6. Give me a piece of your heart

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«Che fai? Non mangi?» mi chiede all'improvviso, incastrando lo sguardo nel mio e osservandomi con aria interrogativa.
Io scuoto la testa, con la mente che vaga, senza sosta, in un passato a lei sconosciuto.

Chissà se anche lui, nel viaggio che ha affrontato invece di restare al fianco di sua figlia, è stato in questo pub a mangiare delle insipide patatine fritte e a bere della coca-cola scadente in una lattina sbiadita.

«Scusami, stavo pensando. Niente di cui preoccuparti.»

«Oh ma io non mi stavo preoccupando.» annuncia con disinvoltura, continuando ad abbuffarsi senza il minimo ritegno e dimenticandosi perfino di respirare tra un boccone di panino e l'altro.

L'atmosfera nel piccolo locale è statica, immobile, arricchita solo da pochissimi sospiri e da un lieve chiacchiericcio in sottofondo; il rumore delle posate contro la ceramica è l'unico suono degno di nota in mezzo a tutto il resto; d'altronde, la clientela sarà al massimo di dieci persone totali.
«Beh, grazie per la considerazione.» Sussurro prima ancora che possa rendermene conto.
Mi colpisco la fronte con il palmo della mano, maledicendomi mentalmente per aver parlato e sperando con tutta me stessa che lui non mi abbia sentita.

«Se non ricordo male, sei tu quella che ha proposto di ignorarci a vicenda e di non approfondire questo rapporto fino alla fine del viaggio.» Come non detto.
Lo sconosciuto fa una pausa, passandosi una mano tra i morbidi capelli color miele e addentando un altro pezzo di panino. «Com'è che avevi detto? Ah, sì! Ti piace prevenire le cose che non influenzeranno la tua vita.»

«In realtà ho detto "che non avranno influssi significativi nella mia vita".» Lo punzecchio con un lieve ghigno misto a una sottospecie di sorriso.

«Ma è la stessa cosa! Non fare la puntigliosa, dai!» esclama teatralmente, con tanto di sospiri e alzata di braccia verso il cielo.
Il silenzio cade come un velo pesante tra i nostri corpi e le nostre labbra si sigillano, legate da un filo di invisibile complicità. Non è uno di quei silenzi assordanti, quelli che ti fanno tremare al solo pensiero di non riuscire a trovare un argomento di conversazione, quelli freddi e dettati dal semplice buonsenso imposto dalla società.
La tacita atmosfera che aleggia attorno ai nostri i corpi è diversa ed estranea, quasi confortevole.

Abbasso lo sguardo verso la piccola porzione di patatine, abbandonandomi a un leggero sorriso.

«Amaranta, ascoltami. Adesso devi alzarti senza fare rumore e seguimi, va bene?» la sua voce è sottile come un sussurro, immobile, gelida come un grido.
Rivolgo il viso nella sua direzione:«Perché?» chiedo poi, sporgendomi in avanti.

«Ci hanno trovati.»

Tre parole.
Lo sparo, la sentenza, il colpo decisivo che mi desta dall'illusione di essere libera.

Il cuore mi si incastra nella laringe, il respiro si spezza per via della massa ferma sul fondo della gola e le dita tremano senza riuscire a fermarsi.

Ammetto di aver pensato che scherzasse fino a questo momento e forse, in tutta sincerità, avrei preferito continuare a crederlo.

«Ma com-» mi blocca con un veloce gesto della mano. «Se non vuoi morire devi stare zitta, passarmi la tua felpa e fare tutto quello che ti dico io.»
Lo ascolto senza pensarci due volte, inesperta come sono di situazioni in cui l'adrenalina e il panico prendono il sopravvento sulla lucidità. Gli passo la felpa da sotto il tavolo e lui se la infila in fretta, adagiando il cappuccio di cotone sulla testa. Poi mi stringe la mano destra, trascinandomi verso l'uscita proprio nel momento esatto in cui i due uomini tarchiati sono intenti a fare alcune domande al cameriere di turno.

«Non ce ne frega un bel niente della tua memoria di merda, chiaro?! Adesso tu ci dici dove sono i due ragazzi che stiamo cerchiamo e la finiamo qua. Altrimenti te la facciamo pagare senza pensarci due volte.» Uno dei due uomini afferra il docile cameriere per il colletto, sollevandolo di alcuni centimetri dal pavimento. Alcune gocce di sudore scivolano lungo le tempie della vittima e non riesco a fare a meno di pensare che quell'uomo si trova in queste condizioni per colpa nostra.

Scuoto la testa, voltando il capo.
Non posso permettermi di cedere proprio adesso che siamo sul punto di farcela.

«Non sai niente? Bene. Allora non ti dispiace se teniamo i tuoi clienti come ostaggi e li cerchiamo, che ne dici... Larry?» pronuncia il suo nome con disgusto, sputandogli addosso.
Riesco a sentirlo.
Anche se non lo vedo, riesco a sentire tutto.

«Vedo che siamo tutti d'accordo, allora!» esclama infine.

Il mio cuore è fermo, le palpebre sbarrate; il corpo, invece, è ormai incapace di ossigenarsi autonomamente.

«Stai tranquilla Amaranta, siamo quasi fuori di qui. Sei in questa situazione per colpa mia, quindi non permetterò a quei due idioti di farti del male.» E le sue parole, per quanto effimere e incerte possano essere, mi trasmettono la sicurezza necessaria per andare avanti, passo dopo passo, e varcare la soglia del piccolo locale illuminato dal solo chiarore del giorno.

La suola dei miei stivali aderisce contro il marciapiede e il petto si gonfia di sollievo; sorrido, trattenendo qualsiasi altra reazione.

Non siamo ancora fuori pericolo.

Mi aggrappo con foga alla mano del mio compagno di viaggio e continuo a camminare con lo sguardo dritto verso il pulmino parcheggiato sul ciglio della strada.

«Corri.»

Le sue labbra mi sfiorano l'orecchio sinistro e, come spinta da una forza di irrefrenabile e pura follia, faccio esattamente quello che mi dice.
Gridiamo all'unisono, beandoci dell'effimera libertà che ci viene concessa, e ci rifugiamo all'interno del pulmino col cuore stretto in petto. Metto in moto il veicolo, avvertendo il rombo che fa da accompagnamento alla nostra ennesima fuga.

«Pronto per scappare un'altra volta?» gli chiedo all'improvviso.

Mani strette contro il volante e un leggero sorriso che mi accarezza la pelle.

«Non aspettavo che mi dicessi altro.»

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