xxxᴠ - ᴄʜᴏᴋᴇ ᴛʜɪꜱ ʟᴏᴠᴇ 'ᴛɪʟ ᴛʜᴇ ᴠᴇɪɴꜱ ꜱᴛᴀʀᴛ ᴛᴏ ꜱʜɪᴠᴇʀ

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Non mi rendo conto di aver chiuso gli occhi, una volta che Addie è uscita dalla stanza.

Sembrano passati secondi in effetti, quando le mie palpebre si riaprono alla luce bianca della realtà.

Stanca, forse. Con la voglia di spegnere tutto e di non perdermi in idee sbagliate e che hanno il profumo di auto sabotaggio.

Quasi senza pensarci, la mia mano cerca in un gesto veloce, l'accendino ancora incastrato fra l'elastico dei miei pantaloni e la mia pelle, come a voler essere sicura che sia ancora lì, nascosto, lontano dalla vista di chi potrebbe portarmelo via.

Per la prima volta da mesi, ho il diritto di scelta. Ho la decisione di una strada da prendere nelle mie mani.

Mi alzo lentamente dal letto, nella speranza di essere ancora in tempo per la cena e soprattutto per le medicine che mi spettano come ogni giorno, mentre mi muovo a passo spedito fuori dalla camera da letto mia e di Addie per percorrere il corridoio e le scale che mi portano al piano terra.

Ruth è sempre lì, dietro il bancone della mensa, ancora intenta a smaltire la fila di pazienti che aspetta la propria cena.

Mi ritrovo, quasi involontariamente, a cercare la figura di Addie al nostro solito tavolo, intenta a fissare uno dei suoi pasti frullati accanto ad Emmett al suo fianco.

Esalo un sospiro, facendo un passo avanti e avvicinandomi sempre di più al vassoio che verrà riempito di lì a breve.

«Da sola oggi?» le parole di Ruth mi risvegliano dal flusso indistinto di pensieri che invade la mia testa e che passa dall'andarmene via da questa stanza alla necessità di ingerire le mie medicine.

«Mi ero addormentata, sono state giornate difficili» ammetto senza neanche guardarla. Conscia che mi stia rivolgendo uno dei suoi sguardi pieni di conforto e compassione mentre inserisce la cena negli appositi piatti.

«Ecco a te» dice, prima di spingere verso di me il cibo di questa sera. «Un buon pasto ti farà stare meglio, ne sono sicura»

Annuisco, in un tentativo di sorriso che però non sembra tale, prima di avviarmi verso il tavolo già occupato.

Forse dovrei evitare. Il modo in cui ho trattato Addie poco prima non è stato dei migliori.

Me la sono presa con lei quando effettivamente non aveva fatto nulla di male.

Le dita si stringono agli angoli del vassoio che reggo davanti a me, lasciando che i miei occhi, vaghino nella stanza alla ricerca di un posto libero.

«Zucchero filato? Siamo qui!»

Non mi ci vuole molto a capire che Cole sia rintanato in qualche meandro della mente di Emmett e abbia lasciato il suo posto a Shey, che ora, agita la sua mano con un sorriso a trentadue denti richiamando la mia attenzione.

Tentenno. Lascio che miei passi siano lenti nel raggiungere la postazione prima di sedermi accanto ad Addie.

«Non c'è niente di meglio di consumare un pasto salutare con le mie ragazze preferite.» continua con la sua voce squillante, che stona totalmente col corpo che indossa.

Addison resta in silenzio, muovendo il cucchiaio di gomma, all'interno della poltiglia che ha per cena.

«Scusami per prima, ero... non ero in me» sussurro poggiando il mio sguardo sulla bionda, che al contrario del suo solito sorriso, continua a fissare qualsiasi cosa sia frullata nel suo piatto.

«Tutto ok.» un bisbiglio impercettibile da parte sua, mentre continua a giocare con il cucchiaio nel pastone che ha davanti, senza mai alzare lo sguardo. Sento un nodo stringersi nella mia gola. Non è da Addie, lei che riesce sempre a trovare parole, anche quando sono le meno adatte. Ma stavolta, le sue parole sono sottili, eppure tagliano profondamente.

«Addie, io...» comincio, ma la voce di Shey mi blocca, interrompendo anche quel momento fragile.

«Siete tutte e due strane stasera, eh?» dice lei, con un sorriso ancora stampato in volto. Cerca di alleggerire l'atmosfera, come fa sempre, ma c'è qualcosa di diverso nel modo in cui si muove, come se anche lei avvertisse il peso che grava su di noi.

Addison si sposta appena sulla sedia, dando un'occhiata rapida a Shey prima di tornare al suo piatto. È come se volesse sparire. Il che mi fa sentire ancora peggio, perché so che è per colpa mia. Eppure, non riesco a trovare le parole giuste per farle capire che mi dispiace davvero.

«Scusa» ripeto, abbassando gli occhi sul mio cibo, quasi sperando che la terra si apra sotto di me. Ma Addison non risponde, e il silenzio tra noi si fa sempre più spesso.

Shey continua a parlare, chiacchierando allegramente di qualcosa che non riesco a seguire. Le sue parole scivolano su di me, ma ogni tanto noto che butta uno sguardo curioso tra me e Addie, come se cercasse di capire cosa sta succedendo. Forse se ne accorge che c'è qualcosa che non va, ma non insiste. E di questo le sono grata.

Addie, nel frattempo, rimane immobile. Ogni tanto muove il cucchiaio nel suo piatto, ma non mangia.

Il nodo alla gola si stringe fino a farmi sentire il respiro pesante, e il desiderio di scappare cresce in me come un'onda che minaccia di travolgermi.

«Io... credo di non avere molta fame stasera» dico all'improvviso, alzandomi dalla sedia. Non guardo nessuno negli occhi, mi limito a raccogliere il vassoio, sentendo le gambe tremare leggermente sotto il peso di tutte le emozioni che sto cercando di contenere. Devo andare via da qui. Devo scappare.

«Pasticcino al cioccolato aspetta.» Shey tenta di fermarmi.

Addie si volta cercando il mio sguardo, mantiene quel silenzio per un po'.

«Senti lo so che ho sbagliato ok? Non dovevo trattarti così e me ne pento.» sospiro prima di tornare nuovamente al mio posto. «Vorrei sempre avere le parole e i modi giusti come li hai tu ma non sono così.»

Il vassoio torna sul tavolo davanti alla mia figura, mentre i miei occhi rimangono fissi sulla bionda.

«Non so come sia avere degli amici. Non so come comportarmi e non so come fare quando le cose non vanno.» alzo le spalle «Ma una cosa che so è che ti voglio bene ok? Ti voglio dannatamente bene anche se non so dimostrarlo»

Non mi importa se qualcun altro mi stia sentendo al momento. Se ci siano altri tavoli rivolti ad origliare le mie parole.

«Non ti ho chiesto di farlo» sbotta lei senza guardarmi.

«Lo so che non lo hai fatto, ma volevo ti fosse chiaro ok?» insisto.

«Guardatevi, siete come due blush nella stessa confezione. Orrendi da soli ma perfetti insieme.» si intromette Shey. Le sue mani unite sotto la guancia condiscono il momento idilliaco che vede attraverso i suoi occhi.

È un secondo. Un semplice secondo in cui tutto ciò che ci ha reso tese fino a qualche momento prima sembra svanire. Una risata che parte all'unisono da me e Addison e che aumenta sempre di più.

«Che c'è? Che ho detto?» chiede Shey quasi incredula.

«La cosa giusta» Addie esala un respiro, guardandomi e incurvando i lati della bocca in un piccolo segno di ritorno a sé stessa.

«Mi perdoni allora?» domando prima di vederla roteare gli occhi.

«Sta zitta e mangia.» dice continuando a ridere e affondando il cucchiaio in quella sbobba dai colori strani. «Almeno tu che sai cosa stai mettendo nel tuo stomaco. Secondo voi cos'è?»

«Non vorrei dirtelo fiocco di neve, ma sembra qualcosa di poco aesthetic, di certo non adatto ad un post da milioni di views sui social ecco» risponde Shey provocando un'altra forma di ilarità nei nostri volti.

«Cambiando discorso... a te magari posso chiederlo Shey.» la mia mano si muove a prendere un pezzo di pomodoro e bloccandolo con la forchetta. «Sai qualcosa di River?»

Addie deglutisce ciò che ha appena portato alla bocca, Shey cambia totalmente espressione.

«Cole non vuole che se ne parli.» ammette.

«È per questo che ci sei tu e non lui adesso?» non so perché faccio queste domande. Perché insisto.

Ma la smania di sapere di più mi porta a farlo. Forse è la fame di risposte, la voglia di non essere più nell'oblio di domande sospese.

«Cole è stanco. Vedi, noi funzioniamo un po' come una squadra, proteggiamo il corpo. Siamo frammenti di ciò che è realmente Emmett e per quanto diversi, ognuno di noi ha uno scopo, una ragione di esistere.» noto come sia diventata seria la discussione. Come quella superficialità innata del suo essere, si stia trasformando in qualcosa di più tangibile.

«Okay scusa, non chiedo più nulla.» alzo le spalle distogliendo lo sguardo e tornando al mio cibo.

«In ogni caso è in isolamento. River intendo, ma non vogliamo parlare del perché.» è la prima volta che la sento usare il plurale. Che non parla di sé stessa come Shey, ma di sistema, coinvolgendo anche gli altri, ora all'interno di ciò che River ha chiamato Inner world, una volta.

«Vuoi andare?» chiede Addison, la consapevolezza in lei di una risposta positiva da parte mia che si traduce nel mio annuire debolmente.

«Vai ora allora. Ci penso io a distrarre Nick e gli altri» un sorriso, un occhiolino.

Non me lo faccio ripetere due volte, prima di alzarmi dal tavolo, ancora con metà cena dentro, prendendo con me solo le pillole sul vassoio e inserendole ancora dentro il plico, dentro la tasca dei miei pantaloni, prima di uscire spedita dalla mensa.

✘✘✘

La strada verso l'isolamento è ormai qualcosa di conosciuto alle mie gambe, così come le postazioni delle telecamere nei corridoi. L'ho fatta così tante volte durante gli isolamenti forzati di Emmett lì dentro, che ormai non trovo neanche la necessità di guardarmi attorno.

Sono passati mesi dalla prima volta, quando ancora in modo innocente, sgattaiolavo incurante di essere vista da sentinelle spente da River precedentemente.

Un respiro profondo prima di aprire la porta pesante della stanza e ritrovarmi, come ogni volta, davanti alla serie di vetrate occupate dal nulla, ad eccezione di una.

River è lì. Le mani chiuse in due pugni dilaniati, coperti da cicatrici fresche e bendaggi leggermente sporchi.

Il collegamento con i miei di tagli, trattati pressappoco allo stesso modo, viene in automatico.

Non ha nemmeno alzato lo sguardo. Il suo corpo è un'autodistruzione che conosco fin troppo bene.

Mi fa male vedere River in quello stato, ma allo stesso tempo c'è una parte di me che lo capisce, lo sente familiare, per quanto non sia attuato allo stesso modo.

Le nocche della mia mancina bussano sul vetro, lo sguardo fisso su di lui, ad attirare l'attenzione.

E se inizialmente rimane stupito dalla mia presenza, subito dopo, fa un cenno verso la cornetta al fianco della vetrata. Unico modo per comunicare attraverso le pareti spesse dell'isolamento.

Annuisco dirigendomi verso di essa, prendendola fra le mani e scivolando con il corpo verso il pavimento mentre lui fa lo stesso.

Divisi da un vetro infrangibile, ma comunque capaci di vederci a vicenda.

«Perché sei qui?» la sua voce artefatta dalla cornetta rimbomba nel mio orecchio.

«Non mi vuoi?» rispondo.

Sembrano quasi le stesse domande che ci facciamo ogni volta. Come un mantra.

Il volerci chiedere il permesso a vicenda anche di fare la minima cosa.

«Non ho detto questo, ma probabilmente no. Non ti voglio qui.»

Questa volta la risposta è diversa dalle solite, mi porta a corrugare la fronte in modo impercettibile, conscia che lui non possa notarlo.

Non mi aspettavo una risposta del genere, non da lui, non da qualcuno che vive la stessa oscurità che mi porto dentro. Per un attimo resto in silenzio, stringendo la cornetta con più forza di quanto vorrei.

«Se mi propini la solita storia del sono sbagliato per te e cose del genere giuro che mi incazzo River.» sentenzio «Non so perché ti ostini a giocare il ruolo del cliché quando non lo sei.»

Lo sento sorridere, esalare una risata sarcastica attraverso il filo che ci separa.

«Sai cosa penso scintilla? Che tu viaggi troppo anche rimanendo ferma.» risponde.

Lo ritrovo in queste frasi piene di giri strani. Quelle che dicono tutto nel non dire niente.

«E dove sono in questo momento, sentiamo» lo istigo poggiando la mia schiena contro il vetro per mettermi più comoda.

«Qui, ma non qui.» dice «Il tuo corpo è qui, ma la tua testa, sta facendo mille viaggi sul motivo per cui io sono qui o sul perché voglia non averti qui.»

«Sai che odio quando fai questi giochetti del cazzo.» sfiato.

«E tu sai che odio quando fai tutte quelle domande indirette a cui non voglio rispondere» ribatte.

«Non sono domande indirette,» continuo secca. «Sono solo cose che non ti chiedi mai tu.»

So che lo sto pungolando, ma non riesco a fermarmi. È un modo per tirarlo fuori, per vedere se sotto quella corazza c'è ancora il ragazzo di cui non posso fare a meno, o solo una proiezione di sé stesso.

River si limita a fissarmi, stringendo la cornetta come se fosse l'unico oggetto che gli impedisce di perdere il controllo. «E tu ti chiedi troppe cose,» dice alla fine, il tono calmo, quasi irritante. «Non tutto ha bisogno di una risposta, scintilla.»

«Non tutto, no,» concedo. «Ma questo sì. Non puoi semplicemente dirmi che non mi vuoi qui e chiudere la questione. Cosa c'è di diverso oggi? Cos'è cambiato?»

Lui butta aria fuori dalle narici. Ed è come se il suo respiro pesante arrivasse dai buchi della cornetta che mi permettono di sentirlo.

«È proprio questo. Non è cambiato nulla.» ride nervosamente «Hai mai sentito parlare del paradosso della nave di Teseo?»

Eccolo lì. Di nuovo. Ad usare tutti i suoi enigmi filosofici di cui va tremendamente fiero.

«No, illuminami» sospiro, già pronta a qualche paragone assurdo.

«Puoi sostituire ogni singola parte della nave, ma alla fine, quella nave... sarà sempre la stessa. E non importa quanto io ci provi, non importa cosa cambio, resto sempre uno stronzo.» percepisco un tono di supponenza in tutto questo.

Mi fissa, aspettando la mia reazione, come se stesse sfidandomi a contraddirlo. Ma le sue parole hanno un peso che non posso ignorare. Il paradosso. Cambiare senza cambiare mai veramente. Mi fa male sentirlo dire così, perché lo capisco, forse fin troppo bene. Anch'io ho cercato di cambiare, di smettere di farmi del male, di smettere di ferire chi mi sta intorno. Ma il dolore, quel dolore, sembra sempre tornare, come se fosse parte di me, una parte che non posso sostituire.

«Non si può cambiare veramente. Puoi togliere un pezzo alla volta, modificare, sostituire. Ma alla fine...» Fa una pausa, gli occhi fissi sui miei. «La nave è sempre la stessa. La nave di Teseo. Puoi cambiare tutte le assi, ma il risultato non cambia.»

Mi mordicchio l'interno della guancia, cercando di non lasciarmi travolgere dalle sue parole. So che ci crede. So che, in qualche modo, pensa di proteggermi allontanandomi. Ma è anche un modo di arrendersi, di dichiarare sconfitta prima ancora di combattere.

«Quindi è questo che credi?» chiedo, la voce bassa. «Che non importa cosa fai, sarai sempre lo stesso? Sempre... questo?»

River distoglie lo sguardo, fissando un punto indefinito oltre il vetro.

«Non è quello che credo. È quello che so.»

«Sai cosa penso io?» dico, il tono più calmo, più dolce di quanto mi aspettassi. «Penso che sei troppo intelligente per credere davvero a questa storia. Non sei una nave, River. Sei una persona. E le persone possono cambiare, se lo vogliono.»

River scuote la testa, un sorriso triste che non raggiunge i suoi occhi. «È quello che ci raccontano, no? Che possiamo cambiare, che possiamo essere migliori. Ma la verità è che io non ci credo più. Continuo a fare gli stessi errori, a distruggere tutto quello che mi circonda. Forse cambiano i modi, ma il risultato è sempre lo stesso. Non voglio trascinarti giù con me, Flame.»

Resto in silenzio, stringendo la cornetta come se fosse l'unica cosa che mi ancora a questo momento. Lo capisco, davvero. So cosa significa sentirsi intrappolati in una versione di sé stessi che sembra immutabile. Ma c'è una parte di me che non vuole arrendersi, che non vuole accettare che siamo destinati a restare così per sempre.

«Non mi stai trascinando giù,» dico alla fine, la mia voce appena un sussurro. «Siamo già entrambi in fondo. Ma questo non significa che dobbiamo restarci.»

Non mi crede, non vuole darmi retta. Lo sento.

Non ha fatto altro che essere al mio posto per tutto questi mesi e ora che cerco di ribaltare le cose non riesco a dargli lo stesso aiuto che ha dato a me.

La mano libera va a cercare l'accendino al mio fianco, di nuovo, come ho già fatto tante volte da quando Will me l'ha volontariamente fatto trovare, come ad essere sicura di avere ancora una scelta, seppur quella sbagliata.

«Perché sei finito qui?» cambio discorso.

«Non avevamo detto nessuna domanda a cui non volevo rispondere?» sbotta di rimando.

«Dovevo provarci» sospiro.

«Ci sono venuto di mia spontanea volontà» risponde. Come se quella potesse essere la risposta a tutto.

Non insisto. Non invado lo spazio che non vuole sia attraversato.

«Se il motivo è che tu abbia pensato che dopo quel bacio io... me ne sia pentita. Non è così.» ammetto. Quasi incredula di averlo fatto a voce alta. «Non me ne pento. Anzi... credo sia stata una delle cose più belle che mi siano successe negli ultimi anni.»

Lui non dice niente. Rimane in silenzio, respirando quasi impercettibilmente attraverso la cornetta e guardando il pavimento della sua stanza.

«Quello che hai visto dopo... non era a causa tua.» continuo.

Prendo aria per poi buttarla fuori dalle labbra in un soffio pesante. La saliva scende lungo la mia gola.

«Io non so cosa tu pensi di te stesso. Ma so cosa penso io.» mi stringo in me stessa, il mio sguardo che cambia rotta, si rivolge verso un punto indefinito «So che quando non ci sei, quando... sparisci e non ti ho accanto. Tutto si spegne e tutto ricomincia e... non è mai una sensazione piacevole.»

Sto esponendo i miei sentimenti alla luce di una stanza mentre lui, dall'altro lato del telefono, non accenna a dare un minimo di risposta.

«Ho scoperto che il motivo per cui ho paura di tutto, anche di me stessa e di essere toccata... è a causa di una delle persone che avrebbe dovuto amarmi e non lo ha fatto. Non nel modo giusto.» i miei occhi appannati da lacrime in uscita si nascondono dalla sua vista.

«E non so se sia destino o altro, ma River... sei stato la prima persona che dopo anni mi ha fatto desiderare di vivere di nuovo.» rido fra le lacrime, cosciente di aver fatto un ulteriore passo avanti nel mio percorso «E se tu pensi che questo sia sbagliato...»

Ma mi interrompe. Non mi lascia finire. Sospende la mia confessione quasi come se la realtà non fosse qualcosa che possa sentire in questo momento.

«Non puoi dire queste cose.» Continua, stringendo la cornetta con forza. «Non puoi. Non capisci cosa stai facendo? Mi stai... mi stai mettendo in una posizione dove dovrei... non so nemmeno io cosa dovrei fare!»

Si ferma, prende aria.

«Vai via Flame.» sibila.

«No.» mi impongo.

«Ho detto che non ti voglio qui.» continua, insiste.

«E io ho detto che non me ne vado.» mi volto, la mia mano si appoggia al vetro, come se mi aspettassi che lui faccia lo stesso. Come se ricercasse quel contatto che non c'è stato fisicamente per mesi e che poi, quando è arrivato, ha distrutto tutto.

Ma lui non lo fa. Resta lì, immobile dandomi le spalle.

«Voglio che tu vada via, rispetta la mia decisione, come io ho sempre rispettato le tue.» un sussurro teso, tagliente, come se quelle parole lo stessero soffocando. Il suono rimbomba nella cornetta, pesante, carico di un dolore che non riesce a trattenere. Lo vedo, lì, immobile oltre il vetro, lo sguardo basso, le nocche ancora sporche di sangue sotto le bende.

Mi fermo. Ogni parola che stava per uscire si blocca, sospesa tra il desiderio di continuare e la paura di aver già detto troppo.

«River, io—» inizio, ma lui scuote la testa furiosamente.

«No, ascolta.» Il suo tono è duro, ma sotto c'è qualcosa di rotto, di vulnerabile. «Non sono qui per essere la tua salvezza ok? Non posso esserlo. Non sono nemmeno capace di salvarmi da me stesso, come potrei mai farlo per te?»

So che crede davvero a quello che sta dicendo. So che in qualche modo lui pensa di essere una parte del problema, una rovina che mi sta trascinando giù, invece di qualcuno che potrebbe aiutarmi a risalire.

«Non ti sto chiedendo di salvarmi,» rispondo piano, la voce tremante. «Non è questo. Io... io sto solo cercando di essere sincera con te, di farti capire che... che non sei solo una causa persa come credi»

River ride, ma è un suono amaro, quasi disperato.

«Si che lo stai facendo. Pretendi che le persone ti stiano accanto perché ne hai bisogno anche se non lo dici apertamente. Giochi il ruolo della vittima perché ti fa comodo, perché sei abituata a farlo ed è l'unica cosa che conosci. E sì, hai sofferto, ma lo abbiamo fatto tutti.»

Mi mordo il labbro, la disperazione che mi avvolge sempre più stretta. Non so come raggiungerlo, come fargli capire.

«E allora cosa vuoi, River? Vuoi che sparisca?»

«Forse sì.»

E quelle due parole mi lacerano l'anima.

«Non posso credere che tu stia dicendo questo,» dico con voce rotta, le lacrime che mi offuscano la vista. «Non posso credere che tu voglia che me ne vada.»

«Eppure è così» risponde lui, con una determinazione glaciale che non avevo mai sentito prima.

«Non capisci,» continuo, cercando di mantenere la voce ferma, «che io sono qui perché voglio esserlo? Non sono una via d'uscita per te, River. Sono una scelta. E tu stai rinunciando a tutto questo.»

«E la mia scelta è di mandarti via» chiede, il tono rigido, quasi impassibile.

Le sue parole sono  un colpo di grazia. Lo sguardo che gli rivolgo è pieno di delusione.

«Non hai neanche il coraggio di guardarmi negli occhi.»

Mi alzo lentamente, il cuore pesante e il volto inondato di lacrime. Non c'è altro da dire. Non posso forzare qualcuno a voler rimanere nella mia vita. Una realtà con cui ho fatto già i conti molte volte.

Mi avvio verso la porta, il cuore che si spezza ad ogni passo.

Quello che ho trovato dentro quella stanza, non era River. Non il River che come aria era entrato nella mia vita impedendomi di respirare altro. Intossicandomi con le sue belle parole e i suoi gesti.

Probabilmente anche io sono così. Anche io spingo via le persone a questo modo.

Il ragazzo che ora sta alle mie spalle, ancora dietro a quel vetro, è lontano, glaciale. Mette fine a tutto ciò che abbiamo costruito.

Chiudo gli occhi, tiro su col naso.

Cerco di riempire i polmoni per darmi la forza di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.

Ma non ce l'ho. Probabilmente non c'è mai stata. Era solo un'illusione di cui mi sono voluta convincere.

La mano si poggia sulla maniglia, la apre per poi chiuderla dietro di me nell'attraversarla.

Le gambe cedono, le ginocchia toccano terra ma non piango.

Sono lì, immobile, esterrefatta, ancora in preda alla metabolizzazione di qualcosa che non riesco ad accettare.

E quando il mondo cade e la terra trema, nessuna promessa può essere mantenuta.
Neanche se ci provi con tutta te stessa.
E in questo momento, tutto intorno a me si sta frantumando. Pezzo dopo pezzo.

▪▪▪▪▪

NOTE DELL' AUTRICE

Abbiamo vinto contro la connessione ballerina.
Ciao tartarughine e grazie per aver letto anche questo capitolo.
In teoria, è un capitolo spezzato. In origine nella mia testa, questo e quello che verrà dopo erano uniti, ma ho preferito dividerli per comodità.

Quindi andiamo a noi...

Abbiamo il ritorno di Shey, ci racconta un po' di come funziona l'Inner world senza scendere nei dettagli, ancora.

Addie e Flame chiariscono.

E poi, River...
Che pensate di questo scambio? Del suo usare nuovamente la filosofia ma questa volta con connotazione negativa?

E della reazione di Flame? Del modo in cui lui la spinge via?

Fatemi sapere nei commenti <3

Per chi ci sarà vi ricordo che ci vediamo sabato al FRI a Roma, non vedo l'ora di vedervi tutt*
Avrò un badge fatto da me con il nick del profilo in modo che possiate riconoscermi e spaccerò braccialetti a tema F.E.A.R.

Alla prossima scintille del mio cuoricino

Neens

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