11.Fluire

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Dazai

I primi due giorni di lavoro sono stati peggio delle montagne russe: paura, autocommiserazione, ansia, sollievo, gioia, che si alternavano in un unico sospiro. Tornavo a casa strisciando totalmente svuotato e ad attendermi in camera trovato lui coi compiti già fatti e mille domande.

Solo quando usciva per iniziare il suo turno di lavoro potevo permettermi di crollare definitivamente sul letto. 

Anche oggi non è stato diverso, solo che Chuuya è fermo sulla porta, evidentemente indeciso se uscire o meno, e mi fissa con l'espressione imbronciata di un bambino. Il suo atteggiamento nei miei confronti è mutato, non è più rigido e intimidatorio, e spesso lo trovo concentrato a guardarmi come se volesse risolvere un rompicapo.

«Bisogno?» chiedo con voce rauca, non sono abituato a parlare così tanto. Gli amici di Oda sono due chiacchieroni e mi riempiono di domande come se volessero rivivere la loro adolescenza attraverso me. Purtroppo sono una delusione in questo campo, per non fargli perdere l'interesse nei miei confronti ho deciso di raccontargli del mio compagno di camera. I due maghi di Harry Potter sono peggio delle pettegole della classe, ogni martedì mi attendono con trepidazione solo per sapere come procede questo legame mistico che si sta istaurando tra di noi. Non riesco proprio a capire come riescano a creare questi film mentali. Caterina, che è la titolare del negozio su carta (lo ripete sempre quando litiga con Franco) è una fujoshi* incallita. Secondo la sua mente malata noi siamo già fidanzati, rabbrividisco ogni volta che lo ripete con gli occhi sognanti.

«Come ti trovi?» ha la mano appoggiata alla porta e cerca incessantemente di scavare un foro con le unghie come un picchio maldestro.

«Sdraiato?» qualche giorno fa non avrei avuto la capacità di rispondere in questo modo, mi sarei ritratto tremante e la notte avrei cercato la lametta. Invece non si sono aggiunti tagli sulle mie braccia e Chuuya non mi spaventa più.

Sorride e smette di picchiettare «No cretino, intendo al lavoro» i suoi occhi brillano divertiti.

«Come dire.... travolto potrebbe essere la parola adatta ma in senso piacevole» vorrei riuscire ad esprimere correttamente il mio stato d'animo ma le emozioni sono un groviglio difficile da sciogliere e sceglierne solo una in quella matassa è sempre stato difficile.

«Cavolo è come descriverei la mia esperienza! Sono carini davvero però un po' troppo impiccioni» mette le mani nelle tasche dei jeans e dondola sui talloni «credi...credi che ce la faremo?»

Sento una morsa allo stomaco «Siamo messi meglio di molti altri, no?»

Annuisce prima di voltarsi e chiudere la porta.


Chuuya

Non ricordo nemmeno più quando ho iniziato a temere le persone. I ragazzi che frequentavo nelle varie case famiglia erano violenti e spesso finivo in qualche angolo terrorizzato e pieno di lividi. Nessun adulto curava le ferite con un bacio, la mia saliva era l'unica medicina che conoscevo. Crescendo è stato sempre peggio finché non mi sono unito alla gang di Pietro, allora tutti hanno smesso di importunarmi e mi sono sentito importante. Ora ero io quello forte. Quello che picchiava. Rubavamo ai compagni di classe, nei piccoli supermercati e poi... poi un giorno il Capo ha detto che ero grande abbastanza per fare il mio primo colpo. Era semplice, dovevo rubare il portafoglio ad un pensionato fuori dalla Posta. Uno scherzo da ragazzi. 

Le viscere si contorcevano ed ero malfermo sulle gambe ma volevo essere forte, un duro come loro, quindi sorrisi e sparai una battuta del cazzo riguardo alla facilità dell'impresa. 

Ora appartenevo a qualcuno, proprio io che non ero mai stato voluto. I ragazzi mi incitarono con pacche sulla schiena e commenti volgari. Il Capo sorrideva.

La vittima designata era una signora incartapecorita che barcollava appoggiata al bastone, a stento sembrava riuscire a vivere fino al giorno dopo. 

Fu la scelta peggiore: appena sfiorai la borsa la nonnina mi assestò un colpo secco e sicuro nei coglioni. La polizia mi ritrovò ancora agonizzante sul marciapiede.  Venni portato in centrale e fu il mastino ad accogliermi e sempre lui quello che mi accompagnò al centro recupero. I ragazzi della gang, quelli a cui credevo di appartenere, sparirono. Solo il mastino si faceva vedere tutte le settimane, come se gli importasse qualcosa dei miei progressi. Ancora oggi non capisco cosa voglia da me.

Il cerbiatto è diverso. Non è pericoloso, non ho paura che possa aggredirmi nel sonno o cercare di ingraziarsi qualcuno facendo la spia su ciò che combino. Non gli interessa che faccio, è talmente preso dai propri problemi da non vedermi neppure. Questo significa che non devo proteggermi, in sua presenza posso abbandonare per un momento l'armatura e respirare. Provo una sensazione strana quando accade, l'ho indossata per così tanto tempo che non riconosco più il me stesso che si cela sotto di essa.

Scendo l'ultimo gradino diretto all'ingresso e quasi mi scontro con Lucy che cammina inciampando su tacchi troppo alti e troppo appuntiti. Giurerei di aver sentito odore di alcool, si sistema meglio la minigonna ed esclama un "ciao" alla Jessica Rabbit**. Cerco di allontanarmi senza mostrare disgusto, non ho mai apprezzato le avance delle ragazze aggressive e tutto di lei urla "scopiamo subito". Qualche volta ho ceduto a baci al sapore di sigaretta e burrocacao alla fragola ma erano vuoti come i loro cuori. 

«Ehi» saluto con un gesto procedendo verso la porta, mi ferma prendendomi per un braccio. Vorrei strattonarla via ma le ragazze come lei sanno essere anche pericolose.

«Dove vai così di fretta? Qualche appuntamento?» passa la lingua sulle labbra, ha il rossetto sbavato.

«Al lavoro» rispondo piatto.

«Che perdita di tempo, tanto non durerà. Non funziona mai nulla per quelli come noi» 

Pericolo o no questa volta mi libero dalla presa ed esco senza rispondere. 

Corro a prendere l'autobus,  ho una strana sensazione che serpeggia nelle viscere.

****

*letteralmente "ragazze marce", sono donne che adorano i BL.

** Chi ha incastrato Roger Rabbit? (film del 1988)


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