolo erano salde sui suoi fianchi. Aveva i capogiri, si sentiva avvampare, temeva di svenire. Pensò a quale scandalo l'avrebbe travolta se, svenuta, l'avessero trovata sola nelle scuderie in compagnia di un giovane, magari con il rossetto sbavato.

«Devo andare via, Paolo...» bofonchiò, ansimando.

«Sì, sì! Andremo via insieme...»

«No! - esclamò scostandolo - Devo tornare nel mio appartamento»

Paolo aggrottò la fronte: «Piano, Tea. - disse tra i denti - Vieni con me»

«Lasciami!»

Si divincolò sottraendosi a lui e muovendo qualche passo di corsa verso l'esterno.

«Tanto tornerai da me! - rispose Paolo guardandola fissa - Non puoi starmi lontana troppo a lungo. Sai dove trovarmi»

*

Sì, sapeva dove trovarlo, ma non aveva modo di raggiungerlo. Se per il breve frangente di quella sera era riuscita a sfuggire alla custodia delle guardie, intente a tracannare bicchieri di vino in compagnia di suo marito, il quale sperava di ottenere qualche informazione facendoli ubriacare, da allora il capitano si era fatto più furbo e non consentiva più simili riunioni ai suoi sottoposti. Ottavio storceva il naso, percependo a pelle l'ostilità di chi avrebbe dovuto proteggerlo, certo che aspettassero solo un segnale per ucciderlo. Galatea, dal canto suo, non si accorgeva di questi rivolgimenti se non proprio perché ostacolavano il suo desiderio di ricongiungersi con Paolo: una guardia la scortava sempre ovunque andasse, eccetto che nelle sue stanze private. La aspettava fuori e poi la seguiva in silenzio, scandendo il tempo della marcia con i pesanti tacchi di ferro.

Qualsiasi invito, qualsiasi programma era da sottoporre al capitano: questioni di sicurezza, si giustificava lui, uomo di trentacinque anni incattivito dalla disciplina militare. Ottavio lo sfidava di frequente con sguardi acuminati e commenti sarcastici; il clima non faceva che guastarsi di giorno in giorno.

«Prima o poi quel brutto ceffo mi affonderà un pugnale nel cuore» constatò il duchino una settimana circa dopo il loro arrivo. C'erano solo Galatea e Maria in quel momento, la porta della camera era chiusa a chiave e la finestra era serrata.

«Gli renderai più piacevole il compito se continuerai a punzecchiarlo come una zanzara» sbuffò Galatea, porgendo i capelli alla serva perché li pettinasse.

«Credo che lo farebbe con piacere anche se mi inchinassi davanti a lui tutte le mattine - ribatté Ottavio camminando per la stanza - Non ha un gran concetto di me né come duchino, né come uomo»

«Comincia ad abbassare i toni e a trattarlo con rispetto» replicò lei, con tono tagliente.

«Adesso ti metti dalla sua parte? Mi sento prigioniero, controllano il mio studio tutti i giorni e dicono che è un fatto di sicurezza! Mio fratello si prende troppo a cuore la nostra salute» sbottò. Maria passava la spazzola ciocca dopo ciocca a viso chino, le labbra tese.

«Credevo che allontanandoci saremmo stati al sicuro, invece è accaduto come dicevi tu: la nostra scorta sarà il nostro boia»

«Grazie, Maria, può bastare» disse Galatea alzandosi in piedi. La invitò ad uscire e, quando fu sola con Ottavio, gli parlò schiettamente: «Avevi detto che avresti provveduto a liberarci della loro presenza»

«Certo! - rispose alzando le mani - Certo! Lo farei, se solo mi riconoscessero una qualche autorità. Ma io non ne ho, e non ho sufficiente denaro con me per comprarmi la loro fedeltà; anzi, dubito che questo basterebbe a proteggerci. Quando ci avranno ucciso si prenderanno tutto ciò che è di valore; parleranno magari di un attacco di banditi, di ribelli contro il duca, daranno la colpa ai contadini affamati... Noi intanto non saremo più una preoccupazione per mio fratello»

«Andiamo via, allora - disse Galatea, e subito pensò a Paolo - Hai detto che sarebbero venuti a salvarci. Non ho visto ancora nessuno. Invece io conosco qualcuno che potrebbe essere disposto ad aiutarci»

Ottavio si fece sospettoso. La guardò in silenzio, poi bisbigliò: «Conosci qualcuno?»

Galatea si morse la lingua, ma decise di andare avanti: «Sì. Lo stalliere, conosco lo stalliere. - ripeté - Era un mio compagno di giochi quando da bambina vivevo i miei primi anni a palazzo. Poi lo trasferirono qui per servire tuo padre durante le sue battute di caccia. Se gli domando aiuto, certo non si tirerà indietro»

«La posta è alta. C'è in gioco la vita...» obiettò.

«Lasciami tentare. Inventati un modo per tenere la mia scorta lontano da me, così potrò andare a parlargli di persona» osò chiedere.

«No - fece lui poco dopo - Meglio se mandiamo Maria. Sa leggere, lo stalliere?»

«Sì»

«Bene. Gli manderò un biglietto. Vedremo come organizzare la fuga»

Galatea si lasciò sfuggire un sospiro che attirò di nuovo l'attenzione di Ottavio.

«Ho paura» sussurrò. E in parte era vero, ma il sospiro non nasceva da questo: era lo sconforto di vedersi scappare un'altra occasione per vederlo.

«Anch'io» rispose Ottavio sussurrando, e le sorrise.

*

«Non fate una partita a carte prima di andare a dormire?» domandò il capitano tendendo ad Ottavio un mazzo di carte.

«No, vi ringrazio - rispose educatamente - Non ne ho voglia questa sera»

«E di cosa avete voglia?» insinuò malizioso l'ufficiale.

«Di dormire, francamente» ribatté Ottavio, raffreddando il tono di voce con cui gli parlava. Aveva cercato di essere gentile come Galatea gli aveva suggerito, ma era evidente che con quell'uomo la sua pazienza non bastava.

«Buona notte allora, Vostra Altezza» salutò il capitano e, con un cenno, spedì uno dei soldati lì radunati a fargli da scorta lungo il corridoio.

Galatea lo aspettava già in camicia da notte; Maria riposava in una saletta accanto. Ottavio si gettò dietro il paravento borbottando maledizioni sottovoce. Si sfilò bruscamente la cravatta, gettò la giacca sul cassettone e lasciò giustacuore e camicia penzolanti sull'altro lato del divisorio. Quindi si tolse i pantaloni, lanciandoli con buona mira su una seggiola accanto alla finestra. Abbandonò le scarpe e le calze da un lato e si lasciò cadere addosso la camicia da notte. Il tutto con una svogliatezza che tradiva in modo lampante la sua frustrazione. Galatea gli scostò le lenzuola e lui la ringraziò per questo. Lei lo guardava con un misto di compassione e di distacco, ma lui era troppo preso dai propri pensieri per accorgersene.

«Buona notte, Tea» sussurrò, e la sua voce suonò di nuovo soave. Si protese verso di lei e la baciò teneramente sulla guancia destra, esitando a ritrarsi, aspettando il bacio di lei. Un bacio che non venne. Allora si tirò indietro sbigottito e la sua espressione bastò a suscitare in Galatea il bisogno di giustificarsi: «Scusami. È che questa sera sono un po' giù...»

«È per colpa loro, vero?» domandò, alludendo alle guardie.

Galatea fece spallucce, rintanandosi. Lui la imitò, allungò la mano fino alla candela e la spense con due dita.

Era notte fonda quando Galatea socchiuse gli occhi. Il buio era pressoché totale all'inizio, poi la sua vista si abituò e le sottili strisce di luce argentea che penetravano dagli scuri le furono sufficienti a riconoscere il profilo dei mobili e degli oggetti. Le capitava, a volte, di svegliarsi ad ore insolite; solitamente avveniva in seguito a un sogno o a un rumore. In quel momento non ricordava perché si fosse svegliata. Di certo era troppo vigile per sperare di riaddormentarsi in fretta. Perciò si mise a pensare a Paolo, al bacio rubato nelle scuderie, al senso di rischio che l'aveva fatta rabbrividire. Pensò anche alle lacrime: si chiese perché avesse pianto e si rispose adducendo la paura di essere scoperti, oppure la nostalgia dei bei tempi, ma sapeva che non erano le risposte adatte. Il suo cuore non aveva partecipato a quel bacio, era stata una voglia viscerale che, per quanto l'avesse coinvolta, non l'aveva convinta.

Ottavio si mosse, probabilmente per girarsi su un fianco. Non ci badò troppo, gli dava le spalle; ma quel movimento bastò a ricordarle la sua nuova vita, una vita di cui Paolo non avrebbe potuto fare parte. Uno dei due era di troppo.

Ottavio strisciò sul materasso. Ottavio era in vantaggio; d'altronde era pur sempre suo marito e, ci pensava solo ora, aveva passato molto più tempo con lui che non con Paolo. Dei due, conosceva sicuramente meglio il duchino dello stalliere.

Ottavio si mosse ancora. Galatea chiuse istintivamente gli occhi, per non farsi scoprire sveglia.

«Tea?» chiamò lui, ma lei rimase zitta, come fosse profondamente addormentata. Lui si avvicinò sui gomiti, sollevandosi sopra di lei. Galatea sentì che le scostava delicatamente i capelli dal viso e dal collo, sistemandoli sul cuscino e oltre le sue spalle. Poi cominciò ad accarezzarle la guancia destra. Era distesa, infatti, sul fianco sinistro.

Il suo respiro, calmo e regolare, sfiorava delicatamente la sua pelle. Per un breve istante pensò di porre fine alla messinscena, aprendo gli occhi e voltandosi, ma cambiò idea in fretta, limitandosi a un mugolio di fastidio che gli fece ritrarre la mano. Tuttavia era fermo lì, proprio dietro di lei e, da quanto poteva immaginare Galatea, la stava ancora fissando. Riprese ad accarezzarla dopo un momento e le sue dita indugiarono sulla sua guancia per poi scendere alle labbra leggermente socchiuse, al mento, per poi tornare alla guancia. Galatea affrettò i respiri senza volerlo, intimorita. Seguì un attimo di sospensione: era fermo, probabilmente stava pensando a qualcosa. Infine, poggiato il braccio sul materasso al di là di dove si trovava lei, Ottavio si chinò sul suo viso, baciandole la guancia una, due, tre volte. Galatea ebbe un tuffo al cuore, ma riuscì a rimanere ferma. Ottavio ritrasse il braccio e si coricò senza scansarsi. Erano entrambi nella metà sinistra del materasso, così vicini da potersi sfiorare al minimo movimento. Ma non era finita: quando ormai Galatea pensava che si fosse addormentato, Ottavio le cinse lentamente la vita con il braccio destro, stringendola contro di sé. La fronte di lui poggiava contro la nuca di lei, il suo petto contro la sua schiena. Tuttavia Galatea non la prese come un affronto, come un'offesa e nemmeno come un'invadenza. Quasi le piaceva quel contatto che rimaneva rispettoso e che non osava inoltrarsi in ciò che le circostanze avrebbero concesso. Si domandò soltanto se quella fosse la prima volta o se fosse una tradizione che andava avanti da più tempo. Sospirò, muovendosi impercettibilmente per mettersi comoda; lo sentì trattenere il respiro, ma poi, vedendo che rimaneva ferma, si calmò e le si strinse vicino più di prima. Passarono pochi minuti e Galatea mosse lentamente un braccio e pose la propria mano su quella che Ottavio le teneva sulla pancia. Fu un momento di straordinaria dolcezza; Ottavio, però, temette di averla svegliata e si scostò lesto come un leprotto, sfilando la mano; al che lei si volse e lo cercò: «Ottavio?» disse in un sussurro.

Silenzio, dapprima. Poi: «Eri sveglia?»

Ottavio era una voce, ora che il contatto era terminato e lui si era ritirato nella sua metà.

«Sì, in realtà...» ammise, sperando con questo di fargli capire che, dopotutto, le sue attenzioni non l'avevano infastidita.

«Scusami, non so cosa mi sia preso...» borbottò, tirando a sé le lenzuola che erano scivolate di lato.

«Non fa niente...»

«Non mi era mai venuta in mente un'idea simile prima d'ora... Non so, Tea... Perdonami»

E con questo la conversazione si chiuse. Il silenzio tornò sovrano insieme con il buio.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro