6. Scuola

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Dazai

Appoggio lo zaino accanto al banco. I prof hanno deciso di spostarci nuovamente. Sono posizionato esattamente a metà classe, vicino al muro. Non tra i primi banchi, dove gli altri si lamentano che non potranno più copiare o chiacchierare, e nemmeno in fondo dove puoi diventare invisibile e fare ciò che vuoi. Qui nel mezzo si vive di fortuna e io in genere non ne ho molta. Seduta al banco accanto c'è Ivana, prima dell'incidente tornavamo a casa sempre insieme in pullman. Ci conosciamo dalle medie. Eravamo amici. Ora abbassa lo sguardo pur di non rivolgermi un saluto. Tutti in classe mi ignorano. 

Non posso biasimarli. 

Non sono più lo stesso ragazzo di allora. Non gioco più a basket. Non pranzo più con loro al Poképiade. Non vado più al ritrovo in piazza del sabato pomeriggio. Sono stato ricoverato due volte. Le mie braccia sono a zig zag e non per un tatuaggio.

Sono una compagnia sgradita.

Sono consapevole di averli indotti a comportarsi in questo modo con me, ho rifiutato ogni tentativo di aiuto, ogni gentilezza, ogni coinvolgimento. Non potevo sopportare quello sguardo pietoso. Quegli occhi non facevano altro che ricordarmi ciò che avevo perso. 

Esiste un Osamu del prima e un Osamu del dopo. Sono due entità che non collidono. L'Osamu del dopo ha assassinato quello del prima.


Chuuya

Il piccione piega la testa e tuba convinto che abbia qualcosa da mangiare. Si avvicina beccando a terra, crede di impietosirmi. Muovo il piede e svolazza più lontano. Nascondo le mani nella tasche della felpa. Ho solamente settanta euro in portafoglio, gli ultimi spiccioli datomi dallo Stato convinto che sia una cifra sufficiente per vivere. Cosa devo fare ora? Devo trovarmi un lavoretto, ma dove? Forse un giro in centro potrebbe schiarirmi le idee, di certo non risolverò nulla seduto su questa panchina. 

Tiro un calcio ad una lattina abbandonata e mi avvio verso il supermercato. Magari avrò fortuna.

«Non dovresti essere a scuola?» un'auto della polizia accosta. Kunikida. Cazzo non ci voleva.

«A cosa serve? Ho bisogno di un lavoro» riprendo a camminare con passo spedito, ovviamente non cede. Non molla mai la presa il mastino.

«Sali in macchina, ti accompagno» la portiera si apre e scende.

Potrei correre ma è inutile, è più atletico di me e lo sappiamo entrambi.

«Vaffanculo! Quand'è che mi lascerai in pace» gli grido contro mentre salgo sul sedile del passeggero. Detesto andare a scuola, peggio ancora se accompagnato dalla volante. Accendi anche le luci così diamo spettacolo. 

«Ragazzo manca poco, almeno finire il professionale. Per fare tre anni ce ne hai messi cinque. Fai questo minimo sforzo e diplomati. Ti servirà in futuro e mi ringrazierai»

Ecco avevo proprio bisogno dei suoi consigli da adulto cresciuto in una famiglia per bene che non sa assolutamente nulla della vita di noi scarti. Guardo fuori dal finestrino sperando di interrompere qualsiasi discorso sul nascere.

Non sono così fortunato.

«Se prometti di andare a scuola e diplomarti ti aiuterò a trovare un lavoretto part time»

Lo guardo con la bocca aperta «Davvero?»

«Certo» mette la freccia. Siamo arrivati.

«Perché?» cosa vuole da me questo tizio, la vita insegna che gratuitamente non si ottiene nulla. 

Sorride «Un giorno forse te lo dirò. Ora vai. La scuola ha il mio nome come tuo tutore. Ah! Meravigliosa tua faccia schifata. Non te l'aspettavi eh? Se non ti presenti mi telefonano. Riga dritto e ti aiuterò»

Scendo dall'auto frastornato e mi accorgo solo ora di non aver la cartella con me.

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